29 settembre 2007
Osservatore Romano: i "consigli di lettura" di Paolo VI e Giovanni Maria Vian (di S. Magister)
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"L'Osservatore Romano" cambia direttore. Piccola guida alla lettura
Il nuovo responsabile è Giovanni Maria Vian, filologo e storico della Chiesa. Ecco che cosa ha scritto del quotidiano che si appresta a dirigere. Ed ecco come un grande intenditore, Montini, il futuro Paolo VI, insegnò a leggere questo strano giornale
di Sandro Magister
ROMA, 29 settembre 2007 – Da oggi "L'Osservatore Romano" ha un nuovo direttore. È Giovanni Maria Vian, 55 anni, professore di filologia della letteratura cristiana antica all’università “La Sapienza” di Roma e membro del pontificio comitato di scienze storiche. Firmerà il "quotidiano del papa" a partire dal numero con la data del 28 ottobre.
Il professor Vian è già noto ai lettori di www.chiesa. Questo sito pubblicò un suo profilo lo scorso 9 agosto, anticipandone la nomina. E prima ancora presentò due suoi libri: "La donazione di Costantino", del 2004, e "Bibliotheca divina. Filologia e storia dei testi cristiani", del 2001, quest'ultimo pubblicato anche in Spagna.
Ma che dire del quotidiano che egli si appresta a dirigere? "L'Osservatore Romano" è un giornale davvero specialissimo. Per alcuni aspetti unico al mondo.
Oggi non attraversa una delle sue stagioni più brillanti. Diffuso in poche migliaia di copie e praticamente assente su internet, svolge in modo ridottissimo il compito precipuo a cui è deputato, quello di far giungere al grande pubblico l'insegnamento del papa.
Ma anche in altre fasi della sua storia "L'Osservatore" ha attraversato momenti di opacità. Eppure ogni volta ha saputo risorgere, assumendo ruoli anche di grande rilevanza.
Curiosamente, proprio il suo nuovo direttore, Vian, è l'autore dell'unica, concisa storia fin qui scritta di questo giornale.
È uscita nel "Dizionario storico del papato" diretto da Philippe Levillain, edito a Milano da Bompiani nel 1996, alle pagine 1057-1060, sotto la voce: "L'Osservatore Romano".
È integralmente riprodotta più sotto.
Ma prima di essa, in questa stessa pagina, è riportato un altro testo di eccezionale interesse, sempre a riguardo de "L'Osservatore Romano".
Ne è autore Giovanni Battista Montini ed è apparso su "L'Osservatore Romano" del 1 luglio 1961, nel supplemento speciale per i cento anni dalla nascita del giornale. L'edizione critica dell'articolo – qui riprodotta tale quale – è reperibile in G. B. Montini, "Discorsi e scritti milanesi (1954-1963)", Istituto Paolo VI, Brescia,1997, pp. 4471-4475.
Nel 1961 Montini – il futuro papa Paolo VI – era arcivescovo di Milano. Ma prima ancora, nella curia romana, come sostituto segretario di stato, era stato per molti anni il supervisore de "L'Osservatore Romano".
Conosceva quindi a fondo le caratteristiche uniche di questo giornale "in parte ufficiale e in parte no".
Lo scritto di Montini è assolutamente da leggere, per imparare a leggere "L'Osservatore Romano". Lui che non scrisse mai diari e che raramente raccontò qualcosa della propria vita, in questo caso fece un'eccezione. È sua, personalissima, anche la fine ironia con cui tratteggia taluni aspetti del giornale.
Aspetti che da allora sono cambiati di poco. Certo, oggi non c'è più lo "spettacolo aulico" della pagina della cronaca vaticana, spogliata dalle sue pomposità proprio durante il pontificato di Montini. Ma la sostanza è rimasta. Non per nulla continua a essere considerato "il giornale del papa".
Ecco dunque due testi chiave per capire che cosa è "L''Osservatore Romano". Del quale oggi – col cambio di direzione – è cominciato un nuovo capitolo di storia.
1. Le difficoltà dell’«Osservatore Romano»
di Giovanni Battista Montini
Un giornale, ognuno lo sa, è sempre difficile a farsi; difficilissimo l’«Osservatore Romano»; ma questo pochi lo intuiscono. Ricordo che al tempo in cui io prestavo servizio alla Segreteria di Stato, dalla quale il giornale vaticano in certa misura dipende, mi capitava spesso di raccogliere critiche in proposito, e non delle solite concesse ad ogni lettore su la stampa ch’egli legge (perché oltre la libertà di stampa esiste, ed in grado ben più alto e non mai contestato, la libertà di critica alla stampa; salvo che questa rimane ordinariamente silenziosa, e quella invece rumorosa); le critiche riguardavano la sproporzione fra il vastissimo campo, di cui il giornale avrebbe dovuto essere specchio, il campo cattolico, e la relativa esiguità delle sue notizie, anzi, per vero dire, della stessa capacità a darvi voce e risalto; non diciamo poi della ristrettezza del suo raggio di diffusione.
