29 settembre 2007
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Carlo Cardia
Su un giornale romano ha trovato spazio ieri una delle più colossali operazioni di disinformazione degli ultimi tempi, riassunta nell'impudente confronto tra i costi della politica e i costi della Chiesa. Dietro questo misero slogan, si mischiano insieme privilegi e diritti, sprechi e spese sociali, egoismi e abnegazione, in una logica di perversa confusione.
Parecchie delle cifre citate sono frutto di proiezioni, previsioni, e invenzioni, come si può vedere in altra parte del giornale. Ma ciò che conta è che, con riferimento ad alcuni dati certi, nulla si dice su ciò che sta dentro le cifre, e che riguarda le attività assistenziali, sociali, culturali, svolte dentro e fuori la Chiesa, sui loro destinatari e beneficiari. Perché dentro quei numeri, in realtà, ci sono uomini ed opere che costituiscono l'anima della nostra società, che non vorremmo mai perdere.
Dietro quelle cifre ci sono uomini e donne, religiosi e laici, che dedicano la loro vita, o parte di essa, a sostenere gli altri, soprattutto i più deboli. Ad offrire loro aiuti materiali, morali e spirituali, a soccorrerli di giorno e di notte quando tutti gli altri voltano le spalle o guardano indifferenti, a incoraggiarli quando tutto sembra svanire, anche la speranza, a dare un senso alla loro vita. Sono uomini e donne, preti, religiosi e religiose, laici, che non appartengono ad alcuna casta perché non chiedono nulla, non fanno carriera, non si aspettano alcuna ricompensa che non sia quella di un ordine ben diverso dalla materialità delle prebende. Ad essi fece riferimento il presidente Napolitano nell'incontro con Benedetto XVI del 2006 riconoscendo il valore sociale insostituibile della Chiesa nella società italiana.
Dentro quelle cifre ci sono i cappellani militari che partecipano alle missioni di pace accanto ai nostri soldati, per sostenerli e incoraggiarli, spesso correndo gli stessi rischi, per portare soccorso ad altre popolazioni. E ci sono gli insegnanti di religione, lavoratori al par i degli altri, che cercano di trasmettere valori a generazioni di giovani cui viene dato poco, spesso nulla. Riferendosi all'insegnamento religioso, la Corte costituzionale ha dichiarato nel 1989 che lo Stato-comunità «si pone a servizio di concrete istanze della coscienza civile e religiosa dei cittadini».
Nulla si dice di quelle strutture e comunità che ovunque in Italia accolgono gli immigrati, altrimenti abbandonati alla solitudine o alle lusinghe della malavita, gli anziani che non hanno più nulla perché senza famiglia, o perché la famiglia non riesce a curarli, tutti coloro che sono caduti nella trappola della droga e cercano di uscirne. Ci sono le opere per l'edilizia di culto e per la manutenzione di un patrimonio artistico che lo Stato da solo non può sostenere, che vanno a beneficio della popolazione italiana e di quanti da tutto il mondo vengono in Italia ad ammirare chiese e cattedrali, conventi e abbazie, tesori d'arte a non finire.
Ancora la Corte costituzionale nel 1993 ha affermato che i contributi pubblici per l'edilizia di culto incidono «positivamente proprio sull'esercizio in concreto del diritto fondamentale e inviolabile della libertà religiosa».
Questa realtà dunque sta dietro quelle cifre messe lì alla rinfusa a rappresentare chissà quale privilegio. E questa realtà è fatta di persone che soffrono e persone che aiutano, di bisogni e di solidarietà, di richieste di sostegno e di abnegazione. È fatta di un mondo che da sempre assiste i più umili senza nulla chiedere o pretendere.
Se questo popolo della solidarietà volesse farsi vedere e sentire riempirebbe le piazze di tutta Italia. Ma il suo stile è diverso. È quello di chi opera in silenzio senza contropartite, di chi si dedica agli ultimi della Terra, all'educazione dei giovani, alla salvaguardia dei nostri valori culturali, senza gridare, senza farsene vanto, e nemmeno chiedere riconoscimenti. Il silenzio di questo popolo della solidarietà è la più forte risposta a chi fa confronti impudenti.
