30 marzo 2007

Rassegna stampa del 30 marzo 2007


Anche oggi valanghe di articoli sui DICO e la nota della CEI. Faro' una cernita fra i vari giornali al fine di non annoiarvi con le solite, ormai scontate, riflessioni. In un successivo post verranno pubblicati gli editoriali di Melloni ed Alberigo.
Seguira' anche uno speciale sull'inferno.
Mi dispiace moltissimo che nessun quotidiano si sia sentito in dovere di scrivere mezzo articolo sulla celebrazione penitenziale di ieri sera.
Evidentemente 20mila giovani della diocesi di Roma, desiderosi di incontrare ed ascoltare il Papa, non fanno notizia...
Che strano! Eppure altre manifestazioni, che hanno raccolto piu' o meno lo stesso numero di partecipanti, si sono aggiudicate per giorni pagine e pagine di carta stampata.

Raffaella


Il ministro dell'Interno: no a impostazioni unilaterali, da società islamizzate. Critiche di Boselli a Quercia e Dl: silenzio assordante su una vera ingerenza

Dico, critiche ai vescovi da Amato e Fassino
Il segretario diessino: la Nota va oltre il giusto. Monsignor Anfossi: da noi nessuna pressione indebita

ROMA — Monsignor Giuseppe Anfossi, presidente della Commissione Cei per la famiglia, ha spiegato alla Radio Vaticana che il documento dei vescovi sui Dico non intendeva «fare pressioni indebite» sui parlamentari. Ma il mondo politico è rimasto colpito dalla dura presa di posizione della Conferenza episcopale, ribadita ieri dal Sir, l'agenzia ufficiale della Cei, che ha chiesto ai politici cattolici di essere coerenti e di «abbandonare i sofismi». Tanto che aperte critiche alla «Nota» sono arrivate dal leader dei Ds, Piero Fassino, e dal ministro dell'Interno Giuliano Amato. Fassino, pur con un linguaggio prudente, ospite di La Storia siamo noi,
il programma di Giovanni Minoli, ha preso le distanze dalla Nota sostenendo che «è interessante, ma su questo punto va al di là del giusto». Il "punto" in questione è quello del monito ai politici cattolici sulla proposta di legge sui Dico. Amato, appellandosi al filosofo cristiano Maritain, ha addirittura evocato il rischio di islamizzazione della nostra società invitando a realizzare il bene comune tenendo conto di tutte le visioni presenti nel dibattito pubblico, senza imporne unilateralmente una: «perché questo appunto è ciò che viene fatto nelle società che noi critichiamo in quanto islamizzate».
Ad alzo zero i «laici» doc come Enrico Boselli dello Sdi che ha puntato l'indice contro «il silenzio assordante» di Fassino e Rutelli pur in presenza di «una ingerenza vera e propria visto che i vescovi invitano a non votare un disegno di legge del governo». Boselli se l'è presa anche con il Tg1 accusato di essere l'house organ
del nascente Partito democratico che taglia fuori i laici. Contro la Nota Cei anche la rivista
Micromega.
I cattolici della Casa delle Libertà, hanno nuovamente sollecitato quelli del centrosinistra a seguire l'indicazione alla «coerenza» venuta dai vescovi. «La Nota della Cei è vincolante per i politici cattolici — ha dichiarato il presidente della Regione Lombardia, Roberto Formigoni — lo dice la Nota stessa; l'autonomia di un politico che vuole essere cattolico è ovviamente all'interno della fede che egli dice di professare». Sulla stessa lunghezza i teodem della Margherita e quelli dell'Udeur. Mentre secondo Francesco Cossiga «i «cattolici democratici» sono rimasti delusi dopo aver interpretato la sostituzione di Ruini con Bagnasco come un ammorbidimento di linea.
Quanto al Family day Fassino ha giudicato inopportuna la presenza alla manifestazione dei big politici per evitare «di sovrapporre la nostra immagine».
Ma a differenza del vicepremier Rutelli, che nei giorni scorsi si è più volte espresso contro la presenza in piazza dei ministri Fioroni e Mastella, il segretario ds ha detto che «non c'è nessun problema» se a piazza san Giovanni ci andranno dei rappresentanti del governo.

