27 novembre 2007

Messa tridentina: intervento del vescovo di Novara


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R.

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la riflessione

L’intervento del vescovo di Novara sull’attuazione del Motu proprio

In riferimento a voci che si susseguono nei giornali in ordine all’attuazione del Motu proprio sulla liturgia «Summorum Pontificum», pubblichiamo il testo che il vescovo di Novara, monsignor Renato Corti, ha indirizzato ai suoi sacerdoti e che porta il significativo titolo «La concorde unità della celebrazione liturgica»: ci pare prezioso in ordine alla formulazione di un giudizio su vicende oggi all’interesse della stampa.

A proposito del recente Motu proprio mi sembra opportuno ricordare anzitutto quanto viene detto da Benedetto XVI nell’Esortazione apostolica Sacramentum caritatis (22 febbraio 2007): «In relazione alla corretta ars celebrandi un compito imprescindibile spetta a coloro che hanno ricevuto il sacramento dell’ordine: vescovi, sacerdoti e diaconi, ciascuno secondo il proprio grado, devono considerare la celebrazione come loro principale dovere ».
A proposito del vescovo diocesano si afferma che egli «è la guida, il promotore e il custode di tutta la vita liturgica». Si aggiunge che «la comunione con il vescovo è la condizione perché ogni celebrazione sul territorio sia legittima». Perciò si conclude che «a lui spetta salvaguardare la concorde unità delle celebrazioni nella sua diocesi».
Pertanto dovrà «fare in modo che i presbiteri, i diaconi e i fedeli comprendano sempre più il senso autentico dei riti e dei testi liturgici e così siano condotti ad un’attiva e fruttuosa celebrazione dell’Eucaristia'» (n. 39).
Ho già commentato questo testo del Papa nell’omelia della Messa crismale del Giovedì Santo. Sono in dovere di applicarlo nel modo più pieno possibile e di chiedere ai sacerdoti di offrire il proprio contributo alla «concorde unità della celebrazione» eucaristica in diocesi.
Con riferimento specifico al Motu proprio del 7 luglio scorso sono stati resi noti interventi ufficiali, da parte della nostra diocesi, con una mia lettera e una nota del provicario generale. Tali interventi, pubblicati sul settimanale diocesano in data 14 luglio e sulla Rivista diocesana novarese (settembre 2007), erano rivolti ai sacerdoti e a tutti i fedeli come orientamento autorevole circa l’attuazione del documento.
Onde favorire una conoscenza diretta del pensiero del Santo Padre, ricordo di nuovo alcuni passaggi del Motu proprio.
Si legge che «il Messale Romano promulgato da Paolo VI è l’espressione ordinaria della 'lex orandi' della Chiesa cattolica di rito latino. Tuttavia il Messale Romano promulgato da san Pio V e nuovamente edito dal beato Giovanni XXIII deve venir considerato come espressione straordinaria della stessa 'lex orandi' e deve essere tenuto in debito onore per il suo uso venerabile e antico. Queste due espressioni della 'lex orandi' della Chiesa non porteranno in alcun modo a una divisione nella 'lex credendi' della Chiesa; sono infatti due usi dell’unico rito romano. Perciò è lecito celebrare il sacrificio della Messa secondo l’edizione tipica del Messale Romano promulgato dal beato Giovanni XXIII nel 1962 e mai abrogato, come forma straordinaria della liturgia della Chiesa» (art. 1). Il Papa aggiunge: «Nelle parrocchie, in cui esiste stabilmente un gruppo di fedeli aderenti alla precedente tradizione liturgica, il parroco accolga volentieri le loro richieste per la celebrazione della santa Messa secondo il rito del Messale Romano edito nel 1962. Provveda a che il bene di questi fedeli si armonizzi con la cura pastorale ordinaria della parrocchia, sotto la guida del vescovo a norma del canone 392, evitando la discordia e favorendo l’unità di tutta la Chiesa». E ancora: «La celebrazione secondo il Messale del beato Giovanni XXIII può aver luogo nei giorni feriali; nelle domeniche e nelle festività si può avere anche una celebrazione del genere ( una etiam celebratio huiusmodi fieri potest) » (Art. 5, § 1-2).
Nella lettera che accompagna il Motu proprio Benedetto XVI afferma che «ovviamente per vivere la piena comunione, anche i sacerdoti delle comunità aderenti all’uso antico non possono in linea di principio, escludere la celebrazione secondo i libri nuovi. Non sarebbe infatti coerente con il riconoscimento del valore e della santità del nuovo rito l’esclusione totale dello stesso».
Come si vede, il Motu proprio può essere messo in atto «nelle parrocchie nelle quali esiste stabilmente un gruppo di fedeli aderenti alla precedente tradizione liturgica». Qualora esistano tali condizioni, nelle domeniche e nelle feste è obbligatorio celebrare le sante Messe in piena conformità al Messale di Paolo VI indicato come «forma ordinaria».
Rimane possibile celebrare una santa Messa (una sola) nella «forma straordinaria», e cioè quella del Messale di Giovanni XXIII.
Tale celebrazione, destinata al «coetus fidelium» che l’ha chiesta, non deve sostituire le Messe nella «forma ordinaria», destinate all’intera comunità parrocchiale. Da parte dei parroci va dunque garantita la «forma ordinaria» della celebrazione eucaristica, soprattutto nei giorni di festa e nelle domeniche.
Voglio concludere dando evidenza a due intenzioni che hanno condotto il Papa a scrivere il Motu proprio. La prima è che la riforma liturgica venga compresa e praticata in tutta la sua ricchezza. In tal modo «nella celebrazione della Messa secondo il Messale di Paolo VI potrà manifestarsi, in maniera più forte di quanto non lo è spesso finora, quella sacralità che attrae molti all’antico uso. La garanzia più sicura che il Messale di Paolo VI possa unire le comunità parrocchiali e venga da loro amato consiste nel celebrare con grande riverenza in conformità alle prescrizioni; ciò rende visibile la ricchezza spirituale e la profondità teologica di questo Messale».
La seconda intenzione è che il Motu proprio favorisca «una riconciliazione interna nel seno della Chiesa». È evidente che questa speranza espressa dal Papa chiede, in particolare ai sacerdoti, di compiere dei passi che abbiano come logica profonda l’unità interna alla parrocchia stessa, nell’accoglienza di tutto il popolo di Dio loro affidato; e poi l’unità con il presbiterio e con la diocesi intera, e in particolare con il vescovo. Tenendo conto di questo suggerimento del Papa si eviteranno incertezze e sofferenze nelle nostre comunità. Si favorirà inoltre che, nel prossimo futuro, grande sia la premura nei confronti della celebrazione liturgica in tutte le nostre comunità, così da valorizzare le ricchezze che i santi riti contengono. Prego Dio perché questo spirito di unità venga chiaramente testimoniato.