Sull'impegno e l'azione di questo popolo della solidarietà si regge in buona parte una società che altrimenti vedrebbe prevalere l'egoismo e gli interessi particolari, l'apatia e l'indifferenza verso chi rimane indietro, o non riesce ad andare avanti.
Demolire l'investimento della società per chi ha più bisogno vorrebbe dire inaridire il nostro umanesimo, e un po' del nostro cuore.
© Copyright Avvenire, 29 settembre 2007
OTTO PER MILLE
Il sostentamento del clero non è, come adombrato nell’inchiesta, un misterioso meccanismo per trasferire risorse alla Cei, ma una forma di democrazia diretta che altre nazioni hanno copiato
Costi della Chiesa, svarioni e verità
Bilanci trasparenti e controlli secondo la legge. Il contrario di quanto scrive «Repubblica»
Di Umberto Folena
La Chiesa come la politica? Con un notevole sforzo, parecchie omissioni e un pizzico di demagogia, perché no? È l’operazione tentata ieri da Repubblica, ben tre pagine firmate da Curzio Maltese, coadiuvato da Carlo Pontesilli e Maurizio Turco. Alla fine delle quali, a forza di "all’incirca" e di "stime", di ipotesi e di proiezioni, si conclude che la Chiesa "costa" agli italiani più di quattro miliardi di euro all’anno, "una mezza finanziaria, un Ponte sullo Stretto o un Mose". Detta così, fa impressione. Malachiesa uguale a malapolitica, soldi a palate, agio e ricchezza. Chi però frequenta una parrocchia strabuzza gli occhi: dov’è tutta questa ricchezza? Nella parrocchia vicina, forse? No. Che si intaschino tutto i vescovi? La grande foto furba di pagina 31, con il dettaglio di una croce pettorale e un anello episcopale, e il titolo "I soldi del vescovo", potrebbero ammiccare in tal senso. Le remunerazioni di preti e vescovi le trovate in questa pagina.
Cifre pubbliche, però omesse dalla Repubblica che pure riproduce le due tabelle sull’otto per mille, di fonte Cei. Perché? Sono stipendi non abbastanza alti per suscitare riprovazione, o così bassi da indurre un effetto contrario? Poiché la verità non è valida se non la si dice per intero, diamo un aiutino a Maltese e ai suoi collaboratori.
Quanti euro in carità?
"Su 5 euro incassati dal gettito Irpef - è in evidenza in un sommario - 1 va alla carità. Il resto tra culto e immobili". Non è corretto leggere l’impegno della Chiesa nel nostro Paese attraverso la schema rigido di un rendiconto amministrativo, impostato secondo le voci di spesa - che devono rispondere alle formulazioni di legge - ammesse con i fondi dell’otto per mille destinati alla Chiesa. L’attività concreta non è catalogabile solo secondo alcune voci, generiche e imprendibili. Per dire: il prete che ispira e anima un progetto di carità finisce sotto la voce "sostentamento del clero". I volontari della carità sono formati attraverso progett i pastorali. E mense, centri di ascolto e case d’accoglienza, immobili a servizio della carità, finiscono sotto la voce "culto e pastorale". La parrocchia stessa educa alla carità e compie in prima persona opere di carità: sotto quale voce la mettiamo? A proposito di preti, nel sistema ne sono inseriti circa 38 mila, di cui appena tremila in "quiescenza", vale a dire in pensione. Chi ha un parroco ottantenne, sa bene che in pensione un prete non ci va mai, e "molla" soltanto quando il fisico non gli regge proprio. Quanto "costa un prete"? Costa poco, rende tanto e non si ferma mai. E chi serve? Soltanto i battezzati, soltanto i praticanti? No, è a servizio di tutti.