Corriere della sera, 30 marzo 2007

Trovo gravissimo e pericoloso che un ministro della Repubblica faccia certe affermazioni...
Pensiamo piuttosto a fare il possibile per liberare l'interprete di Mastrogiacomo!



“Anche i politici hanno libertà di coscienza”

«La nota della Cei è una parola chiara e doverosa sul valore sacrale della famiglia, però adesso noi vescovi dobbiamo lasciare la decisione alla coscienza dei singoli parlamentari». Il vescovo di Gubbio Mario Ceccobelli, ex vicario diocesano di Perugia, non ci sta a veder negata l’autonomia dei politici cattolici.
Eppure la nota stabilisce che il cattolico non può appellarsi al principio del pluralismo e dell’autonomia dei laici in politica.
«L’ultima istanza resta sempre la coscienza. La Chiesa non può avere nessun altro tipo di costrizione che fare appello alla coscienza dei singoli. Non possiamo mica mandare l’esercito per far rispettare le nostre indicazioni sui valori. Possiamo solo insegnare, fare appello alla coscienza e ribadire la legge scritta in ogni essere umano. Però, senza forme impositive. Se un politico agisce contro i valori che noi predichiamo, è la sua coscienza che deve farlo sentire in contraddizione, non un’imposizione o una prescrizione. Quello che viene presentato come un pronunciamento contro i Dico è solo un insegnamento autorevole della Chiesa sulla famiglia».
E la comunione ai parlamentari che votano i Dico?
«Non c’è nesso con l’eucarestia. L’eucarestia entra in causa quando il singolo si pone al di fuori della Chiesa con i suoi comportamenti, ma non è il caso dei Dico. E non non sarò certo io vescovo ad escludere qualcuno dalla comunione. Sarebbe una sconfitta se la Chiesa rinunciasse alla sua missione materna di educazione e formazione cristiana delle coscienze. Noi vescovi non condanniamo, ma come maestri della fede ricordiamo i contenuti della legge naturale. La famiglia è fondata sul matrimonio, che sia religioso per i credenti o civile per i non credenti, come dice la Costituzione. E’ un principio laico».
E i conviventi?
«Le convivenze sono un fatto reale, un dato di realtà e lo Stato può certamente tutelarle attraverso il codice civile, senza creare un modello di unione alternativo al matrimonio. Come vescovo mi preoccupo del messaggio: da una parte il matrimonio con diritti e doveri, dall’altra la convivenza con soli diritti. Ovvio che i giovani preferiscano la scorciatoia alla via maestra. Però condannare non serve. Sia per il parlamentare cattolico che vota i Dico, sia per chi sceglie di convivere invece che sposarsi alla fine conta la coscienza».
Senza divieti?
«Io parto dal richiamo ai valori cristiani fatto dal Concilio Vaticano II. Per questo preferisco occuparmi di formare ed educare alla fede le coscienze. Il mio metro è il Vangelo e l’insegnamento della Chiesa. Oggi c’è bisogno di educazione, non di prescrizioni. A me interessa insegnare, seminare la parola di Dio, i cui tempi di maturazione variano da caso a caso. Poi sta al singolo cattolico impegnato in politica ascoltare o non ascoltare. Certo se non si ascolta la voce della Chiesa poi si fa fatica a dirsi cristiano».
Come si comporterà ora che è stata emesse la nota Cei?
«Intanto io faccio la mia parte e spero che l’insegnamento sia raccolto e dia frutto. Chi semina non pretende il raccolto ma spera di ottenerlo. A me interessa che nel formarsi un libero convincimento sui Dico i parlamentari cattolici tengano presente la pluralità di significati religiosi e laici della famiglia. E il mio compito non è metterli fuori dalla Chiesa o obbligarli ad ubbidire ma aiutarli a scegliere responsabilmente, nell’interesse del bene comune».

