26 marzo 2007

Rassegna stampa del 26 marzo 2007


Nei giornali di oggi si parla, con riferimento al Papa, di Europa, della nota della CEI sui DICO e, soprattutto, dell'omelia (straordinaria) che il Papa ha tenuto ieri presso la parrocchia romana di Santa Felicita e Figli Martiri.
Sono molto stupita (e questa volta favorevolmente) dell'atteggiamento della stampa che finalmente commenta al meglio le parole di Benedetto XVI.
Iniziamo con la rassegna stampa sulla dichiarazione di Berlino e sulla CEI. Piu' tardi inseriro' gli articoli di commento all'omelia di ieri.

Raffaella







Europa modello Amish

ANDREA ROMANO

Forse non ha avuto tutti i torti Gianna Nannini, rifiutandosi di cantare di fronte alla Porta di Brandeburgo per le celebrazioni dei cinquant’anni dell’Unione europea: «Troppa retorica, non suono». Ed è inevitabile che una certa insofferenza prenda anche chi non vanta alcun talento artistico, di fronte ai toni e ai contenuti della solenne «Dichiarazione di Berlino» con cui i ventisette Capi di Stato e di governo dei Paesi europei hanno inteso rilanciare la missione dell’Unione.

Toni tanto compiaciuti da risultare stucchevoli, contenuti tanto vaghi da apparire evanescenti.

«L’uomo è al cuore della nostra azione. La sua dignità è inviolabile. I suoi diritti inalienabili. Il modo in cui viviamo e lavoriamo insieme nel quadro dell’Unione europea è unico nel suo genere», recita l’incipit del documento ufficiale. Perché «noi aspiriamo alla pace e alla libertà, alla democrazia e allo stato di diritto, alla prosperità e alla sicurezza, alla giustizia e alla solidarietà».

Alzi la mano chi non potrebbe essere d’accordo con queste sante parole. Dalle quali, tuttavia, si fatica a distinguere il buon senso dalla sostanza necessaria a rimettere in moto un’impresa comune che appare da qualche tempo più che zoppicante.

È vero che qualche riga più avanti ci si spinge a dichiarare che «il modello europeo concilia la riuscita economica e la solidarietà sociale» e che «il mercato unico e l’euro ci rendono forti». E addirittura si annuncia che «noi ci mobiliteremo affinché i conflitti nel mondo si regolino in maniera pacifica e affinché gli uomini non siano vittime della guerra, del terrorismo o della violenza».

Ma l’enunciazione di questa ed altre impettite banalità, che non sfigurerebbero nel manifesto di una qualsiasi associazione di beneficenza, non può servire a molto più che a sentirci ancora una volta appagati dalla fortuna di essere venuti al mondo in questa parte benedetta del globo.

Il vuoto della retorica europea colpisce soprattutto all’indomani dell’entrata a gamba tesa del pontefice. Di fronte a quell’accusa di «apostasia», dinanzi all’immagine di un continente che «si congeda dalla propria storia» perché «privo di valori universali», con cui Benedetto XVI ha voluto condannare l’assenza di riferimenti alle «radici cristiane» dell’Europa, l’Unione ha scelto di sfoderare la sua arma più innocua. Ricorrendo ad una ritualità che non può impegnare troppo né impensierire nessuno tra i leader politici che si sono ritrovati ieri a Berlino. E che tantomeno può ambire a contrapporsi alla potenza abrasiva delle parole del Papa. Un Papa tedesco, si badi bene, perfettamente consapevole di parlare al cuore e alla storia di questo continente.

L’Europa avrebbe forse potuto rispondere diversamente, senza scatenare guerre laiciste, ma con la serenità di un soggetto forte del suo radicamento democratico e cosciente delle difficoltà dell’agenda politica e identitaria che ci attende nei prossimi anni. Avrebbe potuto farlo, ma ha scelto il conforto della retorica, verso se stessa e verso il mondo, come le accade fin troppo spesso in questa fase della sua storia. Se le difficoltà aumentano, si abbondi pure con l’unguento consolatorio. È il rischio di un’Unione europea «modello Amish», beatamente chiusa in se stessa a contemplare le proprie fortune e le proprie sicurezze mentre il motore del progetto comunitario si fa sempre più stanco. E mentre tutt’intorno a noi il mondo avrebbe bisogno proprio dall’Europa di un supplemento di leadership e di impegno. Ma forse è solo colpa dell’atmosfera di festa obbligata, di quelle ricorrenze in cui ciascuno di noi dà sempre il peggio di sé.