6.275 interventi in 15 anni
Tanto improvviso interesse per le opere di carità della Chiesa italiana è sorprendente. Due anni fa il Comitato per gli interventi caritativi del Terzo Mondo (con i fondi otto per mille) pubblica "Dalle parole alle opere", un volume di 386 pagine con il resoconto dettagliato, con nomi, indirizzi, tipo d’intervento e cifre al centesimo, dei 6.275 interventi finanziati in tutto il mondo tra il 1990 e il 2004, per un totale di 719 milioni di euro. Grazie alla generosità degli italiani, si è passati dai 13 milioni di euro del 1990 ai 66 del 2003. Ebbene, di quel resoconto non parlò nessun giornale: disinteresse totale, allora. Oggi insinuazioni, genericismi. No, signori, è tutto documentato. Basta aprire il documento, che è già nelle vostre redazioni.
Otto per mille, ecco chi firma
L’otto per mille stesso è ancora, in larga parte, un oggetto sconosciuto. Gli italiani firmano in massa per la Chiesa cattolica? Occorre sminuire il risultato. Maltese ci prova: "Il 60 per cento dei contribuenti lascia in bianco la voce "otto per mille" ma grazie al 35 per cento che indica "Chiesa cattolica" (…) la Cei si accaparra quasi il 90 per cento del totale". Il 35 per cento, una minoranza dunque…
Intanto, a partecipare con la firma sono 16 milioni di italiani: in assoluto, non pochi. Se poi consideriamo chi presenta il 730 o l’Unico, i firmatari sono il 61,3 per cento, una percentuale superiore a quella di molte consultazioni assimilabili a questa. Ad abbassare la percentuale sono i 13 milioni di italiani che non sono obbligati a presentare la dichiarazione, chi ad esempio ha il solo Cud. Costoro - nella grande maggioranza anziani, spesso soli - sono costretti a operazioni complicate e scoraggianti: qui infatti la percentuale di firme si riduce all’1 per cento. Sulla configurazione sociologica degli anziani tuttavia ci sono studi a non finire. Perché non fate, signori, anche qui una proiezione ponderata?
Una stima crescente
Magari tutti firmassero e firmare fosse per tutti agevole. Un’indagine del 2006 sul consenso degli italiani all’operato della Chiesa parla di un giudizio molto o abbastanza positivo da parte del 70 per cento della popolazione; nel 2001 era del 60. È un secondo indizio della stima di cui gode la Chiesa, per Maltese "non eletta dal popolo e non sottoposta a vincoli democratici". Non è esattamente così. L’otto per mille non dà alcuna garanzia alla Chiesa, che ogni anno si sottopone al giudizio (democratico) dei cittadini, che possono darle la firma o rifiutargliela. Le garanzie, se così vogliamo chiamarle, c’erano semmai prima del Concordato del 1984, quando ancora i preti privi di altri redditi ricevevano dallo Stato il cosiddetto "assegno di congrua", che veniva dato in sostituzione dei beni ecclesiastici incamerati dallo Stato nell’Ottocento. Garanzie a cui la Chiesa ha rinunciato, in accordo con lo Stato, rimettendosi alla volontà degli italiani. L’otto per mille è una forma di democrazia diretta applicata al sistema fiscale, che qualche nazione ha copiato e mezza Europa ci invidia.
Le quote? Decide l’Assemblea
E la parte di otto per mille che va alle singole diocesi? Il servizio di Maltese insinua che sia una forma di ricatto da parte della presidenza della Cei, per premiare i vescovi doc ili e punire gli indocili, che difatti non ci sono perché, secondo lui, tutti tacciono, tranne qualche emerito. Naturalmente le cose non stanno così. Non è assolutamente vero che due o tre decidono per tutti. La quota per le diocesi - decretata ogni anno dall’Assemblea generale dei vescovi per alzata di mano - viene distribuita per una parte in porzioni uguali a tutti, per un’altra quota in base alla popolazione. Dunque, criteri oggettivi. Certo, le diocesi devono rendere conto al centesimo di come hanno destinato la propria quota di otto per mille. Per legge. Ma anche gli altri contributi, come quelli per edificare i centri parrocchiali o restaurare i beni culturali, vengono distribuiti secondo precisi regolamenti,criteri e controlli oggettivi. Ma davvero Curzio Maltese pensa che i vescovi siano un’accozzaglia di gente sprovveduta che attendeva Repubblica per aprire gli occhi?
