16 marzo 2007

Una ventata di aria fresca da parte di alcuni giornali...


“L'Osservatore Romano” e i “pregiudizi” italiani sugli interventi del Papa

CITTA’ DEL VATICANO, giovedì, 15 marzo 2007 (ZENIT.org).- Pubblichiamo l'articolo a firma di Gaetano Vallini, apparso nell'edizione quotidiana de “L'Osservatore Romano” del 16 marzo, dal titolo “Un orizzonte ristretto”.

UN ORIZZONTE RISTRETTO

Il Papa ce l'ha proprio con l'Italia, non c'è che dire. A sentire i politici, infatti, ogni suo intervento è un'intollerabile ingerenza nelle cose dello Stato italiano. Del resto, gli echi sulla stampa degli interventi del Santo Padre e delle stizzite risposte di alcuni politici sembrano confermare nell'opinione pubblica questa visione. Ma la realtà è ben diversa. A cominciare dall'ultimo "intervento" di Benedetto XVI finito sulle prime pagine di mercoledì. Passi che di un documento di 130 pagine si prenda una frase ad effetto, ma forse si dovrebbe spiegare che quella frase è parte di una Esortazione Apostolica, ovvero un documento del Magistero pontificio che è indirizzato alla Chiesa universale e non soltanto alla Chiesa in Italia o, più genericamente, all'Italia.

Allo stesso modo, molti altri interventi del Papa sulla famiglia sono stati svolti in contesti non riservati a rappresentanti italiani, fossero essi membri di organismi ecclesiali o istituzionali, e avevano, quindi, una valenza ben più ampia. Ma chi se n'è accorto? Chi lo ha sottolineato? Ritenere che tutto riguardi sempre e solo il proprio ristretto orizzonte non è solo segno di grettezza e di provincialismo, ma anche di ignoranza, perché molti dei politici che parlano di cose di Chiesa, della Chiesa non sanno nulla, o quasi. E questa è una grave lacuna. Se si vuole criticare, bisogna conoscere, cioè leggere i testi. Ma è anche chiaro che, a volte, ignorare può far comodo. Non mancano, tuttavia, commentatori più attenti, che conoscono prassi e terminologia ecclesiali. Ciononostante qualcuno di essi avanza dubbi sul fatto che il documento di Benedetto XVI rispecchi effettivamente le posizioni espresse nell'XI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi (2-23 ottobre 2005).

Forse è bene ricordare che il Papa ha presenziato a tutte le riunioni (congregazioni), ascoltando le relazioni introduttive, gli interventi di tutti i padri sinodali e le conclusioni. Tutto questo materiale è stato peraltro diffuso ampiamente dalla Sala Stampa della Santa Sede e pubblicato su L'Osservatore Romano. Per verificare, dunque, se l'Esortazione Apostolica rispecchi i contenuti dei lavori basta andare a leggere questo imponente materiale.

Affermare che il documento non sia altro che un elenco di comportamenti censurati, ovvero di sole proibizioni, è questione di prospettiva, oltre che frutto di una lettura evidentemente frettolosa o parziale. Basterebbe trasformare quei "no" in "sì all'amore autentico", come suggerì lo stesso Benedetto XVI a Verona, per accorgersene. Ma questo esercizio può risultare scomodo e così è più facile vedere nel documento un "rafforzamento della funzione conservatrice" della Chiesa, addirittura una "introduzione di germi di dissoluzione" del corpo ecclesiale, di cui non si sarebbero avveduti i "consiglieri del Santo Padre".

Se per conservazione si intende la difesa di quei valori di fondo talora eticamente condivisi anche dai "lontani", allora sì, si tratta di un documento conservatore. Del resto, non tutto ciò che è nuovo è per definizione un bene, soprattutto in campo etico. Meno facile è comprendere perché un simile documento potrebbe introdurre germi di dissoluzione nel corpo ecclesiale. È vero, si tratta di un documento esigente, al pari di altri: ma l'invocata "trasparenza evangelica" non passa forse attraverso una testimonianza coerente e, per questo, esigente, di ciascuno dei credenti secondo i propri carismi e responsabilità? A meno che la logica del compromesso, che poi finisce per essere la giustificazione del male minore, non debba diventare prassi pastorale. Allora tutto diventa relativo, anche i valori. Persino la fede. Ciò detto, riteniamo che l'impatto pastorale di questo importante documento - una delle preoccupazioni sottolineate nei rilievi - sarà determinato dalla maturità e dalla libertà interiore di quanti lo leggeranno e lo vivranno, non certo dai condizionamenti di questo o di quell'ambiente.