La Stampa, 26 marzo 2007

Credo che abbiamo notato tutti la "potenza coerente" delle parole del Papa di sabato , contrapposta alla retorica deludente dei leader europei.


La Merkel Superstar dà lezione di laicismo

«Esistono radici cristiane ma anche tradizioni secolari» Appello della Cancelliera sul Darfur e tributo a Chirac

Paolo Valentino

DAL NOSTRO CORRISPONDENTE

BERLINO — Angela Merkel Superstar. Perfino quando, lei cristiana sia pur protestante e figlia della tradizione di Lutero, è costretta a dare una sommessa lezione di laicismo a Benedetto XVI. La Cancelliera «capisce» la posizione di Santa Romana Chiesa. E non lascia dubbi su dove affondino per lei le radici dell'Europa. Al centro di tutto è l'individuo, la sua intoccabile dignità, ha detto nel suo discorso del mattino. E questo, ha aggiunto a titolo personale, «deriva dall'eredità giudaico-cristiana dell'Europa». Ma in conferenza stampa, rispondendo alla domanda del Corriere, ricorda «che ci sono anche altre tradizioni secolari, secondo le quali nei documenti degli Stati non ci possono essere riferimenti alla fede». Occorre essere consapevoli «delle diverse visioni politiche». E se è giusto che gli europei siano «coscienti delle loro radici giudaico-cristiane», altra cosa è se queste debbano essere evocate nei testi ufficiali. Si discuterà ancora se il riferimento dovrà essere inserito o meno nel Trattato costituzionale. Ma anche se lei se lo augurerebbe, Angela Merkel allarga le braccia: «Sono realista e non molto ottimista ». Con buona pace dell'apostasia.
L'ultima giornata del vertice segnala un altro successo d'immagine e autorità della Cancelliera. Sempre più a suo agio nel ruolo di donna, o uomo, forte d'Europa. In grado anche di uscire dal copione celebrativo dei festeggiamenti, per lanciare un appello sul Darfur: Merkel ha invitato il presidente del Sudan a rispettare finalmente le risoluzioni Onu mettendo fine al genocidio. Con un avvertimento: «Dobbiamo esser pronti a varare sanzioni più gravi».
Una Merkel così disinvolta e sicura di sé, da mostrarsi anche simpaticamente sfrontata, quando in due passaggi del suo discorso ufficiale ha ironizzato sulla Gran Bretagna e perfino su De Gaulle. Ha ricordato infatti che alla Conferenza di Messina del 1955, che gettò le basi del Trattato di Roma, un diplomatico inglese commentò: «Il Trattato che state discutendo non ha nessuna chance di essere approvato, se lo fosse non avrebbe nessuna chance di essere ratificato e se fosse ratificato, non avrebbe alcuna chance di essere applicato». Era Sir Russel Bretherton, osservare di Londra. «Chissà cos'avrebbe da dire sulle celebrazioni di oggi», ha chiosato la Merkel, mentre, secondo alcuni partecipanti, Tony Blair sorrideva a denti stretti, con una specie di ghigno.
Neppure il generale è stato risparmiato. «Al tempo - ha continuato la Merkel - pare che un uomo politico francese piuttosto importante abbia dichiarato: "I Trattati sono come le ragazze e i fiori, durano finché durano"». Proprio così, ha aggiunto la Cancelliera, autoironica, «il rosaio è cresciuto e oggi una ragazza, non più tanto giovane, è tra i firmatari della Dichiarazione di Berlino». Applausi perfino da Jacques Chirac, ultimo epigono di De Gaulle. A Chirac, al suo vertice d'addio, è stato comunque riconosciuto l'onore delle armi. Nella forma di un regalo personale, che la padrona di casa gli ha consegnato facendolo commuovere: un antico boccale per la birra, di cui il presidente francese è collezionista appassionato, smaltato e decorato con motivi del 1799, la campagna d'Egitto di Napoleone. Grandeur oblige.

Corriere, 26 marzo 2007

Il vero leader europeo(insieme al Papa, aggiungo io), il cancelliere Angela Merkel, da' lezione di laicismo? Ma quando mai? Ho visto molta sofferenza nei suoi occhi per non essere riuscita ad inserire le radici giudaico-cristiane della dichiarazione di Berlino, ma la Merkel non le ha rinnegate, anzi!!!
Ha dato a tutti una lezione di coerenza e di onesta'. Mi sento di ringraziarla e di incoraggiarla. L'Europa sarebbe diversa se, oltre a lei, ci fossero altre donne al comando? La risposta e' un sonoro si' o ja, in omaggio alla Germania.