Mancanza di servizî, pensavo; e così era, perché, al contrario di quanto crede ordinariamente la gente, non esclusa la romana, il Vaticano (parola grossa) è sempre stato, possiamo dire dalla burrasca napoleonica in poi, assai limitato nei suoi mezzi; potremmo anche aggiungere, dal settanta ad oggi, alla conciliazione almeno, povero. Chi vive di obolo, sia pure di San Pietro, non può concedersi di fare del lusso. Sotto questo aspetto il Vaticano, dignitoso nobile decaduto, visse in questi ultimi tempi di economia, talora manto regale, un po’ consunto, sopra una onorevole indigenza.
Ma non era questa la vera difficoltà, di cui soffriva «l’Osservatore Romano», perché, alla fine, i mezzi, non larghi, ma sufficienti, si trovavano: redattori, corrispondenti, macchinario, ecc. Poca roba, in confronto di quanto dispongono i grandi giornali, ma buona; anzi, per qualche verso, ottima (basti pensare alle persone che componevano la redazione e che a quella, col Conte Dalla Torre al centro, facevano allora corona). La difficoltà, o meglio le difficoltà, erano meno apparenti, ma più reali, in altri settori. Pensate, ad esempio, al paragone tra gli argomenti, ai quali la stampa dedica comunemente pagine e colonne, e gli argomenti ai quali questo giornale offre la sua nobile voce. Si noterà subito che su «l’Osservatore» non si parla, ex professo, ad esempio, di teatro, di sport, di finanza, di mode, di processi, di fumetti, di enigmistica,... o di quant’altro sembra fare l’attrattiva, se non sempre l’interesse del così detto gran pubblico. Anche per la pubblicità, quanti giusti, giustissimi castighi! Poi guardate le notizie: anche queste così composte, così ripulite, così dignitose da togliere al lettore ogni brivido, ogni sussulto, nei titoli e nel testo, quasi lo si volesse educare alla calma e alla buona educazione mentale. Giornale serio, giornale grave, chi mai lo leggerebbe sul tram o al bar; chi mai vi farebbe crocchio d’intorno?
Non è che un foglio di tanta importanza manchi di titoli su otto colonne, e di pagine dalla composizione impressionante; ma l’occhio, avido di scorgere che cosa mai sia scoppiato nel mondo, subito si fa scrutatore, poi si ritrae senza nulla lasciar apparire della sua segreta delusione: la pagina, la grande pagina, è in latino! Bene; tutti lo conosciamo il latino; ma lo leggeremo meglio stasera, o domani; capite bene: è buon latino, non si può prendere troppo alla leggera.
E anche quando la pagina dai grandi titoli non è in latino, non si può sempre dire ch’essa sia di dilettevole lettura. Edificante, sì; ma nessuno fa torto al venerando giornale se esso non può servire da passatempo, come invece tant’altra stampa, conciliatrice di svago e di riposo. E non diciamo nulla della pagina, appariscente quanto volete, ma piena della consueta cronaca degli avvenimenti vaticani, che ci procura, sì, il piacere d’uno spettacolo aulico incomparabile, ma non senza qualche dubbio d’averlo già provato eguale tant’altre volte.
Questo «Osservatore Romano», tanto importante, tanto accurato e tanto caro, come si fa a renderlo quanto esso avrebbe diritto e quanto noi avremmo dovere, un «grande giornale»? Quella accorata esperienza mi istruì, sopra un altro capitolo di difficoltà a cui il foglio vaticano non può sottrarsi, e che tornano tutte a suo onore; esso è un «giornale di idee». Non è, come moltissimi altri, un semplice organo d’informazione; vuol essere e credo principalmente di formazione. Non vuole soltanto dare notizie; vuole creare pensieri. Non gli basta riferire i fatti come avvengono: vuole commentarli per indicare come avrebbero dovuto avvenire, o non avvenire. Non tiene soltanto colloquio con i suoi lettori; lo tiene col mondo: commenta, discute, polemizza. E se questo aspetto può destare interesse nel lettore, esige fatica enorme nello scrittore. Non basta al redattore usare telefoni, telescriventi, comunicati, agenzie, forbici e colla; egli deve usare il suo giudizio, la sua valutazione; deve cavare dalla sua esperienza e ancor più dalla sua anima una parola; una parola sua, viva, nuova, geniale. E soprattutto vera. Soprattutto buona. Qui il giornalista è interprete, è maestro, è guida, è talvolta poeta e profeta. Arte difficile. Sublime, sì; ma difficile. Provare per credere. Ogni vero giornalista la conosce; ma qui, all’«Osservatore», quest’arte è quanto mai delicata ed esigente. Non le bastano le risorse soggettive, di chi ha spirito, e sa improvvisare, e dare alle parole la scintilla felice dell’intuizione e dell’umore; qui occorre anche il rispetto ad un dottrinale ampio e solenne, qual è quello della mentalità cattolica, sempre presente, sempre impegnativo. Anzi questa obbiettività, cioè questa continua testimonianza al panorama di verità morale e religiosa, nel quale ogni cosa dev’essere inquadrata, domanda in chi scrive una convinzione, un’affezione, un entusiasmo, personali e vivaci, sempre vigilanti, sempre operanti.
