30 settembre 2007

Ordinazioni e nomine: gli articoli della Gazzetta del sud e del Quotidiano Nazionale


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Succede alla direzione a Mario Agnes

Osservatore Romano comincia l'era di Vian

Elisa Pinna
ROMA

Volta pagina l'Osservatore Romano, da 146 anni la voce del Papa e della Santa Sede nel mondo. Benedetto XVI ha nominato il prof. Giovanni Maria Vian, storico del cristianesimo e docente universitario, nuovo direttore del quotidiano vaticano.
Finisce così, dopo 23 anni, l'era di Mario Agnes, che tuttavia manterrà, a testimonianza della stima di Ratzinger, il titolo di direttore emerito del giornale.
Per una coincidenza forse non casuale, la nomina di Vian è arrivata, nel bollettino dalla sala stampa vaticana, proprio a conclusione della cerimonia in San Pietro con cui il Papa ha elevato al rango di vescovo mons.Gianfranco Ravasi, neo presidente del Pontificio Consiglio della Cultura. Ravasi e Vian, due stimati e raffinati intellettuali cattolici, sono destinati, nei loro diversi ruoli, a rappresentare le figure chiave di un ampio progetto teso a rilanciare un dialogo franco e rispettoso tra la fede e la cultura di oggi, dopo battute di arresto e incomprensioni anche recenti.
Per il quotidiano vaticano si annuncia, con l'arrivo del nuovo direttore che si insedierà a fine ottobre, un ridefinizione di stile e contenuti: più spazio verrà dato ai grandi eventi internazionali, alla cultura, ai temi della società globale e all'impegno universale della Chiesa. La politica italiana, come anche la cronaca spicciola, avranno con ogni probabilità un ridimensionamento.

© Copyright Gazzetta del sud, 30 settembre 2007


Ravasi, vescovo il biblista della tv

Consacrato da Benedetto XVI assieme ad altri cinque nuovi «pastori»

dall’inviato GIORGIO ACQUAVIVA

— CITTÀ DEL VATICANO —
I VESCOVI come angeli, «uomini di Dio» e «orientati verso Dio», messaggeri di Dio agli uomini, e in quanto tali capaci di «aprire il cielo e la terra». E, dunque, anche vicini all’uomo, al quale «parlano di ciò che costituisce il suo vero essere, di ciò che nella vita tanto spesso è coperto o sepolto». Così parla papa Benedetto XVI ai sei presbiteri che sta per ordinare vescovi.
Il più noto, anche al mondo laico, è certamente monsignor Gianfranco Ravasi, finora prefetto della Biblioteca Ambrosiana, biblista di fama, divulgatore della Parola in televisione e in libri e in conferenze.
Con l’incarico di presidente del Pontificio Consiglio della Cultura e delle Pontificie Commissioni per i Beni Culturali della Chiesa e di Archeologia Sacra, Ravasi viene anche «eletto» titolare della arcidiocesi africana di Villamagna di Proconsolare, non lontano da Cartagine. Una curiosità: a Cartagine insegnò retorica Agostino, che poi divenne vescovo di Ippona, sempre nella stessa area geografica. Una zona di frontiera fra culture e religioni, che ben si lega alla missione di dialogo che il monsignore brianzolo (Ravasi è nato a Merate, nel Lecchese) si è dato per il prossimo futuro.

MA ACCANTO a lui ci sono anche i milanesi Francesco Giovanni Brugnaro neo arcivescovo di Camerino–San Severino Marche e Vincenzo Di Mauro nuovo segretario della prefettura degli Affari Economici della Santa Sede; e poi Tommaso Caputo, nominato Nunzio Apostolico in Malta e in Libia e Sergio Pagano, che diventa prefetto dell’Archivio Segreto Vaticano. E soprattutto c’è il polacco Mokrzycki, già segretario di papa Wojtyla, eletto coadiutore di Lviv dei Latini, in Ucraina, al quale il pontefice dedica spazio nella omelia, anche per salutare i vescovi latini di quel Paese, i confratelli greco-cattolici e la Chiesa ortodossa dell’Ucraina, terra di difficile convivenza fra confessioni cristiane in questo tormentato periodo postsovietico: «A tutti auguro le benedizioni del Cielo per le loro fatiche miranti a mantenere operante nella loro Terra e a trasmettere alle future generazioni la forza risanatrice e corroborante del Vangelo».

