16 maggio 2007

Rassegna stampa del 16 maggio 2007


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VIAGGIO APOSTOLICO IN BRASILE: SPECIALE

VIAGGIO APOSTOLICO IN BRASILE (9-14 MAGGIO 2007)

Buongiorno, cari amici :-)
In questo primo post ci occuperemo della visita del Papa in Brasile, seguiranno articoli sul family day e sul confronto fra Stato e Chiesa

Raffaella

PAPA
L'INTERVENTO DEL PAPA DAVANTI AI VESCOVI LATINOAMERICANI

LA SPERANZA NON È IDEOLOGIA, MA FEDE
Ha esortato a dare un nuovo corso all'evangelizzazione e all'annuncio, toccando tutti i temi cruciali del continente.

Aparecida

Discuteranno fino alla fine del mese i vescovi delegati delle Conferenze episcopali dell’America latina e del Caribe. È la quinta volta che si riuniscono. Rappresentano quasi la metà del cattolicesimo mondiale.

Per questo motivo il Papa attribuisce grande importanza alla riunione, che si svolge nel santuario mariano più grande del mondo, ad Aparecida, a metà strada tra le due megalopoli brasiliane San Paolo e Rio de Janeiro.

L’ha consacrata Giovanni Paolo II nel 1980 questa basilica, che per ampiezza fa concorrenza a San Pietro. Ratzinger celebra la Messa davanti a una folla immensa. Ricorda che «la fede ha fatto dell’America il continente della speranza». L’espressione è del suo predecessore, Karol Wojtyla. E Benedetto XVI l’ha più volte ripetuta nel corso del viaggio, la scorsa settimana.

Ma la speranza «non è un’ideologia, non un movimento sociale, non un sistema economico: è la fede in Dio Amore». Davanti ai 166 vescovi rappresentanti degli episcopati apre il dibattito circa l’impulso nuovo che occorre dare all’evangelizzazione. Lo fa con il suo stile mite, che non chiude su nessuna questione, ma detta un agenda aperta. Propone una sorta di alfabeto latinoamericano, una filiera di questioni all’attenzione degli episcopati. Ripercorre la storia e intreccia l’analisi sui fallimenti di ideologie e sistemi economici applicati volonterosamente, in passato e oggi, dal Rio Grande alla Terra del Fuoco.

Annuncio. Non fu imposto in America latina dai conquistadores. Non distrusse le culture precolombiane, non fu «l’imposizione di una cultura straniera». I popoli dell’America latina, secondo il Papa, cercavano «nelle loro ricche tradizioni religiose» il "Dio sconosciuto", lo facevano senza saperlo, in silenzio. Ma «anelavano a Gesù». Il dibattito appassiona storici e teologi e il Papa vi entra sostenendo che separare da Cristo oggi i popoli del continente e riportare in vita le religioni precolombiane «è utopia», non «un progresso, ma un regresso». Ratzinger spiega che fu la «saggezza dei popoli», e non alcuna imposizione, a formare qui una «sintesi tra culture e fede cristiana», secondo quanto veniva proposto dai missionari.

Benedizione. Il Papa rileva che la Madonna, nelle diverse invocazioni dell’America latina, i santi e tutta la «grande famiglia di Dio» non lasciano mai soli i popoli, che giustamente se ne accorgono. Lo chiama il «grande mosaico della religiosità popolare», un prezioso tesoro della Chiesa da queste parti, che bisogna «proteggere, promuovere e, quando fosse necessario, anche purificare».

Capitalismo. Ha fallito, perché anch’esso ha «messo Dio tra parentesi», ha fatto aumentare «la distanza tra poveri e ricchi», ha prodotto «un’inquietante degradazione della dignità personale con la droga, l’alcol e gli ingannevoli miraggi di felicità». «L’economia liberale di alcuni Paesi latinoamericani deve tener presente l’equità, perché continuano ad aumentare i settori sociali che si vedono oppressi sempre di più da un’enorme povertà, o perfino depredati dei propri beni naturali».

Famiglia. Soffre a causa dei «flussi migratori, della povertà, dell’instabilità sociale, delle legislazioni civili che favoriscono anticoncezionali e aborto».

La fuga dalla realtà

Ma l’America latina è minacciata anche da una «mentalità maschilista», che ignora la «eguale dignità e responsabilità della donna rispetto all’uomo», proclamata dal cristianesimo.

Globalizzazione. «Comporta senza dubbio il rischio dei grandi monopoli e di trasformare il lucro in valore supremo». Invece, va costantemente guidata «dall’etica, mettendo tutto al servizio della persona umana».