Renato Corti, vescovo di Novara

© Copyright Avvenire, 27 novembre 2007

8 commenti:

brustef1 ha detto...

E' tutto abbastanza chiaro, mi sembra solo un po' forzata l'interpretazione letterale con cui mons. Corti sottolinea che è possibile celebrare "una sola" Messa domenicale secondo il Messale di Giovanni XXIII. Interpretazione un po' capziosa, dato che il "sola" nel passo latino citato non c'è proprio.

Anonimo ha detto...

Nel testo in latino si parla di "una etiam".
tuttavia il nocciolo della questione è un altro.
Alcuni reverendissimi ordinari pretendono di mantenere le condizioni precedenti al Summorum Pontificum (coi motu proprio Ecclesia Dei e Quattuor abhinc annos) secondo le quali spettava al Vescovo decidere riguardo l'utilizzo del messale del 1962.
Col Summorum Pontificum (dato che la suddetta gestione non sempre é stata ben portata avanti dai vescovi) la musica è cambiata.
Spetta ai parroci decidere. I Vescovi devono solo verificare che si diano le condizioni, e risolvere eventuali "disaccordi", trovando il modo di accontentare le richieste dei fedeli legati al Messale Romano del 1962.
Trovo le considerazioni novaresi di cattivo gusto, come dire "IO sono il liturgo! IO sono quello che deve decidere..:" Eh no, caro mio! Dal 7 luglio 2007 non è più così. Non potete più decidere arbitrariamente.

brustef1 ha detto...