LA CERIMONIA — in latino — si svolge nella Basilica di San Pietro, alla presenza di moltissimi fedeli, con parecchi cardinali e vescovi che concelebrano e che al momento della imposizione delle mani sul capo, imitano il Vescovo di Roma. In omaggio alla presenza del presule ucraino, la prima lettura viene pronunciata nella sua lingua. Canti e litanie dei santi accompagnano la solenne celebrazione.
Nella omelia papa Ratzinger parla della festività del giorno, dedicata agli arcangeli Michele, Gabriele, Raffaele, creature che hanno il nome di Dio («El») nel proprio dna a spiegare l’intima consonanza e il loro ruolo di messaggeri. Ciascuno con la propria caratterizzazione, però.
Michele come difensore di Dio contro il drago dell’Apocalisse che vuole «far credere agli uomini che Dio deve scomparire per diventare grandi» e in definitiva «fa spazio a Dio nel mondo contro le negazioni».
Gabriele che annunciò a Maria l’incarnazione, rappresenta Dio che «sta alla porta del mondo e alla porta di ogni singolo cuore» bussa e aspetta una risposta.
Raffaele, che guarisce l’amore fra uomo e donna («l’ordine del matrimonio, stabilito nella creazione e minacciato in modo molteplice dal peccato») e guarisce anche dalla «cecità per Dio» che minaccia il mondo d’oggi, e lo fa anche attraverso il sacramento della Penitenza, «sacramento di guarigione».
«Rimanete nell’amicizia di Dio — conclude — e la vostra vita porterà frutto, un frutto che rimane».

© Copyright Quotidiano Nazionale, 30 settembre 2007


IL PROGRAMMA DEL NEO «MINISTRO»

«Dialogo aperto con chi non crede»

di ROSSELLA MARTINA

Vescovo Ravasi, a che cosa in particolare si dedicherà come Presidente del Pontificio Consiglio della Cultura?

«Credo che avrò una particolare attenzione per le culture con cui immigrazione e globalizzazione ci mettono in contatto molto più di quanto non avvenisse in passato. Penso soprattutto alla Cina e all’India, ma non solo. Un altro percorso che vorrei intraprendere in questo mio nuovo ruolo è all’interno del mondo della non credenza. Un percorso oggi particolarmente difficile poiché ci troviamo in un’epoca dove chi contrasta la religione lo fa con strumenti che sono l’irrisione, la derisione, la banalizzazione, la goliardia. Questo approccio rende molto più difficile il dialogo a meno di non volersi mettere sullo stesso piano, quello della battuta, del gioco da salotto. Era ben diversa la situazione nell’Ottocento, per esempio, quando esisteva un rapporto tra sistemi di pensiero, come quello appunto tra Cristianesimo e marxismo o tra Cristianesimo e pensiero liberale. Preferirei mille volte avere come interlocutore Nietzsche — pensiamo con quale profondità e drammaticità parla del suo anti-Cristo — piuttosto che uno qualunque di quegli autori di libretti, anche recenti, dove si ironizza e banalizza, estrapolando senza criterio frasi della Bibbia o dove ci si fa beffe di alcuni elementi popolari della religione».

Come si concilia la valorizzazione e la difesa della cultura con certe recenti posizioni della Chiesa nei confronti della scienza?

«Dobbiamo riconoscere che vi sono momenti in cui si introduce, al posto del dialogo, la paura, l’incubo, addirittura, che la scienza, meglio ancora la tecnica, divenga incontrollabile. Bisogna allora affermare con vigore e con rigore che la scienza di sua natura non può permettersi di immaginare di sostituirsi alla natura. L’illusione di poter dominare tutto l’essere e il mondo, senza rispettare le sue ultime strutture, è qualcosa che fa paura e contro cui ci mettono in guardia non soltanto la religione ma anche, da un punto di vista laico, la filosofia, la storia, la stessa storia della scienza».

In una sua recente lezione al FestivalFilosofia di Modena è tornato a parlare di Qohelt, il libro ‘ateo’ del Vecchio Testamento dove tra l’altro si dice: chi più sa più soffre. Ma lo studio è anche piacere…

«Se si pratica il percorso della conoscenza non con la freddezza dell’erudito ma per amore del sapere che ha la sua radice in sapore, gusto, vi è indubbiamente una componente di godimento. Quando si studia, partecipi di ciò che si studia, si è attraversati da una felicità segreta, simile a quella del bambino che sperimenta il mondo. Ma c’è l’altro aspetto che è quello di chi scoprendo il reale trova la dimensione di oscurità, di drammaticità, dolore, colpa, peccato e quindi sofferenza. Lo stolto, colui che si ferma alla superficie delle cose, vede solo il grigio, non trova il bianco e il nero, la luce e la tenebra. In questo senso la sapienza è un grande tormento perché alla fine il sapiente è colui che sa capire il dolore degli altri».

© Copyright Quotidiano Nazionale, 30 settembre 2007

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