Individualismo religioso. È uno dei rischi più gravi che si corrono in America latina, di fronte al «secolarismo, all’edonismo» e al proselitismo delle sètte, ma anche di «religioni animiste e di nuove espressioni pseudoreligiose». In questo modo si dimenticano i problemi sociali e si fugge dalla realtà verso un mondo spirituale.

Marxismo. Come il capitalismo, ha fallito, ma restano in America latina «motivi di preoccupazione davanti a forme di Governo autoritarie o soggette a certe ideologie che si credevano superate». La realtà non sono solo i «beni materiali, i problemi economici e politici». È il «grande errore», che il Papa definisce «distruttivo», dei sistemi marxisti e capitalisti, perché hanno escluso Dio dall’orizzonte, finendo in «strade sbagliate e con ricette distruttive».

Opzione preferenziale per i poveri. Non è una scelta ideologica, ma sta dentro il Vangelo ed è radicata nella fede di Dio, che si «è fatto povero per noi».

Politica. Il lavoro politico «non è competenza immediata della Chiesa». Se la Chiesa si trasformasse in "soggetto politico" non «farebbe di più per i poveri, ma farebbe di meno, perché perderebbe la sua indipendenza e la sua autorità morale, identificandosi con posizioni opinabili». Ratzinger spiega, anzi, che la Chiesa è «avvocata della giustizia e dei poveri, precisamente perché non si identifica coi politici e gli interessi di partito», e solo «essendo pienamente indipendente può insegnare i grandi criteri e i valori inderogabili, orientare le coscienze e offrire un’opzione di vita che va oltre l’ambito politico».

Alberto Bobbio

Famiglia Cristiana n. 20


PAPA
LA VISITA PASTORALE DI BENEDETTO XVI IN BRASILE

«COSTRUITE IL FUTURO»

Si è rivolto ai giovani, ai politici, ai brasiliani e alla Chiesa, invitando all'impegno e alla responsabilità in favore dell'uomo, soprattutto quello povero. In nome dell'Amore.

San Paolo (Brasile)

Lo sforzo e lo stile. Non ci sono altre parole, né un’altra sintassi, né altra grammatica per raccontare la missione di Benedetto XVI in Brasile. È andato per aprire la V Conferenza dell’episcopato latinoamericano. È andato per dire alla Chiesa di stare con i più poveri. C’è un appuntamento simbolico per chi incontra e per dove l’incontro si tiene. Joseph Ratzinger sa che lì si gioca buona parte di quello che resterà di questo primo viaggio intercontinentale del pontificato. L’incontro è con i 427 vescovi del Brasile, la Chiesa leader nel continente. Il luogo dove si svolge è la cattedrale di San Paolo, la "Catedral da Sé", abbreviazione di sede episcopale, il punto zero dell’immensa metropoli di 22 milioni di abitanti, alla quale tutto gira intorno, povertà e ricchezza, fame e lavoro, banche, grattacieli e case di cartone, violenza e solidarietà. È il cuore sofferente, ma anche l’immagine dell’impegno di una Chiesa che mai ha smesso di lottare, che s’è presa rimbrotti e ha contato i morti tra i preti, i missionari, le suore e i laici, perché ha sempre camminato con il Vangelo in mano.

Ratzinger varca la soglia di pomeriggio e parla. Ai vescovi dice che è uno «sforzo» quello che bisogna mettere in campo, soprattutto per i più poveri, soprattutto nelle «case delle periferie urbane». Ma lo stile deve essere quello delle prime comunità cristiane, cioè lo stile della solidarietà: «La gente povera delle periferie urbane o della campagna ha bisogno di sentire vicina la Chiesa, sia nell’aiuto per le necessità più urgenti, sia nella difesa dei suoi diritti e nella promozione comune di una società fondata sulla giustizia e sulla pace».

Sono le stesse parole usate da molti teologi della liberazione: pane, diritti e Vangelo. È quello che ha detto il Vaticano II, circa l’educazione alla responsabilità personale, sociale e politica. Non ci sta, Benedetto XVI, a seguire i ragionamenti di chi vorrebbe questa Chiesa in via di estinzione sotto la pressione brutale delle sètte evangeliche di matrice nordamericana, che qui hanno strappato molti cattolici alle comunità, promettendo radiosi destini.

Lo dice subito, all’aeroporto, davanti al presidente Lula. Non è una rivendicazione di orgoglio. È solo realtà: «I cattolici in questa area geografica sono la maggioranza e devono contribuire in maniera particolare al servizio del bene comune della nazione».