La Stampa, 30 marzo 2007


“A chi vota sì non darò più la comunione”

«Se un comportamento contrario al Vangelo è risaputo, se tutti conoscono l’azione di un parlamentare contro la sacralità della famiglia, dargli la comunione diventa un vero scandalo». L’arcivescovo metropolita dell’Aquila, Giuseppe Molinari, membro della commissione episcopale per l’Evangelizzazione, avrebbe voluto che nella nota Cei fosse riportata la restrizione all’accesso ai sacramenti (contenuta nei documenti di Joseph Ratzinger) per i legislatori che «vanno contro i valori fondamentali della natura umana», come il rispetto della famiglia fondata sul matrimonio tra uomo e donna. «Votare i Dico ha chiaramente un “nesso obiettivo con l’Eucarestia”, per usare le parole dei pronunciamenti dell’ex Sant’Uffizio e dell’esortazione post-sinodale “Sacramentum caritatis”».
Niente comunione ai parlamentari che equiparano per legge le unioni di fatto alla famiglia?
«Se io sacerdote so che quel parlamentare si dice cattolico, ma nella sua azione politica si comporta in un modo che è del tutto opposto al Vangelo, allora faccio bene a non dargli la comunione. Se non gliela negassi, l’eucarestia verrebbe tramutata in ostentazione e avallo dell’errore. Il cattolico realmente “adulto” è quello che segue l’insegnamento del Vangelo, della Chiesa e dei vescovi. Appellarsi all’autonomia di coscienza basata su una fede “fai da te” è un’inaccettabile incoerenza. Se non è indirizzata dal Magistero la coscienza del legislatore diventa erronea e lo conduce sulla strada sbagliata. Occorre ripartire dal nesso con l’Eucarestia ribadito dal Papa nel suo ultimo documento. La nota Cei è molto dialogante, fin dove è possibile. L’esortazione papale è più netta ed esplicita».
Cioè?
«Afferma la coerenza eucaristica. Come fa un parlamentare cattolico a calpestare la sacralità della famiglia, poi ad avvicinarsi ai sacramenti e fare la comunione? Il sinodo sull’Eucarestia è il frutto dell’enorme lavoro degli ultimi due papi e dei padri sinodali. Ne scaturisce la coerenza tra eucarestia e comportamenti concreti. Ricevere la comunione significa accettare nella propria vita l’insegnamento morale e dottrinario di Cristo. Non si può prescindere da ciò. E’ una incoerenza tremenda fare la comunione rifiutando ciò che Gesù ha insegnato. Chi vota la legge sui Dico, poi non può fare finta di niente in Chiesa. Noi vescovi siamo tenuti a richiamare il nesso tra testimonianza dei valori ed eucarestia. Abbiamo questa responsabilità nei confronti dei politici cattolici. Operare ai danni della famiglia e dirsi cristiano è il colmo dell’incoerenza e della contraddizione».
Una Chiesa anti-moderna?
«Se si chiede alla Chiesa di adeguarsi al mondo moderno, la si condanna a non avere più niente da dire e a smettere di essere il sale della terra. Oggi difendere la sacralità della famiglia significa andare controcorrente per richiamare i valori autentici. Se il parlamentare sbandiera di ispirarsi al Vangelo, al cristianesimo, allora deve ubbidire al Magistero nella sua azione politica. Se segue il pensiero e il comportamento correnti che cristiano è? Finché si tratta, per esempio, della nazionalizzazione dell’energia elettrica uno può avere tutte le idee che vuole, ma se è in ballo il rispetto dei principi etici fondamentali non si può chiamare in causa il pluralismo. Il politico che vota i Dico deve confessarsi proprio per questo nesso tra azione del legislatore e pratica religiosa. Una fede a proprio comodo è un controsenso: la verità non si decide a maggioranza».

La Stampa, 30 marzo 2007

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