Non vorrei essere pignolo ma "una etiam" vuol dire "anche una", non "anche una sola"

euge ha detto...

Per quanto riguarda la supremazia dei Vescovi nell'accordare o meno la celebrazione con il Messale del 1962 sono d'accordo con sicut ignis. Infatti, tutti dovrebbero sapere e secondo me lo sanno, che con il documento Summorum Pontificum, il loro compito è cambiato perchè come hai detto tu sono i parroci che devono decidere. Il problema forse, sta nel fatto che i Vescovi si sentono sminuiti nell'esercitare il loro potere; potere, che molte volte, è stato sinonimo di arroganza e di abuso litergico e non diciano che non è vero perchè i fatti in diverse occasioni lo hanno dimostrato. Ecco, sentirsi defraudati di questo potere, insieme al fatto gravissimo che oggi pochissimi sacerdoti sanno la lingua latina perchè non si studia più nei seminari e la circostanza che il Summorum Pontificum porti la firma di Benedetto XVI, ha fatto il resto. Qui non si tratta di non capire, del documento che non è chiaro o altro qui si tratta del fatto che pur essendo il documento di una chiarezza quasi elementare, non si vuol capire e come sempre è il cane che si morde la coda ....... il motivo fondamentale, è dimostrare a tutti, che la chiesa attualmente, non è unita al suo pastore una visione che alimenta le fantasie già deturpate di certe testate giornalistiche ma, che fa comodo, a quella parte di chiesa fautrice della modernità a tutti costi, promulgatrice in nome di chissà quale modernità e libertà della religione fai da te. In pratica una chiesa non che si evolve perchè una evoluzione seria e consapevole parte sempre da una base di tradizione e non tradizionalista ma, una chiesa che snatura la sua vera identità e la trasforma per far piacere a quasta o quella corrente politica oppure per far piacere ad una generazione di giovani, che non ha più ne punti fermi, ne valori, ne carattere e ne personalità.
Eugenia

Angelo ha detto...

Sante parole, in totale sintonia con il Santo Padre.

Ignazio ha detto...

Sono d'accordissimo con quello che scrive Eugenia.
Ultimamente ci si è dimenticati che la fede cattolica è come un tavolino che si poggia su tre gambe: Scrittura, Magistero e Tradizione. Se ne manca solo una (o si tentano equilibrismi come negli ultimi tempi tipo "sola scrittura"...) il tavolino non regge.
Amore alla Tradizione della Chiesa, non tradizionalismo cieco e sterile

Anonimo ha detto...

Per Eugenia: hai ragione, salvo dove scrivi che la Chiesa snatura la sua identità per far piacere a una generazione di giovani.
Guarda che in realtà i giovani oggi (perlomeno quelli che non hanno abbandonato la Chiesa) vogliono in grande maggioranza il ritorno alle tradizioni e anche al latino, perfino se non lo capiscono: l'abbiamo ben verificato raccogliendo 150 firme per costituire un gruppo stabile.
I contrari sono gli anzianotti, quelli che erano giovani nei '60-'70, e più dei laici i clerici di quella "generazione perduta".
Il problema è che al comando ci sono ancora loro...
Enrico

euge ha detto...

Caro Enrico se quello che dici corrisponde a verità e se lo scivi voglio credere che sia vero, sono veramente contenta e sono contenta di essermi sbagliata.
Grazie Eugenia
P.s peccato che questo che tu asserisci, non l'ho constatato di persona anzi semmai ho potuto verificare il contrario per questo l'ho scritto nel mio post.