Ecco perché l’arte del giornalista è difficile, come si diceva, all’«Osservatore»; e, quasi non bastasse, essa si aggrava per un’altra considerazione; che questo giornale non è soltanto un giornale di idee (e di quali idee, vicino a San Pietro!); ma è anche un giornale d’ambiente; dell’ambiente vaticano. È, sì, il giornale vaticano. E questo che cosa significa? Si stampa in Vaticano; e ciò gli vale prestigio e libertà. Ma si diffonde all’Italia e all’estero; e ciò gli impone limiti e riguardi non pochi. Si stampa in Vaticano; ed è perciò in parte ufficiale, e in parte no: è responsabile, per un verso, come un oracolo della Gerarchia; è discutibile, per un altro verso, come espressione del pensiero di chi vi scrive di propria autorità. La distinzione è chiara, ma la realtà è delicata e complessa, per il fatto che i lembi della sacra stola arrivano spesso al di là dei confini ufficiali; o si crede che arrivino; e allora sorge, ad ogni passo, la questione, o il dubbio sul peso da dare alle notizie e agli articoli dell’illustre e venerabile quotidiano. È questa incertezza, che crea intorno all’«Osservatore» un alone di riverenza per alcuni, di diffidenza per altri; raccomanda il foglio agli esperti, ai politici, agli studiosi, ai diplomatici, ai devoti, ma non alla folla dei lettori comuni.
Difficoltà gravi e molteplici dunque, che spiegano in gran parte la fatica di questo singolarissimo giornale nella sua composizione e nella sua diffusione. Ma, a bene esaminare le cose, sono queste stesse difficoltà che gli conferiscono tanta dignità nella funzione propria della stampa periodica, tanta autorità e tanta forza.
Ne feci io stesso l’esperimento nel triste e drammatico periodo dell’ultima guerra, quando la stampa italiana era imbavagliata da una spietata censura e imbevuta di materiale artefatto. «L’Osservatore» ebbe allora una funzione meravigliosa, non già perché si fosse arrogato compiti nuovi e profittatori, ma perché continuò impavido il suo ufficio d’informatore onesto e libero. Avvenne come quando in una sala si spengono tutte le luci, e ne rimane accesa una sola: tutti gli sguardi si dirigono verso quella rimasta accesa; e per fortuna questa era la luce vaticana, la luce tranquilla e fiammante, alimentata da quella apostolica di Pietro. «L’Osservatore» apparve allora quello che, in sostanza, è sempre: un faro orientatore.
E fu allora che rinacque la fiducia nel giornale vaticano: la sua sede, la sua funzione, la sua rete d’informatori e di collaboratori, la sua autorità e la sua libertà, la stessa anzianità ed esperienza possono farne un organo di stampa di primissimo ordine.
Perché quelle che qui sono state indicate come difficoltà possono essere, con più sagace giudizio e più abile impiego, considerate peculiarità, e come tali costituire un’interessantissima originalità del giornale.
Nessun altro può avere orizzonte più ampio di osservazione; nessun altro può avere più ricche sorgenti d’informazione; nessun altro più importanti e più vari argomenti di trattazione; come nessun altro più autorevole giudizio di orientazione e più benefica funzione di educazione alla verità e alla carità. Non per nulla, come si dice, è «il giornale del Papa».
Ed è certo verso questo relativo primato nella missione giornalistica, che, pur con modestia di mezzi e con fraternità di linguaggio e di rapporti «l’Osservatore Romano», sempre più giovane e fresco, orienta il suo programma e raccoglie il voto comune al compiersi del centenario della sua fedele e invitta pubblicazione.
2. "L'Osservatore Romano", dalle origini a oggi
di Giovanni Maria Vian
Quotidiano della Santa Sede fondato nel 1861, "L'Osservatore Romano" viene pubblicato tutti i giorni (eccetto le domeniche e le feste religiose del calendario vaticano) nel pomeriggio, con la data del giorno successivo.
II giornale è redatto in italiano, ma i testi pontifici vi si trovano anche in latino (come nel caso delle encicliche e di altri importanti documenti) e nelle diverse lingue in cui sono pronunciati o pubblicati, eventualmente tradotti in italiano.
Del quotidiano sono pubblicate sei edizioni settimanali (in inglese il lunedì, in francese il martedì, in italiano il giovedì, in spagnolo e in tedesco il venerdì, in portoghese il sabato) e un’edizione mensile (in polacco), che raccolgono soprattutto i testi pontifici e l’informazione concernente la Santa Sede.
