29 settembre 2007

Il processo farsa all'imputato Gesù, un commento del cardinale Carlo Maria Martini


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Il processo farsa all'imputato Gesù

Il Vangelo di Giovanni indica la decadenza dell´istituzione che giudica Cristo È la prova che le tradizioni religiose possono diventare non autentiche e quindi devono essere superate

CARLO MARIA MARTINI

Gesù è davanti al sommo sacerdote, probabilmente ancora Anna, che lo interroga sui suoi discepoli e sul suo insegnamento. Egli risponde che ha parlato sempre in pubblico, ha insegnato nelle sinagoghe, nel tempio dove tutti si radunano; non comprende dunque perché viene interrogato, mentre si dovrebbero interpellare coloro che l´hanno ascoltato.
E' interessante notare che l´evangelista riferisce brevemente e in forma indiretta ciò che dicono gli accusatori, mentre fa parlare a lungo Gesù, presentandolo come colui che ha in mano la situazione, che insegna quale sarebbe stato il procedimento corretto, dando così una lezione al sommo sacerdote.
Ma mentre parla, una delle guardie lo schiaffeggia e gli dice: «Così rispondi al sommo sacerdote?». Gesù replica: «Se ho parlato male, dimostrami dov´è il male; ma se ho parlato bene, perché mi percuoti?». Nel Discorso della montagna aveva
insegnato: «Se uno ti percuote la guancia destra, tu porgigli anche l´altra» (Matteo 5,39). Ora tuttavia egli, con libertà somma, pacatamente e dignitosamente si difende, dimostrando la sua superiorità sulla situazione e di poterla dominare, pur se sta per essere sempre più schiacciato e umiliato. Questo schiaffo è di fatto il primo dei colpi che Gesù riceverà, il segno che non è intoccabile, che è possibile scagliarsi contro di lui impunemente; è un incoraggiamento per tutti coloro che in seguito vorranno colpirlo. Egli tuttavia rimane saldo nella sua serenità e nella sua forza interiore.
Termina qui il processo religioso. Ci viene riferito che «Anna mandò Gesù legato a Caifa, sommo sacerdote» , ma di un´azione processuale da parte di quest´ultimo non si fa parola. Soltanto si aggiunge, dopo una nuova interruzione su Pietro, che Gesù viene condotto dalla casa di Caifa al pretorio e si accenna al fatto che, poiché era l´alba, «essi non vollero entrare nel pretorio per non contaminarsi e poter mangiare la Pasqua».
Con questo accenno culturale, di carattere piuttosto ipocrita, si chiude il processo religioso, davvero brevissimo.
Ora vorrei tuttavia interrogarmi soprattutto sulla povertà del processo così come è presentato da Giovanni. Mentre è più plausibile nei sinottici, nel IV vangelo è una vera farsa, una caricatura.
Mi pare che Giovanni intenda probabilmente sottolineare un indice di decadenza religiosa e giuridica: Gesù viene portato davanti a chi non è autorizzato né a interrogarlo né a condannarlo e tocca a lui spiegare come andrebbe condotto il processo.
Ci troviamo davvero di fronte al crollo di una istituzione, una istituzione - notiamo - che avrebbe avuto il compito primario di riconoscere il Messia, verificandone le prove.
Sarebbe stato questo l´atto giuridico più alto di tutta la sua storia. Invece fallisce proprio lo scopo fondamentale.
Certamente i sommi sacerdoti hanno molti titoli di discolpa. Possiamo comprenderlo considerando tutta la storia di Gesù e il modo con cui egli si è presentato; soprattutto oggi si è molto sensibili alle scusanti del popolo ebraico e anche, in qualche modo, dei capi del popolo. Ciò non toglie che Giovanni ci mette di fronte a una istituzione che ha perso l´occasione provvidenziale in vista della quale era sorta.