Un'ultima notazione. Sorprende vedere come oggi, quando la Chiesa, attraverso il Papa o i Vescovi, parla di quelli che considera valori non negoziabili, qualcuno riproponga puntualmente le stesse reazioni da trent'anni. La critica, quella sì, appare in parte pietrificata in schemi del passato, arroccata su posizioni già note. Allo stesso modo, c'è chi continua ancora a ritenere che talune "cattedre" possano farsi maestre verso la "Cattedra", che in questo caso ha raccolto, approfondito e rilanciato autorevolmente le voci dei Pastori del mondo intero. Prima di continuare semplicisticamente a definire conservatrice la Chiesa - e sarebbe anche il caso di chiedersi una volta per tutte perché a tale termine debba sempre essere data un'accezione negativa - forse bisognerebbe provare a rinnovare anche la dialettica della critica.

La realtà è che siamo di fronte ad un alto atto del Magistero teso ad indirizzare e ad illuminare il cammino futuro della Chiesa universale. Un documento ricchissimo, un dono prezioso, un atto di amore. Solo chi ha pregiudizi riesce a leggerlo - ammesso che lo abbia letto e non si sia fidato solo delle notizie di agenzia - come un freddo elenco di proibizioni.

(©L'Osservatore Romano - 16 Marzo 2007)

Agenzia Zenit

Davvero straordinario questo articolo dell'Osservatore. Sembra fra l'altro anticipare il nostro discorso sull'intervento di un noto porporato che della logica del male minore pare abbia fatto una bandiera.
Ebbene, permettetemi di dirvi una cosa, fuori dai denti: la logica del male minore (che poi altro non e' che una logica di compromesso) apri', a suo tempo come oggi, un varco alla "protestantizzazione" della fede cattolica. Ripensiamo, quindi, al valore autentico del concilio: riforma non rivoluzione!!!!

Raffaella


Gli irrinunciabili principi etici e quelle accuse di «lesa laicità»

di Bruno Fasani

È difficile seguire i percorsi logici di certo giornalismo nostrano. A sentire i resoconti sull’Esortazione apostolica di Benedetto XVI, si ha l’impressione di un intervento a gamba tesa negli affari privati dello Stato italiano. Da qui i proclami di «lesa laicità» e la richiesta di rimettere in discussione il Concordato. Ma qual è l’oggetto del contendere? La scintilla che ha acceso il fuoco delle polemiche è dove si dice che chi, occupando particolari posizioni sociali o ruoli politici, vuol essere coerente con il fatto di accostarsi all’eucaristia, «è particolarmente interpellato, nella propria coscienza, a presentare e sostenere leggi ispirate ai valori fondamentali della natura umana».

Potrebbe essere un testo che va bene, non solo per tutte le religioni, ma per tutte le Costituzioni. Non si parla infatti di principi evangelici, ma di natura. Perché sentirla allora come un’ingerenza cattolica? Viene spontanea una prima domanda da porre agli zelanti farisei della laicità atea e anticlericale: su quali fondamenti si regge l’etica di un non credente? Perché dovrebbe risultare chiaro che anche chi non fa riferimento a Dio dovrà pur avere una morale. E se questa morale non parte dal riconoscimento di un principio religioso, ci dovrebbe essere almeno la natura a far da criterio oggettivo che ispira la coscienza atea.

Non è da oggi che il concetto di natura viene guardato con sospetto, in quanto considerato una sorta di principio trascendente, quasi una divinità religiosa.

Era il 1972 quando il medico americano Money, della John Hopkins University, sosteneva di avere le prove scientifiche che la differenza sessuale non veniva dalla natura ma dalla cultura. Benché la teoria lasciasse il tempo che trovava, l’onda emotiva della notizia arrivò al cuore di certo femminismo e radicalismo etico, ai quali non parve vero poter sostenere il superamento del concetto di natura predicato fino ad allora.

Se oggi siamo qui a tirarci per i capelli, incapaci di essere d’accordo su alcunché, è perché la stessa cultura giuridica ha finito per essere scombussolata da questa emarginazione del principio di natura. Una volta giustificato tutto con la cultura, è ovvio che nessun principio può essere considerato oggettivamente fondato. Non quello di famiglia e non quello di persona. Anzi, è proprio quest’ultima che subisce lo smacco più vistoso, in una progressiva e pericolosa rinuncia a considerare il tema della vita come il principio irrinunciabile di ogni etica.