Ici, tutti gli esenti
Verrebbe voglia di lasciar perdere il capitolo Ici e Irap. I nostri lettori sono stanchi di leggere precisazioni ostinatamente ignorate dai soliti giornalisti. Per i dipendenti laici, diocesi ed enti ecclesiastici pagano l’Irap; non così se si tratta di sacerdoti che è difficile immaginare come meri impiegati. Tutti però, laici e preti, pagano Irpef e contributi. Quanto all’esenzione dall’Ici prevista dalla legge 504 del 1992, e che fino al 2004 non aveva suscitato nessun problema, essa riguarda tutti gli enti non commerciali, categoria nella quale rientrano certamente gli enti ecclesiastici ma che comprende anche: associazioni, fondazioni, comitati, onlus, organizzazioni di volontariato, organizzazioni non governative, associazioni sportive dilettantistiche, circoli culturali, sindacati, partiti politici (che sono associazioni), enti religiosi di tutte le confessioni e, in generale, tutto quello che viene definito come il mondo del non profit. Gli alberghi pagano, le case per ferie o le colonie no. A un albergo non basta la cappellina per non pagare, anzi d ovrà pagare l’Ici anche sulla cappellina; e i Comuni hanno gli strumenti per accertare se qualche albergo, chiunque ne sia il proprietario, si "traveste" da casa d’accoglienza. Anche qui, niente trucchi.
I conti in tasca
"Fare i conti in tasca al Vaticano…" scrive Maltese. Ci risiamo. Confondere la Cei (vescovi cittadini italiani a servizio del Paese) con il Vaticano è errore da bocciatura all’esame da giornalista. Eppure ci tocca ancora leggere dell’"otto per mille al Vaticano".
Citare "come fonte insospettabile" la Cei va benissimo, i problemi sorgono quando ti ritrovi citato a metà, e la metà omessa è regolarmente quella scomoda all’autore dell’inchiesta. Quanto alla presunta scarsa libertà all’interno della Chiesa, è curioso che Maltese e collaboratori riportino proprio le cifre rese note (non nascoste) dalla Cei, e citino due giornalisti cattolici. La prossima puntata, per dirla davvero tutta? Non "i soldi del vescovo", ma… "i debiti del vescovo". Aiuta, sfama (la pancia, ma soprattutto l’anima), educa, costruisci e ripara… Alla fine è difficile non finire in rosso. Il rosso di chi restituisce tutto quello che riceve dagli italiani, e oltre.
© Copyright Avvenire, 29 settembre 2007
REAZIONI
Dalla Torre: «Sbagliano
È una risorsa dell’Italia»
Da Milano (A.Pic.)