Unico giornale vaticano, ha carattere ufficiale per la rubrica intitolata espressivamente “Nostre informazioni”, cioè quella parte della prima pagina preparata dalla segreteria di stato e contenente l’elenco delle udienze, delle nomine pontificie e dei comunicati riguardanti l’attività del papa e della Santa Sede.
Oltre a queste notizie, pubblica subito e nella loro integralità i testi pontifici, quindi informazioni relative alla Santa Sede e alla Chiesa cattolica nel mondo, notizie internazionali essenziali ma secondo un’ottica molto ampia, una sezione culturale, altre notizie dall’Italia e una cronaca di Roma.
Tra i giornali più famosi e citati nel mondo è senza dubbio il più esile (di norma è costituito di sole dieci pagine) e quello che tira meno copie (nel 1994, in media, meno di dodicimila il quotidiano, circa cinquantamila complessivamente le edizioni settimanali, intorno alle quarantamila il mensile), ma le sue caratteristiche, sicuramente uniche, ne fanno una fonte di primaria importanza, soprattutto per la storia della Chiesa in età moderna e contemporanea.
Le origini del quotidiano si collocano non a caso nell’ultimo periodo del potere temporale del papato: da una parte, infatti, in quel periodo vanno nascendo e moltiplicandosi in tutta Europa i primi giornali in senso moderno (e tra questi quelli cattolici in un clima spesso di acceso confronto con organi di stampa violentemente anticlericali), dall’altra si delinea sempre più chiara la tendenza che porterà alla fine della sovranità temporale del papa e all’inizio della "questione romana".
Così al celebre “Diario di Roma” (1716-1848) si succedono, sulla stessa linea ufficiale, la “Gazzetta di Roma” (1848-1849), il “Monitore romano” (1849) e il “Giornale di Roma” (1849-1870), ai quali s’affiancano su posizioni reazionarie e clericali “Il costituzionale romano” (1848-1849), di proprietà francese, e quindi un periodico (poi quotidiano) denominato per la prima volta “L’Osservatore Romano” (1849-1852).
In questo contesto, ma senza legami diretti con le testate precedenti (al di là del nome, nemmemo con l’omonima), nasce “L’Osservatore Romano”, su richiesta di un avvocato di Forlì, Nicola Zanchini, e di un giornalista di Bologna, Giuseppe Bastia, trasferitisi a Roma dopo l’annessione al regno d’Italia della maggior parte dello stato pontificio.
L’idea dei due rifugiati politici può comunque realizzarsi soltanto perché s’incrocia con il progetto del governo pontificio (nella persona di Marcantonio Pacelli, dal 1851 al 1870 sostituto del ministro dell’interno e nonno del futuro Pio XII) di fondare un giornale politico da affiancare all’ufficiale “Giornale di Roma”, e ottiene finanziamenti privati.
Così il 1 luglio 1861 esce il primo numero de “L’Osservatore Romano” (in un primo tempo s’era pensato da parte del governo pontificio di chiamarlo “L’amico della verità”), che programmaticamente reca sotto la testata la dicitura “giornale politico-morale” (divenuta poi, e tuttora mantenuta, “giornale quotidiano politico religioso”), a ricordare il doppio obiettivo insito nelle sue origini.
E a sottolineare ulteriormente il carattere polemico del nuovo giornale, insieme alla sua ispirazione di fede, nel primo numero del 1862 s’affiancano alla testata le due espressioni (che vi figurano ancora oggi) “unicuique suum”, a ciascuno il suo, e l’evangelico “non praevalebunt”, non prevarranno, con allusione alle porte dell’inferno, cioè le potenze del male.
I due iniziatori del giornale (finanziato privatamente ma sostenuto da Pio IX con diverse misure fin dall’inizio) ne furono anche i primi direttori (1861-1866). A costoro successe il marchese Augusto Baviera.
Figlioccio di Pio IX, ufficiale della guardia nobile e giornalista, Baviera già nel 1863 era entrato nella comproprietà del giornale, di cui divenne unico proprietario nel 1865 e che diresse dagli inizi del 1866 fino al 1884.
Direttore in senso moderno ed eccellente conoscitore del mondo romano, Baviera seppe imprimere al giornale un carattere proprio, in certa misura anche autonomo rispetto alle direttive governative (per questo più di una volta la direzione del giornale fu richiamata e sanzionata anche severamente), e fu il primo giornalista a seguire i lavori di un Concilio.
Del Vaticano I infatti “L’Osservatore Romano” seguì tutte le fasi fin dal suo annuncio nel 1867, mentre fu proprio il suo direttore a stenografare nella basilica vaticana gli interventi dei padri durante le sedute conciliari per le cronache da lui pubblicate sul giornale, spesso nella rubrica speciale “Cose interne”.