Lo ripete ai giovani in una sera fredda dentro uno degli stadi di San Paolo, spronandoli a occuparsi dell’ambiente e della legalità. Fa un gesto, insieme simbolico e concreto: regala 200.000 dollari al programma della Conferenza episcopale per il riscatto dei poveri dell’Amazzonia. E poi si ferma davanti al Memoriale dell’America latina, il monumento al dramma della "Conquista", una mano alzata che cola sangue, forma architettonica della memoria della sofferenza che grida al mondo di non dimenticare, progetto di Oscar Niemeyer.

Le minacce alla dignità umana

Ma è un monito e Ratzinger ci tiene ai simboli e alle parole che scuotono le coscienze. Ne ha infilate tante nei due giorni passati a San Paolo per indicare che non ci debbono essere confini all’impegno. Ha inchiodato davanti ai giovani quelle dell’inno nazionale carioca: «I nostri boschi hanno più vita». Si è come rallegrato per esse, ma ha scongiurato i giovani che non «si spengano sulle loro labbra: la devastazione ambientale dell’Amazzonia e le minacce alla dignità umana delle sue popolazioni esigono un maggior impegno».

Non ammette la paura di fallire, che percorre a volte i giovani. Non ammette che si possa rimanere disconnessi «di fronte alla sconcertante rapidità degli eventi e delle comunicazioni».

Sono segnali di un «enorme deficit di speranza», che il Papa è venuto in Brasile, invece, per rilanciare. E di fronte all’impotenza di molte istituzioni, di fronte alla fatica anche del Governo Lula nella lotta alla corruzione e contro la violenza, Benedetto XVI sceglie i giovani come uomini del futuro. E chiede a loro di distinguersi «per l’onestà dei rapporti sociali e professionali», di ricordare che «la smisurata ambizione di ricchezza e di potere porta alla corruzione», e che non c’è mai alcuna ragione per far prevalere «le proprie aspirazioni umane, sia economiche che politiche mediante la frode e l’inganno».

E la stessa cosa vale per il matrimonio, la famiglia, il fidanzamento. Anche qui il Papa chiede ai giovani di distinguersi. Delle «ferite del divorzio e delle libere unioni», accenna ai vescovi brasiliani. Dei tentativi dei media di «ridicolizzare la famiglia», parla nell’omelia della Messa per la canonizzazione di Frei Galvao, un francescano morto nell’Ottocento, che ha passato la vita tra gli emarginati di un Brasile allora liberale e massone. Insomma, ha richiamato tutti alla responsabilità e all’impegno.

Ma soprattutto ha richiamato la Chiesa. C’è il problema del proselitismo aggressivo delle sètte. Il Papa non si limita all’analisi del fenomeno. Chiede impegno, «sollecitudine pastorale», per contrastarlo e per evitare che i cattolici abbandonino «la vita ecclesiale». Invita i vescovi a verificare se anche loro hanno qualche colpa, perché se queste cose accadono è per «mancanza di evangelizzazione», perché non si mette al centro dell’annuncio la persona di Gesù.

Massimizzare il bene comune

C’è un problema di formazione del clero. Ma c’è anche il problema della formazione di «classi politiche e imprenditoriali» oneste, che sappiano dare «un volto umano e solidale all’economia». Spiega che la prospettiva della dottrina sociale sull’economia trascende il «semplice gioco dei fattori economici». Per questo ripete che bisogna «lavorare instancabilmente per la formazione dei politici, e di tutti i brasiliani che hanno un certo potere», secondo il criterio di «massimizzare il bene comune, invece che cercare profitti personali».

Nel Paese delle disuguaglianze più grande del mondo, dove il 2 per cento della popolazione possiede il 64 per cento della ricchezza, dove 42 milioni di persone vivono con due dollari al giorno, dove il 70 per cento della gente vive nelle metropoli, tra quartieri esclusivi e immense favela, la vera indicazione verso il cambiamento l’ha data Benedetto XVI, dopo il fallimento di quasi tutte le campagne di Lula a cominciare da quella chiamata "Fame zero".

La vera questione è il cambiamento di mentalità, che permetta di intaccare i privilegi e operare un processo di redistribuzione della ricchezza, senza il quale nessuno riuscirà a tenere insieme una società che va troppo in fretta verso la disgregazione. In Brasile la questione della legalità e dello Stato di diritto, il contrasto dei gruppi paramilitari legati ai trafficanti di droga e di armi, quella dei privilegi ingiustificati di imprenditori e possidenti sono le emergenze di una democrazia incompiuta.