Si pone qui un problema gravissimo, quello della possibilità che un´istituzione religiosa decada: si leggono ancora i testi sacri, però non sono più compresi, non hanno più forza, accecano invece di illuminare.
Molte volte ho insistito sulla necessità di giungere a superare le tradizioni religiose quando non sono più autentiche. Solo la parola di Dio, rappresentata qui da Gesù, è normativa e capace di dare chiarezza.
E ho pure affermato, a proposito della necessità di imparare a convivere tra diversi – la sfida più urgente della nostra civiltà –, che non dobbiamo tanto insistere sulla ortodossia religiosa delle singole parti, auspicando che ciascuno sia religioso al meglio secondo la sua tradizione. Le tradizioni, comprese le nostre, possono conoscere infatti anche delle forme di decadenza. Occorre piuttosto fermentarci e vivificarci a vicenda, al di là dell´appartenenza religiosa, così che ciascuno sia aiutato a rispondere di fronte a Dio.
Personalmente non sono favorevole al dialogo religioso quando considera le religioni come monoliti, realtà che devono dialogare restando immutabili. L´uomo è fatto per superare se stesso; come diceva Pascal: «L´uomo supera infinitamente l´uomo». Occorre dunque lasciarci fermentare a vicenda da parole vere e autentiche.
Parole vere e autentiche, non collegate a una tradizione religiosa precisa, le troviamo soprattutto nel Discorso della montagna. Parole che toccano ciò che di più sensibile c´è nell´esistenza umana: la fedeltà, la lealtà, l´umiltà – non sappia la destra ciò che fa la sinistra –, il perdono, il non preoccuparsi delle cose di questo mondo, non accumulare tesori, non giudicare per non essere giudicati, fare agli altri ciò che vorremmo fosse fatto a noi.
Questo è un insegnamento sicuro per tutti, che tocca nell´intimo il nostro cuore e ha la forza di rinnovare un ebreo, un cristiano, un musulmano, un indù, un buddhista, proprio in quanto attinge le profondità dello spirito.
Dunque, rimanendo necessario un dialogo a livello delle grandi religioni, pur se spesso un po´ formale, il nostro cammino interreligioso deve consistere soprattutto nel convertirci radicalmente alle parole di Gesù e, a partire da esse, aiutare gli altri a compiere lo stesso percorso.
In proposito mi colpisce un´analogia interessante con la cosiddetta «meditazione dei due vessilli» degli Esercizi spirituali di sant´Ignazio di Loyola, là dove si dice che Gesù raccomanda ai suoi discepoli di predicare la vera dottrina. Ora "dottrina" era la parola classica per indicare la Scrittura, la tradizione teologica cristiana. Ignazio invece propone come vera dottrina la povertà, l´umiltà, l´amore delle umiliazioni, il non ricercare se stessi: «Considerare il discorso che Cristo nostro Signore fa a tutti i suoi servi e amici che invia a tale lavoro, raccomandando loro di aiutare tutti col portarli, prima, a una somma povertà spirituale e, se piacerà alla sua divina maestà e li vorrà scegliere, anche alla povertà materiale; in secondo luogo, a desideri di obbrobri e disprezzi, perché da queste due cosa nasce l´umiltà».
Sono le verità di fondo del Discorso della montagna, assolutamente autentiche e affidabili, perché contengono anche la giusta critica alle tradizioni religiose degradate.
Ci rendiamo conto che il compito del discepolo è grande, è un compito di sincerità e di autenticità, e ad esso noi siamo continuamente spinti da una grazia superiore alle nostre forze, dalla grazia dello Spirito santo, che ci guida, ci stimola e ci sorregge.