Subito dopo la presa di Roma (20 settembre 1870), spariva definitivamente l’ufficiale “Giornale di Roma” e “L’Osservatore Romano” era costretto a sospendere le pubblicazioni, che riprendeva tuttavia già il 17 ottobre successivo con l’assorbimento delle funzioni del “Giornale di Roma” e il conseguente spostamento su posizioni più ufficiali.
Questa tendenza venne ulteriormente accentuata in seguito alle vicende degli ultimi anni della direzione di Baviera. Questi cedette “L’Osservatore Romano” alla Societé Générale des Publications Internationales di Parigi, gruppo di tendenza cattolica intransigente che possedeva giornali in diverse capitali europee e a Roma aveva fondato il “Journal de Rome” (1881-1885), inizialmente sostenuto da Leone XIII ma divenuto in seguito polemico verso la linea moderata del papa e diretto per qualche tempo dallo stesso Baviera (che contemporaneamente continuava a dirigere anche “L’Osservatore Romano”).
Ma già nel 1884 divenne direttore e proprietario de “L’Osservatore Romano” il marchese Cesare Crispolti, finché dopo la cessazione del “Journal de Rome” Leone XIII acquistò definitivamente per la Santa Sede la proprietà de “L’Osservatore Romano”, che tuttavia nemmeno allora assunse formalmente il carattere di giornale ufficiale.
Nell’ultimo quindicennio del secolo il giornale iniziò ad aumentare la sua diffusione, mentre cresceva in parallelo anche il suo prestigio.
Alla direzione di Crispolti (1884-1890) seguirono quelle di Giovanni Battista Casoni (1890-1900), avvocato e giornalista bolognese chiamato da Leone XIII con l’intenzione di un controllo diretto del giornale, e di Giuseppe Angelini (1900-1920), altro giornalista che vide accentuarsi l’interesse diretto dei papi (in particolare Benedetto XV) per “L’Osservatore Romano” e sotto la cui direzione il giornale, dal 1911, passò dalle quattro pagine iniziali a sei, mentre s’arricchiva il suo contenuto (comprendente per alcuni periodi anche racconti d’appendice e già dal 1909 una rubrica dedicata ad arte, sport e teatri) con la quarta pagina per vari anni quasi interamente riservata alla pubblicità.
La linea del giornale seguiva naturalmente quella adottata dalla Santa Sede. Così, oltre alla diffusione degli interventi pontifici, le pagine de “L’Osservatore Romano” restano in quel periodo ancora dominate, ma certo non esaurite, dalla "questione romana", con un’attenzione tutta particolare per le vicende italiane.
Per quanto riguarda la politica internazionale è da ricordare per esempio la freddezza con cui fin dal 1911 viene commentata l’impresa coloniale italiana che portò all’occupazione della Libia ma soprattutto la scelta di imparzialità che caratterizzò durante la prima guerra mondiale l’informazione del giornale.
Su “L’Osservatore Romano” questa linea fu illustrata con una settantina di articoli scritti dallo stesso cardinale segretario di stato Pietro Gasparri e con moltissimi altri da lui ispirati e fu realizzata attraverso un notiziario internazionale confezionato con i dispacci dell’agenzia di stampa Stefani, pubblicati, specificava ogni volta il giornale, secondo un “programma di stretta imparzialità” e “a semplice titolo d’informazione per i suoi lettori e senza assumere menomamente la responsabilità delle notizie in essi contenute o farle in alcun modo proprie”.
Nel 1920 fu chiamato alla direzione del giornale il conte Giuseppe Dalla Torre, giornalista ed esponente di primo piano delle organizzazioni cattoliche, che vi sarebbe rimasto per un intero quarantennio, fino al 1960, coadiuvato da redattori e collaboratori di rilievo che in parte provenivano dalle organizzazioni intellettuali cattoliche estranee al fascismo (tra questi, Federico Alessandrini e Guido Gonella).
Durante la direzione di Dalla Torre, dopo la costituzione dello Stato della Città del Vaticano in seguito al trattato del Laterano, “L’Osservatore Romano” si trasferì, verso la fine del 1929, all’interno del Vaticano, dopo essere stato dalla fondazione in nove sedi successive nel centro di Roma.
L’entrata del giornale in Vaticano coincise con un’ulteriore crescita del suo prestigio e della sua diffusione, favorita anche dal parallelo restringersi degli spazi di libertà nell’Italia fascista. A questo periodo (che coincide anche con quello della massima tiratura media del giornale, oltre le sessantamila copie, con punte al di là delle centomila) risale la rubrica forse più famosa del giornale vaticano, quella degli “Acta diurna” di Gonella (ripresa da altri nel dopoguerra e quindi dal 1984 in forma diversa e anonimamente), attenta rassegna critica della politica internazionale, che tra il 1933 e il 1940 comprese oltre un migliaio di articoli, basati su fonti d’informazione che in quel periodo solo l’indipendenza vaticana poteva assicurare e che ebbero un successo e una risonanza notevoli.