Il presidente Lula poco prima che il Papa arrivasse in Brasile aveva detto di volergli chiedere di impegnarsi nella lotta contro la miseria. Ma forse ha sbagliato indirizzo.

Alberto Bobbio

Famiglia Cristiana n. 20


Mons. Scherer: dalla visita del papa in Brasile, la fede come verità che trascina

di Sara Bauducco

SAN PAOLO (Brasile) - La fede come verità che trascina, la testimonianza cristiana dei laici, l'urgenza della formazione per essere presenti nella società. Per l'arcivescovo di San Paolo, monsignor Odilo Scherer, è questo il bagaglio di suggerimenti e indicazioni lasciato dal viaggio del papa. Lo ha confidato a Korazym.org, augurando al Brasile e a tutto il continente una rinascita della fede, grazie anche alla V Conferenza Episcopale dell’America Latina e dei Caraibi che si sta svolgendo ad Aparecida.

Eccellenza, quale è stato il messaggio più forte o importante che il papa ha lasciato durante questo suo viaggio in Brasile?

“Sono tanti i messaggi che Benedetto XVI ci ha donato. Anzitutto il Santo Padre è venuto come pastore universale della Chiesa per conservare i fratelli nella fede: sono sicuro che lo abbia davvero fatto in questi giorni perché ha conquistato il cuore dei brasiliani lasciando il senso della mitezza, della fermezza nella fede, della convinzione profonda della fede, di una fede anche ragionata che non si impone. Questo il papa lo ha affermato già tante volte: la fede non si impone ma comunque è una verità che trascina. Lui stesso ci ha dato questo esempio di fermezza e sicurezza indicando una strada sicura e buona da seguire”.

È soddisfatto?

“Ci voleva! Oggi c’è tanta gente che è un po’ “violentata”, non solo in Brasile ma in tutto il mondo, a causa di cambiamenti culturali e molteplici proposte di vita: si rientra nell’idea del grande mercato in cui tutti offrono qualche prodotto e dicono che il loro è il più buono, il più efficace. Al contrario, quello che la Chiesa ha da offrire è l’incontro con Gesù Salvatore Figlio di Dio, l’esperienza del Dio Unico e Vero che non promette tutto per questo mondo: Egli promette la vita e la felicità ma per ottenerle ci vogliono anche alcune scelte che non sono a buon mercato. Credo che il Santo Padre ci abbia spronato a guardare a Gesù che è Via, Verità e Vita: ci ha esortato a non avere paura di scegliere questa strada e di essere felici anche con le croci, come Gesù già diceva”.

In questi giorni i giovani incontrati allo stadio di Pacaembu e durante le varie celebrazioni hanno raccontato il desiderio di una pastorale giovanile più attenta anche ai lontani dalla fede…

“Questo è di sicuro un nostro proposito. Da alcuni anni abbiamo progetti di evangelizzazione caratterizzati da due componenti: anzitutto, rinnovare la fede dei cattolici praticanti perché si sentano fieri della propria appartenenza alla Chiesa attraverso una rinnovata esperienza dell’incontro personale con Dio, ed inoltre trasformare i fedeli in missionari capaci di condividere la propria fede. In questo modo si va incontro anche ai lontani dalla Chiesa, ai non cattolici e ai non cristiani. Con questo progetto missionario si vogliono coinvolgere in prima linea gli stessi cattolici, ma non solo i preti e i religiosi: i laici assumono sempre più importanza nelle nostre comunità”.

Insomma, una riscoperta forte della propria identità...

“Sì al servizio all’interno della Chiesa, ma senza venir meno all'impegno nel mondo per testimoniare la carità di Dio ai poveri e sofferenti, ai malati e agli esclusi. Ne abbiamo avuto una prova alla Fazenda da Esperanca: gli sfruttati dal traffico della droga, che sono molti in America Latina, devono poter sentire che la Chiesa è loro vicino. La stessa cosa vale per tutti coloro che non godono dell’attenzione del mercato d’oggi che punta alla concorrenza sfrenata”.

Nel discorso di apertura della Conferenza Episcopale il papa ha lanciato delle linee programmatiche molto chiare per i vari settori della pastorale e dell’evangelizzazione in America Latina. Quali sono le priorità da affrontare?

“Nulla è semplice o scontato: avremo quasi due settimane per discutere e proporre idee che orientino il cammino della nostra Chiesa nei prossimi anni. Ai primi posti ci saranno di sicuro l’attenzione alla famiglia, la formazione sia del clero che dei laici e, non di meno, la formazione di nuovi leader in campo politico e delle comunicazioni che guidino la società secondo i principi della dottrina sociale della Chiesa”.