Sappiamo bene che le correnti filosofiche, che serpeggiano nelle università europee, non lasciano grandi margini di ottimismo. Ormai non è più l’essere umano a fondamento dell’etica, ma il patto tra chi detiene il potere e decide di volta in volta cosa abbia e non abbia valore. A dar man forte persiste la visione marxista, secondo la quale la persona umana è l’insieme dei suoi rapporti sociali. Con ovvie conclusioni per tutti coloro che per ragioni anagrafiche o fisiche non hanno voce in capitolo o relazioni significative. Del resto, i lager romeni per handicappati, le fogne di Bucarest o gli orfanotrofi russi bastano da soli a illuminarci sulle conseguenze di questa concezione dell’uomo. Ricordare che il legislatore è tenuto a mettersi in sintonia con la natura è qualcosa di più di un proclama cattolico. È semplicemente una questione di dignità umana.

Il Giornale, 16 marzo 2007


Fede antioccidentale

di Massimo Introvigne

Il dibattito lanciato martedì sulle colonne di questo giornale, con la consueta chiarezza, da monsignor Alessandro Maggiolini a proposito della «teologia di Rosy Bindi» non può essere lasciato cadere. Riguarda, infatti, le radici culturali del governo Prodi e il suo rapporto con quella sintesi di fede e ragione, di Gerusalemme e di Atene che chiamiamo Occidente. Si chiede la Bindi se «non si tradisce la fede imprigionandola in un modello culturale, strumentalizzandola a sostegno del sistema occidentale, che è solo uno dei molti con cui un messaggio universale come il cristianesimo è chiamato a confrontarsi». All'obiezione aveva già risposto Benedetto XVI, in quel manifesto del suo pontificato che è il discorso di Ratisbona.

Ai nemici dell'Occidente il Papa ricordava allora che l'incontro «tra la fede biblica e il pensiero greco, è un dato di importanza decisiva che ci obbliga anche oggi: il patrimonio greco, criticamente purificato, è una parte integrante della fede cristiana».

Il nemico di Benedetto XVI è il relativismo, secondo cui, per esempio, il matrimonio monogamico ed eterosessuale sarà pure un valore tradizionale in Italia, ma non lo si può imporre ai musulmani poligami o alle nuove culture gay. Se, come oggi afferma Rosy Bindi, quello occidentale è solo un modello fra i tanti, perché mai la fede dovrebbe essere «detta» nei termini della cultura occidentale e non di quella araba o malese? Questa obiezione, risponde il Papa a Ratisbona, «non è semplicemente sbagliata; è tuttavia grossolana ed imprecisa». Non è sbagliata, nel senso che non è necessario esportare le forme esteriori del cristianesimo occidentale in tutte le culture: per esempio, non è obbligatorio leggere la Bibbia nella pur autorevole versione greca, così come non si devono adottare per forza le forme artistiche dell'Occidente quando si costruisce una chiesa in Mongolia.

Ma l'obiezione è anche «grossolana» perché, ricorda Benedetto XVI, resta un fatto che «il Nuovo Testamento è stato scritto in lingua greca e porta in se stesso il contatto con lo spirito greco». Il sospetto è che chi se la prende con l'Occidente voglia negare l'idea stessa di una legge naturale, valida per tutte le culture e che la ragione può conoscere. Allora si deve rispondere con fermezza, con il Papa a Ratisbona, che se il problema riguarda «le decisioni di fondo che riguardano il rapporto della fede con la ricerca della ragione umana, queste decisioni di fondo fanno parte della fede stessa».

Uno dei più insidiosi progetti di separare il cristianesimo dalla cultura greca per riportarlo a un'ipotetica purezza originaria e renderlo completamente permeabile all'incontro con culture non occidentali fu la dottrina della Chiesa «culturalmente povera» teorizzata da don Giuseppe Dossetti. Per Dossetti, maestro di Rosy Bindi ma anche di Romano Prodi, la Chiesa deve farsi povera non solo spogliandosi di molti dei suoi beni terreni, ma anche rinunciando a quella ricchezza che è la sua cultura occidentale. Si tratta proprio della posizione criticata da Benedetto XVI a Ratisbona. E il fatto che Dossetti e il suo ideale della «povertà culturale» siano stati celebrati in un convegno a Bologna a dieci anni dalla sua morte, nel dicembre 2006 - dunque, tra l'altro, dopo il discorso di Ratisbona -, dai suoi numerosi discepoli della cosiddetta «scuola di Bologna», fra cui spiccava Romano Prodi, mostra come il progetto anti-occidentale dossettiano dia il tono culturale all'attuale governo della Repubblica italiana.