Radici cristiane, la Ue senza accordo
Merkel: ci sono diverse sensibilità. Il Vaticano: grave perdita di memoria

Dopo il richiamo di Benedetto XVI riparte il negoziato sul nuovo Trattato dell´Europa
La Cancelliera: "Sono a favore, ma non ottimista". Prodi: "Sarà difficile convincere i laicisti"


ALBERTO D´ARGENIO

BRUXELLES - Finita la festa tutti ripartono e di Berlino rimane solo un bel ricordo. Per chi vuole rilanciare l´Europa, adesso, comincia il duro lavoro: negoziati fino all´ultima virgola e correzioni in punta di penna per avvicinare le varie capitali ad un accordo sui punti più controversi dell´ex Costituzione europea, destinata ad essere ridimensionata al rango di nuovo Trattato Ue. E le radici cristiane del Vecchio Continente saranno certamente uno dei temi bollenti, dopo che sono rientrate di prepotenza nel dibattito con l´appello di Papa Benedetto XVI secondo cui l´Europa non può dimenticare la propria identità cristiana, pena «l´apostasia da se stessa". Anche se - è la sensazione dopo il summit di Berlino dedicato alla festa di 50 anni dell´Ue - sembra difficile che l´agognato richiamo alle radici cattoliche del Vecchio continente potrà trovare spazio nel nuovo Trattato.
La prima a parlarne è stata a sorpresa la stessa Cancelliera Angela Merkel, padrona di casa e grande regista del rilancio della Costituzione. Nel discorso solenne che ha preceduto la firma della dichiarazione sui 50 anni dell´Europa, l´ex ragazza dell´est ha sottolineato che l´Unione europea si fonda su una serie di valori irrinunciabili, come la difesa della dignità umana. Valori, ha aggiunto, che «a titolo personale ritengo derivino anche delle radici giudaico-cristiane dell´Europa». Un richiamo che ha dato speranze di successo ai sostenitori della menzione dell´eredità cristiana nel nuovo testo. Fronte che però poche ore dopo è stato riportato con i pedi per terra dalla Realpolitik della stessa Merkel: "Personalmente - ha detto nella conferenza stampa al termine del pranzo con i colleghi europei - sono favorevole a inserire il richiamo alle radici dell´Europa" ma "non sono molto ottimista", visto che "dobbiamo essere consapevoli delle diverse sensibilità politiche" di un continente in cui alcuni stati hanno una "tradizione antica secoli" di separazione tra Stato e Chiesa. Insomma, ha aggiunto, anche se è «fuori di dubbio» che le radici dell´Europa siano giudaico-cristiane, «altra cosa è un loro inserimento in un documento di Stato». In parole povere: pur di arrivare ad un accordo sulla revisione del Trattato europeo, la cristiano-democratica Merkel è pronta a rinunciare alla preziosa menzione delle radici cristiane.
Un ragionamento per certi versi simile a quello di Romano Prodi, altro sostenitore della loro menzione nel testo (sono uno dei leader che più si è «battuto» per ottenerla). «Le posizioni - ha riferito il premier - rimangono immutate» rispetto a quando abbiamo negoziato la Costituzione senza riuscire ad inserire la menzione dell´eredità cristiana. "Anche in futuro", ha aggiunto, sarà difficile farla accettare al fronte dei laicisti, guidati da Francia e Belgio. Una carenza, comunque, in parte colmata dall´articolo 52 della Costituzione, la cui introduzione fu fortemente voluta dallo stesso Prodi ai tempi della sua presidenza della Commissione Ue. Si tratta di un articolo che "guarda al futuro" e concede "alle Chiese un ruolo e dei sistemi di consultazione" mai avuti prima nei rapporti con l´Europa, avviando «un dialogo strutturato con le Chiese».
Ma mentre da Berlino si percepiva che di colpi di scena difficilmente se ne vedranno, da Vibo Valentia il segretario di Stato vaticano cardinale, Tarcisio Bertone, parlava di «grave perdita di memoria» da parte degli europei rivelatrice anche di «un´ignoranza del passato che ha costruito la nostra civiltà». Insomma, anche se le speranze dei cattolici, ai quali va aggiunta anche la Polonia, sembrano poche, la guerra è tutt´altro che finita.