«La Chiesa non è una casta, ma è parte del popolo», e «le sue opere sociali, educative e assistenziali» portano anche «risorse nelle casse dello Stato». Il rettore dell'università Lumsa, Giuseppe Dalla Torre risponde attraverso l'agenzia Sir all'articolo di Repubblica sui presunti favoritismi di cui la Chiesa godrebbe in Italia: «Fatto salvo che l'8x1000 non è una tassa, sarebbe opportuno chiedersi, invece, quante risorse la Chiesa porta nelle casse dello Stato con le sue opere sociali, educative e assistenziali, garantendo ben altro rapporto di tipo umano che non si può quantificare in termini economici». Di «anticlericalismo che fa capolino sulla scena politica e sociale» parla invece Antonio Satta, vicesegretario vicario dell'Udeur. «Non l'ho letto e non lo leggerò, è il solito prontuario di sciocchezze», dice Rocco Buttiglione intervenendo a margine di un convegno sui fondamentalismi religiosi. «Il concordato - afferma il presidente dell'Udc - non è un patto scellerato. La Chiesa, contrariamente a quanto sostiene la propaganda anticlericale, serve in povertà e letizia il popolo italiano». Al convegno, promosso da Mondoperaio con la partecipazione anche di Emma Bonino, gli replica Enrico Boselli, per il quale il concordato «è veramente fuori dal tempo, anacronistico dopo 130 anni da porta Pia», e la Chiesa sarebbe «la seconda casta». Buttiglione contrattacca: «Mazzini, che odiava i preti, è molto più vicino a Ratzinger di gran parte della cultura laicista italiana».
© Copyright Avvenire, 29 settembre 2007
ORGANI DI CONTROLLO
Come funziona il Consiglio Cei per gli Affari economici
Vincenzo Grienti
Chi pensasse alla Conferenza episcopale italiana come a un ministero resterebbe probabilmente deluso. Alla fine del 2006, anno del Convegno ecclesiale di Verona, i sacerdoti e i dipendenti laici "in forza" presso la Cei si attestavano rispettivamente a 34 e 57 unità. Sotto il profilo dei costi, nel 2006, rispetto al flusso complessivo dell'8 per mille, le spese generali della Cei non raggiungevano il 6 per cento mentre le spese ordinarie per il funzionamento della struttura e per i convegni si attestavano all'1,4 per cento del totale. A verificare la situazione finanziaria all'interno della Cei c'è un organismo specifico: si tratta del Consiglio per gli Affari economici, composto dal presidente della Cei e da quattro vescovi eletti dall'Assemblea generale. Come si evince dall'art. 34 dello statuto, si riunisce almeno tre volte l'anno, esamina la gestione amministrativa interna, formula parere vincolante sugli atti di amministrazione straordinari, predispone il bilancio consuntivo annuale sottoponendolo alla Presidenza della Cei in vista della presentazione all'Assemblea generale per l'approvazione. Esso si avvale dell'opera di un collegio di tre revisori dei conti scelti tra esperti del settore anche laici. Secondo l'art. 104 del Regolamento il Consiglio per gli affari economici elabora lo stato di previsione annuale della Conferenza entro il mese di novembre dell'esercizio precedente e lo presenta all'approvazione della Presidenza, tenendo conto delle richieste di spesa che il Segretario generale espone dopo aver valutato le esigenze formulate dalle Commissioni episcopali, dagli Uffici della Segreteria generale, dai Servizi di promozione pastorale della Conferenza e dai Comitati.
© Copyright Avvenire, 29 settembre 2007
MARKETING
Quell'originale mail che lanciava lo "scoop"
«Domani venerdì 28 settembre su La Repubblica parte una richiesta su quanto ci costa il vaticano. Passaparola e passa dall'edicola». Refuso a parte («richiesta» forse voleva essere «inchiesta»), uno pensa: «Guarda come funziona bene il marketing di Repubblica» Sì, perché nel giro di pochi minuti, nel tardo pomeriggio di giovedì, il testo di questa mail arriva sui computer di molti giornalisti (compreso quello del direttore di Avvenire). E, presumibilmente, non solo a loro. Ma l'ammirazione lascia presto il passo allo sconcerto: perché il mittente non è affatto uno o l'altro ufficio del quotidiano romano, ma il signor Maurizio Turco, che scrive dal sito del partito radicale e di professione - improbabile caso di omonimia a parte - fa il parlamentare della Rosa nel Pugno. È proprio lui dunque che, giovedì, ha "lanciato" lo "scoop" di «Repubblica» con un originale tam-tam mediatico. Ed è lo stesso, se capiamo bene, che sta cercando di incolpare l'Italia presso l'Unione Europea per via dei privilegi elargiti alla Chiesa cattolica. L'argomento, a quanto pare, gli sta davvero a cuore: sarà un caso che un "Maurizio Turco" venga dal giornale indicato anche tra i collaboratori alla stessa inchiesta? Procedura per lo meno insolita, quanto insolita la confusione dei ruoli, ordita in barba agli ignari lettori. Se capiamo bene sarebbe come se, in un pomeriggio qualsiasi, un parlamentare - chessò - dell'Udc annunciasse via mail al mondo la scaletta di Avvenire del giorno successivo. Mah...
