28 settembre 2007
Galli Della Loggia: l'idea di persona e' un'eredità cristiana
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Grazie alla segnalazione del nostro amico Adriano possiamo leggere questo fondamentale articolo di Galli della Loggia.
R.
ELZEVIRO Un saggio di Roberto Esposito
L'IDEA DI PERSONA EREDITÀ CRISTIANA
di ERNESTO GALLI DELLA LOGGIA
Spesso la filosofia sconfina o addirittura si sovrappone alla storia delle idee: questa è la ragione per cui anche chi filosofo di professione non è — come è il caso di chi scrive — può tentare di occuparsene. In particolare, se si tratta dell'ultimo libro di Roberto Esposito ( Terza persona. Politica della vita e filosofia dell'impersonale, Einaudi, pp. 184, e 17), che in realtà è molto di più di un libro di filosofia e per giunta affronta in modo assai poco convenzionale la questione oggi decisiva dei diritti umani. La non convenzionalità è data dalla domanda da cui parte e intorno a cui ruota tutto il saggio di Esposito; e cioè: se i diritti umani falliscono tanto spesso nel loro obiettivo primario di salvaguardare la vita dalla fame, dall'oppressione, dalla guerra, ciò non accade forse proprio perché essi si fondano su quell'ideologia della persona che pure a noi continua ad apparire decisiva per la loro esistenza? Cioè «che sia proprio il dispositivo della persona, destinato, nell'intenzione degli estensori della Dichiarazione dei diritti umani, a riempire la frattura tra uomo e cittadino lasciata aperta da quella dell'89 — a produrre uno scarto altrettanto profondo tra diritto e vita»?
Esposito ne è convinto, e spiega tale apparente contraddizione sostenendo che è proprio l'ideologia della persona a separare di fatto il corpo, la fisicità del «bios» di ogni essere umano, da quella che si potrebbe chiamare la sua sovrastruttura ideologico- culturale, la «persona » appunto, attribuendo rilievo decisivo solo a questa precisamente perché entità diversa e superiore alla pura fisicità. La quale, pertanto, risulterebbe protetta sì, ma solo in quanto propaggine, rivestimento esteriore, della suddetta «persona».
In pagine dense e acute l'autore mostra l'ambiguità, e anche la pericolosità, di questa idea intrinsecamente scissa di persona la quale, non dimentichiamolo, è anche alla base di tutte le costruzioni della moderna democrazia politica. Proprio in essa si anniderebbe l'ovvio e duplice pericolo — mille volte manifestatosi nella storia — consistente sia nel rifiutare al corpo qualunque attributo in senso superiore «umano» (è il caso del razzismo), sia nel ridurlo a entità manipolabile e disponibile a piacere (è il caso dei vari deliri eugenetici). Rifiuto e riduzione alla fine riconducibili entrambi all'agghiacciante affermazione del premio Nobel per la Medicina Charles Richet, che nel 1922 poteva scrivere: «Una massa di carne umana senza intelligenza umana non è niente. Si tratta di materia vivente che non è degna di alcun rispetto e compassione ».
Dopo aver ripercorso l'itinerario che dal diritto romano in avanti costruisce la frattura tra capacità giuridica della persona da un lato e la nuda naturalità dell'essere umano dall'altro — frattura che neppure con la Rivoluzione francese riuscì a essere superata, certificando così l'impossibilità di qualcosa come i «diritti umani » — Esposito suggerisce, infine, che solamente una filosofia dell'umano impersonale, della «terza persona», del «neutro», diciamo pure di «depersonalizzazione della vita», è in grado di rappresentare il punto di partenza per fondare «una relazione intrinseca tra umanità e diritto sottratta al taglio soggettivo della persona giuridica».
Che cosa può osservare uno storico in merito a tutto ciò? A me pare che possa, e debba, esprimere almeno una sorpresa. Circa il fatto, cioè, che nel corso della sua lunga ricostruzione (storica, appunto) del problema, Esposito abbia sostanzialmente sorvolato, trattandone solo sporadicamente, su quello che nella nostra tradizione culturale è uno dei capisaldi in assoluto della definizione e della strutturazione teorico- concettuale dell'idea di «persona» (certo enormemente più importante di qualunque degli autori su cui egli si diffonde).
Mi riferisco all'apporto rappresentato dal Cristianesimo e in particolare, come si capisce, alla sua idea centrale di «incarnazione » (una parola che, se ho letto bene, neppure ricorre nel testo in questione). Eppure a me sembra che se c'è stato un tentativo di raggiungere proprio ciò che queste pagine indicano come l'obiettivo, vale a dire l'unitarietà della persona, evitando da un lato la depersonalizzazione del corpo, la cancellazione di un suo legame con un'imprescindibile eccedenza spirituale, e dall'altro evitando un'indebita spiritualizzazione dell'idea di persona, ebbene questo tentativo teorico- pratico è stato per l'appunto rappresentato dal Cristianesimo e dalla sua declinazione di diritto naturale, ripresa dal giusnaturalismo liberale di ascendenza lockiana.
L'idea cristiana di «incarnazione », del Dio che diviene corpo umano «generico », costituisce, essa sì mi sembra, un ostacolo insuperabile vuoi per ogni riduzionismo biologistico razziale o eugenetico che sia, vuoi per l'idea che sia solo una cittadinanza o un qualunque altro patto politico, o una qualunque sovranità, a conferire a un essere umano dei diritti. Certo, nessuno vorrà affermare che quello cristiano, e dunque quello occidentale, sia stato un tentativo privo di contraddizioni e fallimenti. Ma alla fine, se nella nostra cultura (e solo in essa) c'è l'idea dei diritti umani, l'idea di un diritto universale oltre gli Stati e oltre le culture della terra, a cos'altro mai si deve?
Non si può sorvolare sull'origine evangelica dei diritti
© Copyright Corriere della sera, 25 settembre 2007
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