Repubblica, 26 marzo 2007



Monito sull'identità

Il Papa tira le orecchie all'Europa

Paolo Francia

Il Papa, dunque, tira le orecchie all'Europa («che sembra incamminata su una via che potrebbe portarla al congedo dalla storia») ma non invoca più il riconoscimento delle sue radici cristiane, come aveva fatto in passato sulla linea dura di Giovanni Paolo II. E l'arcivescovo Bagnasco, nuovo presidente della Cei, debutta oggi al Consiglio permanente dei vescovi dopo avere anticipato di porsi l'obiettivo di non imitare nessuno dei predecessori e dichiarato – a proposito della "nota dottrinaria" annunciata in febbraio dal cardinale Ruini per i parlamentari e legislatori cattolici – che «se qualcuno si attende che cali come una clava è fuori strada».
In altre parole niente anatemi o addirittura scomuniche, peraltro mai ipotizzate in Vaticano né pensate da Ruini, essendo oltrettutto al di fuori delle sue prerogative.
Prende corpo un mutamento di strategia, con una più pragmatica valutazione delle situazioni. Il capo dei vescovi non rinuncerà a difendere i valori "non negoziabili" della Chiesa e, fra questi, la famiglia fondata sul matrimonio fra uomo e donna; con il rifiuto di considerare e definire "famiglia" l'unione di coppie omosessuali. Ma senza diktat, riallineando i rapporti con la politica su una frontiera di confronto aspro ma non di scontro.
Da parte sua Benedetto XVI, parlando l'altro giorno ai membri della Commissione degli episcopati della comunità europea, ha ricordato che i valori del cristianesimo restano irrinunciabili per un continente che su quei valori, nei quali una vasta maggioranza delle sue popolazioni si identifica, ha costruito la propria civiltà.
E senza il riconoscimento di questi valori l'Europa «non può continuare a svolgere la funzione di lievito per il mondo intero».
Pragmatico Bagnasco, pragmatico Ratzinger, forse anche consapevole dell'esigenza di una nuova "laicità" al quale ha fatto riferimento anche il presidente del Consiglio Prodi, seppure con finalità diverse.
Prodi pensa alle turbolenze nel governo e alla poco latente litigiosità europea. Benedetto XVI vola alto, Lascia in disparte la tenace battaglia di Wojtyla, più sensibile all'idea dell'affermazione delle radici cristiane per carattere e per la vita vissuta di polacco. Non la cancella ma devia l'obiettivo verso un maggiore impegno dell'Europa a riesumare e a difendere la propria identità. La Costituzione, sembra dire Ratzinger, è un pezzo di carta e i fatti contano assai di più. Per il Papa e per il presidente dei vescovi italiani missioni comunque difficili. Ma, in attesa di conferme, pare intravedervisi un cambio di linea.

Gazzetta del sud, 26 marzo 2007


PARTE OGGI LA DISCUSSIONE SUL DOCUMENTO CHE DOVRÀ IMPEGNARE I POLITICI CATTOLICI

Dico, nella Cei spuntano le “colombe”