© Copyright Avvenire, 29 settembre 2007
Ed ecco lo striminzito articolino-articoletto di Repubblica (poche righe per la replica della Cei alle tre paginone di Maltese).
La premiata ditta B&B (Bonino e Boselli) colpisce ancora...basta! Ma non ci sono altri politici da intervistare? Questi due sono sempre uguali a se stessi...
R.
Quattro miliardi
Il Sir contro l´articolo di Repubblica. Ma Boselli, Sdi, attacca: manca la trasparenza su costi e spese
I vescovi: la Chiesa non è la casta
"Chi ci critica sul piano finanziario e tributario la fa per colpire il cristianesimo"
ORAZIO LA ROCCA
ROMA - «La Chiesa non è la casta, ma una realtà che vive nella società civile, non un corpo separato. E chi l´attacca sul piano finanziario e tributario, lo fa per motivi ideologici per colpire i valori fondamentali del cristianesimo».
Dopo l´inchiesta sulle finanze ecclesiali apparsa ieri su Repubblica, i vescovi contrattaccano e il mondo politico si divide, lo stesso giorno in cui il presidente della Camera Fausto Bertinotti, parlando a Palermo dai padri Alfonsiani, teorizza «l´importanza del dialogo tra politica e religione nel rispetto reciproco e nelle rispettive competenze». Con una nota del Sir (Servizio informazione religiosa) - agenzia stampa della Cei - , i vescovi negano che la Chiesa «goda di privilegi di qualsiasi natura, a partire da quelli economici e fiscali». Privilegi che, secondo l´inchiesta, ammontano a circa 4 milioni di euro all´anno, sommando, però, più voci diverse tra loro come l´8 per mille, le scuole cattoliche, gli ospedali e i grandi eventi. «L´8x1000 non è una tassa ma una libera scelta - sostiene il Sir -, ma sarebbe opportuno chiedersi quante risorse la Chiesa porta nelle casse dello Stato con le sue opere sociali».
Di parere opposto, il leader dello Sdi Enrico Boselli, che definisce il Concordato «anacronistico e fuori dal tempo: in un paese civile andrebbe abolito. Cosa ancora lo Stato deve risarcire alla Chiesa dopo 130 anni dalla presa di Porta Pia?». Per Boselli, con «i miliardi di euro che gli italiani versano alla Cei la casta del Vaticano guadagna molto più della politica». «L´abbiamo detto tante volte che la Chiesa è un costo: tra fede e privilegi c´è ormai una forte disconnessione», fa eco la radicale Emma Bonino, ministro per le politiche Europee.
A difesa dei vescovi interviene, invece, Rocco Buttiglione (Udc) che parla di «solito prontuario di sciocchezze già masticate più volte che è veramente vergognoso ritirare fuori. «Il concordato - per l´esponente centrista - non è un patto scellerato. La chiesa in Italia è povera, contrariamente a quanto sostiene la propaganda anticlericale». Ma per il vice segretario Uder Antonio Satta «questa campagna di odio non porta da nessuna parte».
© Copyright Repubblica, 29 settembre 2007
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2 commenti:
che povero articoluccio, che pena....
povero La Rocca , dopo questo articlo sarà ancora più bianco di pelo.
Perchè invece di tante belle parole non pubblicate dei dati ufficiali per smentire Maltese?...cosi è troppo facile
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