E proprio la linea d’indipendenza scelta da “L’Osservatore Romano” fu la causa dei sempre maggiori ostacoli che, soprattutto dopo l’entrata in guerra dell’Italia, vennero frapposti dal regime fascista al quotidiano vaticano, costretto a riduzioni anche notevoli della tiratura e persino a non pubblicare le notizie relative alla guerra.
Nel frattempo, mentre Dalla Torre dirigeva tra il 1930 e il 1938 “L’illustrazione vaticana” (un periodico molto bene illustrato al quale collaborò con pseudonimi Alcide De Gasperi, allora in Biblioteca Vaticana, e che fu pubblicato anche in francese, spagnolo, tedesco e nederlandese), iniziò a uscire nel 1934 il settimanale illustrato “L’Osservatore Romano della Domenica” (dal 1951 con il nome “L’Osservatore della Domenica”, ridotto dal 1979 a sole otto pagine di formato tabloid inserite nel numero domenicale del quotidiano che viene pubblicato il sabato pomeriggio).
Poco prima (nel 1931 in Argentina) si era ideato un progetto di edizione non italiana de “L’Osservatore Romano” che tuttavia non ebbe esito. Nel 1939 il sostituto della segreteria di stato Giovanni Battista Montini (il futuro Paolo VI) istituì il primo ufficio informazioni della Santa Sede affidandolo al quotidiano vaticano, mentre per sua iniziativa nel 1942 cominciò a essere pubblicata in Vaticano una nuova rivista illustrata, il mensile “Ecclesia”, che sarebbe durata fino al 1960.
Il dopoguerra vide succedersi la realizzazione delle prime edizioni settimanali del quotidiano: dal 1949 l’italiana, dalla fine dello stesso anno quella francese (dapprima pubblicata in Francia e dal 1951 in Vaticano), dal 1951 quella in spagnolo (ma stampata su iniziativa privata a Buenos Aires e solo dal 1969 in Vaticano); seguirono dal 1968 l’edizione inglese, dal 1970 quella in portoghese, dal 1971 quella tedesca (che dal 1986 è stampata in Germania) e dal 1980 l’edizione mensile polacca.
Quando nel 1960 Dalla Torre si dimise, venne chiamato a succedergli Raimondo Manzini, membro in gioventù della Compagnia di San Paolo (istituto secolare fondato nel 1920 a Milano), giornalista di grandi capacità e prestigio (aveva tra l’altro diretto per oltre un trentennio il quotidiano cattolico bolognese “L’avvenire d’Italia”) e politico di rilievo (era stato deputato all’assemblea costituente e sottosegretario alla presidenza del consiglio dei ministri), che diresse “L’Osservatore Romano” durante il periodo di preparazione e svolgimento del Concilio Vaticano II e per quasi tutto il pontificato di Paolo VI, continuando l’apertura del giornale (che tirava circa trentamila copie) a collaborazioni anche illustri (tra questa fu valorizzata, con la rubrica “Bailamme”, un’antica firma del giornale, quella di Giuseppe De Luca).
Agli inizi del 1978 a Manzini successe Valerio Volpini, intellettuale e scrittore, che tra l’altro rinnovò con gusto la grafica del giornale (un esempio furono le prime pagine delle edizioni straordinarie che nel 1978 annunciarono le elezioni papali dei cardinali Albino Luciani e Karol Wojtyla e uscirono incorniciate con fregi disegnati da Giacomo Manzù).
Dal 1984 dirige il quotidiano Mario Agnes, già presidente dell’Azione Cattolica italiana. Sotto la sua direzione il giornale, che soprattutto a partire dagli anni del pontificato di Paolo VI aveva assunto una linea di prudente e significativo disimpegno dalle vicende politiche italiane, è stato protagonista di nuove polemiche, anche all’interno del mondo cattolico, e ha dovuto subire ulteriori cambiamenti grafici, connessi anche con l’introduzione di nuove tecnologie e la ristrutturazione della tipografia vaticana.
I redattori sono una trentina, quasi tutti laici come buona parte dei collaboratori (tra questi ultimi anche alcune donne), mentre il personale amministrativo e tecnico (dal 1937 sotto la direzione dei salesiani) si aggira intorno alla settantina di persone (uomini e donne), e il deficit annuale si è avvicinato nel 1993 ai sei miliardi e mezzo di lire [nel 2006 4,4 milioni di euro], a cui bisogna aggiungere un miliardo per l’edizione in tedesco, che tuttavia è economicamente autonoma.
Nel 1961, per il centenario del quotidiano, il cardinale Montini vi scrisse un celebre articolo, non privo d’ironia, per più di un aspetto interessante.
Sensibile per tradizione familiare e inclinazione personale ai problemi dell’informazione e conoscitore come pochi del giornale vaticano e dei suoi meccanismi, il futuro Paolo VI rilevava come esso fosse un organo di stampa difficilissimo, con pochi mezzi ed esigenze del tutto speciali, in quanto giornale d’idee in un ambiente particolare come il Vaticano.