GIACOMO GALEAZZI

CITTA’DEL VATICANO
Dietro le quinte del primo consiglio permanente Cei della presidenza Bagnasco, i vari orientamenti dell’episcopato si dividono sulle risposte al ddl Bindi-Pollastrini. Oggi parte la discussione sull’attesa nota vincolante per i politici cattolici: è il delicato esordio dell’era Bagnasco. Il documento dei vescovi, annunciato dal cardinale Ruini come «una parola impegnativa per coloro che accolgono il magistero della Chiesa» e ricalibrato dal suo successore come «atto collegiale aperto all’apporto di tutti», polarizza la discussione nella Conferenza episcopale e ne fa emergere le diverse «correnti». Da un lato i «falchi», sostenitori della necessità di ufficializzare un duro ammonimento ai parlamentari cattolici che votano per il riconoscimento giuridico delle coppie di fatto (l’arcivescovo Domenico Graziani della commissione Cei per le Migrazioni, il vescovo Francescantonio Nolè della commissione per il Clero, l’arcivescovo Giuseppe Molinari della commissione per l’Evangelizzazione e il vescovo ciellino Luigi Negri, l’arcivescovo «ruiniano» Luigi Moretti della commissione per la Famiglia), dall’altro le «colombe», favorevoli a un pronunciamento fermo nei contenuti ma senza sanzioni quali la scomunica o il no ai sacramenti (il vescovo Sergio Goretti della commissione per il Dialogo, il vescovo Antonio Lanfranchi della commissione Cei per l’Evangelizzazione, il vescovo Antonio Riboldi della commissione per la Famiglia). A tentare di ricucire tra i due schieramenti, i «pontieri» come l’arcivescovo Edoardo Menichelli della commissione Famiglia e Filippo Strofaldi della commissione per la Vita consacrata.
Intanto il segretario di Stato vaticano Tarcisio Bertone indica per la nota Cei le priorità della «promozione della famiglia e consolidamento delle provvidenze per la famiglia». Il testo potrebbe essere licenziato in settimana dal consiglio permanente o invece portato all’assemblea generale di maggio. Le sensibilità dei presuli sull’argomento sono diverse. Il neo-leader Angelo Bagnasco assicura che il documento «non calerà come una clava». Al politico cattolico, osserva monsignor Nolè, va chiarito «quali impegni comporta la sua fede». Un richiamo, avverte il vescovo, «reso vincolante per la coscienza del credente dalla sopravvivenza della famiglia, un valore assoluto che deriva dalla parola divina: non osi separare l’uomo ciò che Dio unisce». Chi vota i Dico «mette in pericolo il progetto di Dio sull’uomo», quindi «è in una posizione irregolare per i sacramenti, non può ricevere l’eucarestia senza prima essersi pentito ed aver ricevuto l’assoluzione del confessore». I politici cattolici, aggiunge Nolè, «devono ispirarsi alla dottrina sociale e morale della Chiesa», quindi, «è diritto-dovere di noi pastori pretendere dal credente la coerenza al vincolo morale sia quando vota in Parlamento sia quando accede ai sacramenti».
I cattolici che votarono le leggi sul divorzio e l’aborto non furono sanzionati dalla Chiesa, così non devono esserlo i sostenitori dei Dico, ribatte monsignor Riboldi: «E’ un fatto politico e di responsabilità personale. Ognuno risponderà davanti a Dio e alla storia. Mettere chi vota i Dico fuori dalla comunione ecclesiale sarebbe una “prima volta” grave perché non possiamo violare la coscienza ogni volta che non ci piace una legge. Meglio il dialogo, della spada. Meglio una scelta di libertà, di un’imposizione. Le convivenze sono una realtà. Meglio cercare di convincere che condannare all’inferno».
Ribadisce, invece, il vincolo che lega i credenti ad un comportamento, monsignor Graziani: «L’autonomia deve intendersi in senso relativo ma adesso il confronto è sul modo di interpretarla e sulle modalità di esercitarla. Oggi stiamo assistendo a grandi confusioni». Prova a mediare monsignor Strofaldi, che comprende il «travaglio dei “cattolici adulti” come Prodi e Bindi», ma ritiene che la nota Cei debba indirizzare la coscienza del legislatore: «Altrimenti si rischia il soggettivismo». No all’atto pubblico della scomunica, ma per chi vota i Dico non basta la confessione se non c’è conversione: «La Sacra Scrittura parla chiaro. Chi mangia e beve il corpo e il sangue di Cristo, mangia e beve la sua condanna». Secondo Bagnasco, le richieste dei conviventi possono essere «soddisfatte attraverso il diritto privato» e sarebbe «grave e inaccettabile» l’omologazione delle coppie omosessuali alla famiglia.