Il Giornale, 16 marzo 2007


IL DOCUMENTO DEL PAPA PRESENTATO DAL PATRIARCA DI VENEZIA/

Liturgia, latino, celibato. Non solo Dico nella “Sacramentum Caritatis”

Roma. Martedì mattina il cardinale Angelo Scola ha presentato nella sala stampa vaticana l’esortazione apostolica di Benedetto XVI “Sacramentum Caritatis”, il documento finale del Sinodo sull’Eucaristia celebrato a Roma nell’ottobre 2005 di cui lo stesso patriarca di Venezia fu relatore generale.
Sui mass media il nuovo testo pontificio ha fatto notizia per alcune affermazioni che sono state lette in chiave politica come una ulteriore condanna dei politici cattolici favorevoli ai Dico. In realtà quando il Sinodo dei vescovi venne celebrato diciassette mesi fa il disegno di legge sulle unioni civili era ancora per così dire in mente Dei, mentre tra i partecipanti all’assise ecclesiatica era ancora ben presente il dibattito che aveva travagliato l’episcopato statunitense durante le presidenziali del 2004, quando alcuni vescovi avevano dichiarato di voler rifiutare la comunione a quei politici cattolici, a cominciare dal candidato democratico alla Casa Bianca John Kerry, pubblicamente e pervicacemente favorevoli
all’aborto legale.
Ciò detto è evidente comunque che Papa Ratzinger si rivolge a tutto l’orbe cattolico,
Italia compresa, quando al punto 83 dell’esortazione, in nome della “coerenza eucaristica”, ricorda che “i politici e i legislatori cattolici, consapevoli della loro grave responsabilità sociale, devono sentirsi particolarmente interpellati dalla loro coscienza, rettamente formata, a presentare leggi ispirate ai valori fondamentali della natura umana”. E così quando ieri l’altro il cardinale Scola ha risposto alle domande dei giornalisti riguardanti i “valori non negoziabili” più volte citati da Benedetto XVI, lo ha fatto sottolineando che la chiesa non ha “alcuna fobia verso gli omosessuali”, e ribadendo che pur non intervenendo nel
dibattito politico, i vescovi hanno il dovere di difendere la famiglia fondata sul matrimonio: “Sulla questione specifica dei Dico – ha detto Scola – io non qualificherei di impegno politico questi pronunciamenti.
Non mi pare che possiedano questo carattere.
Sono invece pronunciamenti che fanno parte del normale insegnamento magisteriale, che loro tocca e loro compete e, come tali, sono proposti all’attenzione di tutti, in modo particolare all’attenzione dei cristiani e, in modo del tutto speciale, a quella dei cristiani impegnati in politica”.
Le unioni civili, ha spiegato sempre il patriarca di Venezia, non sarebbero comunque accettabili anche qualora non fossero tra omosessuali. Quindi, ha spiegato Scola: “Un vescovo non risponde fino in fondo alla sua missione se non richiama tutti quanti, in particolare i politici, al fatto che hanno il dovere di conformare la loro coscienza certa, rendendola retta attraverso un paragone con la verità. I vescovi devono richiamare in concreto questi contenuti, questi principi cosiddetti non negoziabili. E' chiaro che l’indicazione del Santo Padre è netta nei confronti dei politici, netta nei confronti dei vescovi, e però non può sostituirsialla prudenza pastorale dei vescovi”.
Ma nella conferenza stampa di martedì non si è parlato solo di Dico e dintorni.
Tra gli altri temi affrontati nell’occasione, il cardinale Scola ha infatti indicato quanto la liturgia stia a cuore a Benedetto XVI. Il Papa, ha detto il patriarca di Venezia, mette l’accento sul valore della riforma liturgica del Concilio Vaticano II. Una sottolineatura – ha fatto notare la Radio Vaticana – che non contrasta affatto con un rinnovato ricorso, nelle celebrazioni, al latino e al canto gregoriano
pure auspicato nei punti 42 e 62 della “Sacramentum Caritatis”. Scola ha inoltre
ribadito che il celibato dei sacerdoti non è un obbligo per ragioni funzionali, ma si tratta invece di una scelta sponsale: “E’ immedesimazione con il cuore di Cristo”.

Il Foglio, 15 marzo 2007

Vedi anche:

Nuova puntata della fiction "Tutti contro Ratzinger": l'asse Martini-Dziwisz-mass media

L'Osservatore reagisce agli attacchi mediatici contro il Papa

Anche "Avvenire" rileva l'accanimento mediatico contro il Papa

Aggiornamento: accanimento mediatico contro Papa Ratzinger?

L'articolo di Mons. Maggiolini e' consultabile qui

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