(estratto dal libro “Le tenebre e la luce. Il dramma della fede di fronte a Gesù”, in uscita per Piemme)

© Copyright Repubblica, 29 settembre 2007

Scommettiamo che domani scoppiera' la polemica su alcune frasi del cardinale? Non serve essere Maga Maghella per indovinare dove si puntera' la lente di ingradimento...
R.

10 commenti:

mariateresa ha detto...

Spero proprio di no perchè sul tema della decadenza dell'istituzione ha parlato anche il Cardinale Ratzinger. Certo se uno vuole delle scuse per fare certi discorsi può attaccarsi a qualsiasi tram. Mi sembra un invito a dare delle precise priorità nel rapporto tra la propria tradizione religiosa e le altre , quindi un invito ai contenuti da dare al dialogo interreligioso. Un invito a essere aperti. Il linguaggio in realtà e anche il tema scelto non è nuovo per il Cardinale Martini.
Il clima che si è creato può far sospettare quello che dici, ma proprio non ho voglia di pensare all'ennesima querelle. Mi hanno un po' disgustata.
Il sottotitolo del pezzo a me sembra una forzatura che non sorprende su Repubblica.

mariateresa ha detto...

cara, vedo adesso in un altro sito chequeste parole di Martini fanno parte di un nuovo libro del Cardinale. Allora forse il libro farà discutere , nella sua interezza e non solo poche parole estratte dal libro.
Ma sono cose che ha detto e scritto tante volte. Si può dicutere anche se il suo approccio sia giusto o no. Personalmente credo che ci siano anche aspetti aprezzabili in questo modo di porsi di fronte all'altro, anche se è il più rischioso. Ci sono punti in comune in tutte le religioni, è vero,e tanti di questi punti sono nel Discorso della montagna.
Ma fare una specie di elenco dei punti in comune può portare per un tratto molto breve di strada tutti insieme. Anni fa, Hans Kung lavorava a qualcosa del genere (anzi forse ci lavora ancora) , una specie di manifesto di una religione dell'umanità. Quando però si è andati a tirare un po' di somme, per rispettare le rispettive sensibilità, lima quello, smussa quell'altro, cancella quest'altro, ricordo che sorsero discussioni sul fatto che l'elenco era diventato veramente miserino, insomma una lista di luoghi comuni.Quindi trovare un equilibrio in queste faccende non è affatto facile.
Bisogna anche stare attenti a cosa si va a limare di una tradizione. Non sono discorsi banali.
E' chiaro comunque che Martini è più favorevole a questo reciproco fermentarsi che a una concezione identitaria.Ma non è una novità.

Luisa ha detto...

Beh bisognerà leggere il libro che il cardinal Martini in questo articolo lancia e non ha certo scelto a caso questi passaggi che ,come si dice da noi , " sentono lo zolfo"
Leggo che Martini parla di tradizioni degradate,
di testi sacri che non sono più compresi, non hanno più forza ,che accecano invece di illuminare.
Martini auspica che bisogna superare le tradizioni religiose quando non sono più autentiche e che solo la parola di Dio, rappresentata qui da Gesù, è normativa e capace di dare chiarezza.
Niente ortodossia religiosa, religione monolita.
La dottrina non sarebbe la tradizione teologica cristiana riprendendo sant`Ignazio.
Poi dice anche che bisogna convertirsi radicalmente alle parole di Gesù e l`ignorante che sono non capisce più.
Dunque se ho ben capito, posso e devo prendere le parole di Gesù ma senza fare riferimento alla mia tradizione religiosa che forse non è più autentica, Gesù sì , ma la tradizione cristiana non necessariamente.
Ma come al solito quando leggo o ascolto il cardinal Martini, arrivo alla fine e non sono sicura di aver capito, leggo e rileggo e ancora il dubbio sussiste.
Se ho ben capito, per la convivenza religiosa è necessario andare oltre le tradizioni religiose e cercare di portare tutti all`essenza del messaggio di Gesù che troviamo nel suo Discorso sulla montagna che Martini dice non collegato ad una tradizione religiosa precisa.
E qui non lo seguo più.....

mariateresa ha detto...

a volte Martini è un po' schiccio, non ha tutti i torti Luisa.
però bisogna vedere cosa dice esattamente nel libro, come sviluppa il ragionamento. Perchè di sicuro un ragionamento c'è.
Anche se certa stampa dei ragionamenti si fa un baffo, anzi due.E questo, per recensire un libro di un gesuita non è proprio il massimo. Vedremo.

PS: mi duole citare Grillo. Vedo che oggi ha dichiarato che i giornali hanno completamente distorto un suo post e che la Pravda era più corretta dei giornali italiani nel dare le notizie. E' triste da dire ma anch'io l'ho pensato spesso.

Anonimo ha detto...

Ma il Discorso della Montagna senza la Grazia di Dio non si può seguire. E non si può habere la Grazia senza i sacramenti. Per il cardinale, sono questi parte della tradizione dispensabile? Dei semplici rituali oltre i quali c`è soltanto la condotta verso il prossimo? Sembtra anche dire che la Scrittura vale piú della Tradizione? Questi sono errori vecchi. Non credo che il cardinale parli di questo. Forse ci dice che se non c´è l´amore le tradizioni (forse non la Tradizione) diventano nulla. E che l´amore è verso il prossimo, specialmente quello che non è il nostro correligonario -scusate il termino-, specialmente oggi che non abbiamo unità religiosa. E che forse anche quelli che non sono cattolici possono habere questo orientamento verso Dio che garantisce amore al prossimo. Al di là del dialogo istituzionale, il quale nonostante non può abbandonarse, visto che dentro della Chiesa c´è la totalità dei mezzi di santificazione. E ché cosa è la santificazione sino il perfetto amore a Dio e, attraverso questo, l´amore al prossimo del Discroso della Montagna?
RA.-

Anonimo ha detto...