Korazym


DOPO IL FAMILY DAY

Salmi e chitarra, Eucarestia con la focaccia E i neocatecumenali «conquistano» la piazza

Gian Guido Vecchi

MILANO — Piazza San Pietro, la notte tra l'1 e il 2 aprile 2005, Giovanni Paolo II sta morendo e tra le colonne del Bernini brillano i lumi dei ragazzi rimasti a vegliare, calma assoluta. Finché da un gruppo un po' discosto s'alza d'improvviso la musica sincopata d'un chitarra, «Il Signore abbatte cavalli e cavalieri!», e un monsignore esce in tutta fretta dal Vaticano per sillabare tesissimo: «È stato raccomandato il si-len-zio!». Fine della schitarrata, sguardi perplessi di chi pensa: ma noi stavamo pregando...
Ecco: i soliti neocatecumenali, valli a capire. Certo, non hanno il fascino gotico dell'Opus Dei, nessun Dan Brown attingerà alle leggende nere che li riguardano, però l'aura di stranezza e mistero che circonda il movimento (parola che non amano) cattolico ha alimentato per anni le voci e denunce più disparate: quelli che fanno l'eucarestia da soli, il sabato sera, che usano le focacce anziché le ostie e bevono vino, seguendo rituali strani e manuali così segreti che pure l'ex Sant'Uffizio ha fatto fatica a vederci chiaro. Di certo c'è che la stessa Chiesa li tiene (maternamente) d'occhio: Benedetto XVI ha scritto loro il 12 gennaio 2006 per esortarli a «osservare attentamente» le norme che la congregazione per il culto divino aveva già segnalato ai neocatecumenali un anno prima, e ancora il 25 febbraio di quest'anno i vescovi di Terrasanta li hanno invitati a «evitare di fare un gruppo a parte».
Eppure il «cammino» fondato nel '64, tra i baraccati della periferia di Madrid, dal pittore Kiko Argüello e Carmen Hernández, sembra arrivato ad una svolta, almeno in Italia. Altra immagine, altra piazza: il fondatore Kiko, in San Giovanni, che sabato scorso si presenta sul palco del Family Day con l'immancabile chitarra, strappa applausi alla folla mentre i media sono distratti dall'arrivo di Berlusconi, e spiega tranquillo che del milione di persone presenti i neocatecumenali «sono duecentomila».
È una cifra, questa, che nessuno ha messo in dubbio. Il cammino neocatecumenale non ama mostrarsi, non cerca personaggi famosi né coltiva intellettuali di riferimento, però è presente in 900 diocesi nel mondo, conta tra le venti e le venticinquemila comunità «che vanno da 30 a 60 persone ciascuna» e solo in Italia è arrivato a «cinquemila, più o meno duecentocinquantamila persone» che raddoppiano, ad essere prudenti, se si calcolano pure i numerosi figli. La famiglia sta al centro dell'intuizione di Kiko («fare comunità come la Sacra Famiglia di Nazareth»), assieme a quell'itinerario «post battesimale» che vuole riprendere la formazione e la prassi dei primi cristiani. Il portavoce Giuseppe Gennarini, per dire, di figli ne ha sei. Per forza in piazza erano così tanti, finalmente alla luce del sole: «In effetti noi non abbiamo mai partecipato a una iniziativa politica, ma questa appunto non lo era: si trattava di una questione sociale fondamentale, il sostegno alla famiglia contro i tentativi di destrutturarla».
Li prendevano per sessantottini un po' cattocomunisti, ora diranno che si sono spostati a destra. «Storie. Io sì sono un ex sessantottino, ora faccio il catechista itinerante negli Usa, ma tra noi c'è gente di tutti i colori. L'essenziale è che i tre quarti di noi era gente che non andava in Chiesa». Ecco perché le stranezze, dice: «Seguire un percorso di iniziazione cristiana significa riscoprire tutto della Chiesa, a cominciare dai sacramenti. Benedetto XVI? Ci conosce bene, nel '74 insegnava a Ratisbona quando invitò Kiko e parlò del cammino ad alcuni preti tedeschi». E le focacce? «È il messale romano a raccomandare che il pane dell'eucarestia ne abbia l'apparenza, ma quali focacce...». Magari piazza San Giovanni segnerà la fine delle leggende nere: «Nessuna chiusura, nessun segreto. Quando si parla di noi, bisognerebbe pensare alle tante famiglie viste in piazza».

Corriere della sera, 16 maggio 2007

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