E tuttavia Montini di fronte ai problemi ricordava l’esperienza positiva e il ruolo unico svolto da “L’Osservatore Romano” nel periodo della seconda guerra mondiale, concludendo (con considerazioni intenzionalmente espresse al presente e valide di certo anche oggi) che sede, funzione, rete d’informatori e collaboratori, autorità e libertà, anzianità ed esperienza possono fare del quotidiano vaticano un organo di stampa di primissimo ordine.
BIBLIOGRAFIA
Tra le fonti, numeri speciali de “L’Osservatore Romano” sono stati pubblicati come supplementi, in occasione di anniversari del giornale, ai numeri del 31 maggio 1936 (per il settantacinquesimo), dell’1 luglio 1961 (per il centenario), del 13 dicembre 1981 (per il centoventesimo) e dell’1 luglio 1986 (per il centoventicinquesimo).
L’articolo di G. B. Montini, "Le difficoltà dell’Osservatore Romano”, pubblicato nel supplemento al numero dell’1 luglio 1961, è riprodotto, con un commento di N. Vian, nel “Notiziario” 17 (novembre 1988) dell’Istituto Paolo VI, pp. 17-20 (nello stesso numero alle pagine 7-10 è riprodotta e ugualmente commentata la presentazione dello stesso Montini al mensile “Ecclesia”). [Successivamente, l'edizione critica dell'articolo è uscita in G. B. Montini, "Discorsi e scritti milanesi (1954-1963)". Prefazione di Carlo Maria Martini. Introduzione di Giuseppe Colombo. Edizione coordinata da Xenio Toscani. Testo critico a cura di Gian Enrico Manzoni. Direzione redazionale di Renato Papetti. Con la collaborazione di Lino Albertelli - Rodolfo Rossi - Caterina Vianelli, Brescia, Istituto Paolo VI, 1997, pp. 4471-4475.]
Alcune lettere di Montini e poi di Paolo VI al responsabile de “L’osservatore della domenica” sono pubblicate da N. Vian, "Lettere a un giornalista vaticano. A Enrico Zuppi", nel “Notiziario” 28 (novembre 1994) dell’Istituto Paolo VI, pp. 7-17.
Notizie sul giornale sono pubblicate annualmente in "L’attività della Santa Sede" (a partire dal volume relativo al 1973).
Tra le numerose raccolte di articoli pubblicati sul quotidiano vaticano meritano di essere menzionate: G. Dalla Torre, "Azione cattolica e fascismo", Roma, 1964 (Minima, 2), G. De Luca, "Bailamme ovverosia pensieri del sabato sera", Brescia, 1963, e l’antologia di centocinquanta “Acta diurna”, che include il loro elenco completo, in G. Gonella, "Verso la II guerra mondiale. Cronache politiche. Acta diurna 1933-1940", Roma - Bari, 1979.
Dal 1985, altri testi e articoli pubblicati sul giornale sono riuniti tematicamente nei volumi della collana “Quaderni de ‘L’Osservatore Romano’” pubblicata dalla Libreria Editrice Vaticana. Raccolte della nuova serie degli “Acta diurna” (anonimi ma attribuibili a vari autori) sono in "Acta diurna 1984-87". Presentazione di R. Manzini, Città del Vaticano, 1987 (Quaderni de “L’Osservatore Romano”, 4) e in M. Agnes, "Acta diurna. Dieci anni di avvenimenti visti da Oltretevere", Torino, 1995.
Manca una storia complessiva e attendibile de “L’Osservatore Romano”. Relativamente abbondante è invece la bibliografia:
E. Soderini, "Il pontificato di Leone XIII", II, Milano, 1933, pp. 75-81.
E. Rosa S. J., "L’Osservatore Romano e le benemerenze dei suoi direttori", “La civiltà cattolica”, 87 (1936), II, pp. 441-454.
C. Zazinovic, "L’Osservatore Romano negli ultimi dieci anni dello Stato Pontificio (1861-1870)". Estratti dalla dissertazione dottorale nella Facoltà di Storia Ecclesiastica della Pontificia Università Gregoriana, Roma, 1943.
A. Lazzarini, "L’Osservatore Romano", in "Vaticano", a cura di G. Fallani e M. Escobar, Firenze, 1946, pp. 631-652.
L. Huetter, "Ecclesia", in "Enciclopedia Cattolica", V, Città del Vaticano, 1950, coll. 36-37.
G. Anichini, "Illustrazione vaticana", in "Enciclopedia Cattolica", VI, Città del Vaticano, 1951, col. 1638.
F. Cavalli S. I., "Nel centenario dell’Osservatore Romano", “La civiltà cattolica”, 112 (1961), III, pp. 140-152.
C. Coppini, "I cento anni dell’Osservatore Romano”, Assisi, 1962.
G. Licata, "Giornalismo cattolico italiano (1861-1963)", Roma, 1963 (Universale Studium, 97).
O. Majolo Molinari, "La stampa periodica romana dell’Ottocento", Roma, 1963, pp. 266-267, 296-297, 421-422, 455-456, 525-526, 582-583, 617-618, 630-631, 648, 678-681.