W il cardinal Martini!!!! Le sue parole sono sempre state per me un punto di riferimento prezioso per la crescita e il discernimento nella fede. Devo dire che da quando è non è più arcivescovo di Milano si espone ancora di più, cercando di tenere vivo il dialogo con quanti (nella chiesa e fuori) soffrono per l'approccio identitario e "apologetico" che pare prevalere negli ultimi anni. Giovanni Giuranna - Paderno Dugnano (MI)

francesco ha detto...

il discorso del cardinal Martini chiaramente presuppone una scelta identitaria chiara... sono cristiano, sono musulmano, sono tdg... sono convinto di esserlo... ma cerco Dio oltre la mia forma religiosa, cerco Dio e non altro... non l'affermazione del mio gruppo religioso...
è la distinzione tra proselitismo ed evangelizzazione...
mi pare falsa la contrapposizione "identità" / "dialogo"... perché soltanto chi ha una chiara identità di sè (non esibita, non "orgogliosa") può realmente dialogare senza temere di perdere sè stesso, ma entrando in un rapporto "fecondo" con l'altro...
l'apparente contraddizione tra dialogo e affermazione della centralità di Gesù deriva dal fatto che se Dio è il termine ultimo di ogni ricerca religiosa, Gesù è l'unica via vera per giungerci... qui gioverebbe rileggere il cap. 14 di Gv... il Padre non è mostrato ("nessuno mai ha visto Dio"), ma si conosce la via... ed è Gesù
a qualunque tradizione religiosa si appartenga...
interessante, invece, il discorso sulle istituzioni che falliscono, che decadono... e il fatto che il passato anche religioso possa essere colmo di lacune, di sbagli, di errori... in effetti Dio è sempre oltre, avanti... al termine del cammino

Ghergon ha detto...

Il Cardinal Martini è un uomo di fede ma mi sembra un po'confuso su alcune cose e sembra voler diffondere con sicurezza le sue incertezze e le sue incomprensioni al prossimo.
Sembra che scordi con troppa disinvoltura cosa sia il depositum fidei arrivando alle volte al parossismo di sembrare per certi versi un vero protestante...ma come mai è così ostico alla tradizione della Santa Chiesa Cattolica?

Anonimo ha detto...

A quanto mi sembra di capire il Cardinal Martini ritiene solo il Vangelo, autentico e affidabile mentre la tradizione religiosa degradata...
Sono dell'idea che questi pastori illuminati forse siano po' confusi su alcune cose.
Confusi mi permetto di dire ma certi di voler diffondere con sicurezza le loro incertezze e le loro incomprensioni al prossimo.
Il Cardinal sembra voler relegare nel dimenticatoio con un po' troppa disinvoltura il depositum fidei arrivando al parossismo di sembrare alle volte quasi un vero protestante...parla nelle ultime righe di apoggio dello Spirito Santo per le sue idee innovatrici ma sembra scordare che per duemila anni proprio lo Spirito Santo ha modellato la Chiesa nella intatta forma Gloriosa giunta così fino a noi e che a lui però non piace..bisogna vedere quindi di quale spirito parla e il perchè è così ostico verso la liturgia e le tradizioni della Santa Chiesa Cattolica.

Anonimo ha detto...

Il Cardinal Martini non parla di decadenza della fede, né delle istituzione che da essa dipendono. Non è quindi in discussione il deposito della fede, né i sacramenti.
Parla di decadenza delle istituzioni religiose.
La differenza è che gli uomini sono naturalmente religiosi, sia che abbiano incontrato la rivelazione cristiana, sia che non l'abbiano incontrata.
Ora, ciò che è naturale non viene tolto dalla grazia. Anche il credente è religioso. La dimensione religiosa rimane, ma continua a essere bisognosa di purificazione.