F. Malgeri, "La stampa cattolica a Roma dal 1870 al 1915", Brescia, 1965, pp. 18, 142-146, 159-162, 221-222.
G. Dalla Torre, "Memorie", Milano, 1965.
F. Sandmann, "Die Haltung des Vatikans zum Nationalsozialismus im Spiegel des Osservatore Romano (von 1929 bis zum Kriegsausbruch)", Mainz, 1965; traduzione italiana: “L’Osservatore Romano e il nazionalsocialismo (1929-1939)", Roma, 1976 (Collana di storia del movimento cattolico, 38).
J. C. Merrill, "The Elite Press. Great Newspapers of the World", New Work - Toronto - London, 1968, pp. 232-239.
H. Jüterbock, "Die 'Terza Pagina' der italienischen Tageszeitung mit besonderer Berücksichtigung des Osservatore Romano”, München, 1970.
F. Leoni, “L’Osservatore Romano. Origini ed evoluzione", Napoli, 1970.
V. Levi, "L’Osservatore Romano", in "Il Vaticano e Roma cristiana", Città del Vaticano, 1975, pp. 365-368.
O. Majolo Molinari, "La stampa periodica romana dal 1900 al 1926 (scienze morali, storiche e filologiche)", Roma, 1977, pp. 528-534.
A. Albertazzi, "Casoni, Giambattista", in "Dizionario Biografico degli Italiani", XXI, Roma, 1978, pp. 398-403.
B. Lai, "Finanze e finanzieri vaticani tra l’Ottocento e il Novecento. Da Pio IX a Benedetto XV", Milano, 1979, pp. 95-100, 246-250.
E. Bressan, "Mito di uno Stato cattolico e realtà del regime: per una lettura dell’ Osservatore romano alla vigilia della Conciliazione", “Nuova Rivista Storica”, 64 (1980), pp. 81-128.
J. C. Merrill - H. A. Fisher, "The World’s Great Dailies. Profiles of Fifty Newspapers", New York, 1980, pp. 230-238.
N. Tranfaglia, P. Murialdi, M. Legnani, "La stampa italiana nell’età fascista", Roma - Bari, 1980 ("Storia della stampa italiana", IV), pp. 228-230.
G. Licata, "Centoventi anni di giornali dei cattolici italiani", Milano, 1981 (Il timone, 111).
C. Capuano, "La stampa cattolica in Italia", Palermo, 1982.
F. Malgeri, "Dalla Torre del Tempio di Sanguinetto, Giuseppe", in "Dizionario Biografico degli Italiani", XXXII, Roma, 1986, pp. 49-53.
G. Romanato, "Il tempo e la Chiesa di Giuseppe Dalla Torre", Padova, 1986.
A. Majo, "Storia della stampa cattolica in Italia. Con orientamenti bibliografici", Milano, 1987.
G. Ignesti, "Laici cristiani fra Chiesa e Stato nel Novecento. Profili e problemi", Roma, 1988, pp. 253-327.
N. M. Lugaro, "Raimondo Manzini giornalista cattolico", Milano, 1988.
F. Malgeri, "Alessandrini, Federico", in "Dizionario Biografico degli Italiani", XXXIV, Roma, 1988, pp. 49-52.
R. Morozzo della Rocca, "L’Osservatore Romano durante la prima guerra mondiale", “Rassegna Storica del Risorgimento”, 76 (1989), pp. 349-366.
M. Bongioanni, "Don Bosco in Vaticano", Città del Vaticano, 1990.
E. Bressan, "L’Osservatore Romano e le relazioni internazionali della Santa Sede (1917-1922)", in "Benedetto XV e la pace - 1918". A cura di G. Rumi, Brescia, 1990, pp. 233-253.
F. Malgeri, "Chiesa, cattolici e democrazia da Sturzo a De Gasperi", Brescia, 1990, pp. 55-82.
M. Agostino, "Le pape Pie XI et l’opinion (1922-1939)", Roma, 1991 (Collection de l’Ecole Française de Rome, 150).
G. Ignesti, "La Chiesa e gli Stati nel secondo dopoguerra attraverso L’Osservatore Romano", in "La figura e l’opera di Federico Alessandrini", Ancona, 1991, pp. 77-86.
P. Borzomati, “L’Osservatore Romano negli anni della guerra fredda", “Studium”, 88 (1992), pp. 81-96.
A. Majo, "La stampa cattolica in Italia. Storia e documentazione", Casale Monferrato, 1992.
M. Casella, "Giornali cattolici e società italiana. Religione politica democrazia nelle pagine de L’Osservatore Romano e de Il Quotidiano” (1944-1950)", Napoli, 1994.
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