La Stampa, 26 marzo 2007


Il documento voluto da Ruini sul tavolo del primo Consiglio guidato da Bagnasco

La Nota arriva ai vescovi Bertone: difenda la famiglia

M. Antonietta Calabrò

La proposta di rinviare il via libera a maggio, dopo il Family Day

ROMA — Sarà la Nota dei vescovi sui Dico a polarizzare l'attenzione all'apertura, domani a Roma, del Consiglio permanente della Conferenza episcopale italiana guidata dall'arcivescovo di Genova, Angelo Bagnasco che partecipa per la prima volta a questo organismo e che per la prima volta lo presiede.
Il testo probabilmente sarà esaminato solo a partire da domani, martedì, visto che non è il primo punto all'ordine del giorno, che il Consiglio si riunisce alle cinque del pomeriggio e che i lavori inizieranno (per seguire un recente richiamo del Papa a dedicarsi di più alla preghiera eucaristica) con mezz'ora di adorazione del S. Sacramento.
Monsignor Bagnasco, del resto, nei giorni scorsi ha anticipato che la Nota «non verrà solo presentata, ma discussa e integrata con l'apporto di tutti perché si tratterà di un atto collegiale». Il testo-base non sarebbe molto lungo, ma sufficientemente sintetico e chiaro. Ma è certo che sull'argomento ci sono sensibilità diverse.
Del Consiglio permanente fanno parte circa trenta vescovi tra cui i cardinali Ruini, Scola, Antonelli, Tettamanzi, Sepe, Poletto e Caffarra, l'arcivescovo di Palermo Romeo, i vicepresidenti Monari, Chiaretti e Papa e il segretario generale Betori. Ci vorrà insomma tempo per approfondire e discutere e quindi la Nota non dovrebbe essere deliberata prima di mercoledì. Ma potrebbe anche accadere che prima di essere definitivamente «licenziata» essa venga sottoposta (così come richiesto da alcuni) all'Assemblea plenaria di tutti i vescovi italiani che si svolgerà tra il 21 e il 25 maggio, con un notevole slittamento della questione. In questo caso la pubblicazione del documento cadrebbe dopo lo svolgimento del Family day (la manifestazione nazionale a favore della famiglia e contro i Dico che si terrà il 12 maggio a piazza San Giovanni in Laterano), dopo la fine della discussione generale in Commissione al Senato sulle nove proposte di legge sulle coppie di fatto (tra cui i Dico del governo) e a pochi giorni dallo svolgimento delle elezioni amministrative fissate per il 27 e 28 maggio.
Comunque sia il documento è stato annunciato a febbraio dal predecessore di Bagnasco, cardinale Ruini come «una parola meditata, una parola ufficiale, che sia impegnativa per coloro che accolgono il magistero della Chiesa e che possa essere chiarificatrice per tutti». E ieri il segretario di Stato vaticano cardinale Tarcisio Bertone ha dichiarato che il Vaticano rispetterà «quello che in piena autonomia diranno i Vescovi» e che dai Vescovi ci si aspetta «il richiamo ai valori della famiglia». Bagnasco, dal canto suo, ha affermato qualche giorno fa in un'intervista al Corriere della Sera che «se qualcuno si attende che la nota cali come una clava è fuori strada».
A difesa della famiglia fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna Benedetto XVI è intervenuto negli ultimi mesi a più riprese sottolineando che si tratta di una questione centrale per la Chiesa e per l'umanità. Nella recentissima Esortazione apostolica sulla Eucaristia, il Papa ha inoltre ribadito il dovere della «coerenza eucaristica» per i politici cattolici di tutto il mondo che si trovino a votare leggi in contrasto con la morale naturale. È questo il punto più delicato che sarà affrontato nella Nota con riferimento alle condizioni previste dal diritto canonico. C'è rischio di scomunica o di allontanamento dalla Comunione per quei parlamentari cattolici che approveranno leggi lesive della famiglia? A questa domanda,venerdì scorso, Bagnasco ha risposto: «C'è un principio generale della morale cattolica che è quella di una coscienza che alla fine deve giudicare, sapendo che ha l'obbligo di essere informata e retta cioè ispirarsi al Vangelo e al magistero della Chiesa».

Corriere della sera, 26 marzo 2007


I TEMI DEL DOCUMENTO

Alla base due testi di Ratzinger del 2003 Politici cattolici a rischio «immoralità»

Luigi Accattoli

ROMA — La «nota» sui Dico al momento è come l'Araba Fenice: si sa che c'è, ma nessuno finora l'ha vista in giro. E' possibile tuttavia tentarne una descrizione presuntiva, sulla base delle indiscrezioni raccolte nelle ultime settimane e di elementi oggettivi già espressi dal magistero e destinati a essere richiamati in questa occasione.
Ai vescovi che parteciperanno al Consiglio permanente sono arrivati per posta alcuni testi che dovranno essere discussi e approvati in questa sessione — per esempio il documento sul «dopo-convegno di Verona» — ma la nota non l'hanno avuta: forse perché tuttora in lavorazione, o per non esporla al rischio di fughe mediatiche.
A quanto si sa, il documento dovrebbe dare sistemazione e completamento a quanto già affermato dal cardinale Camillo Ruini nelle prolusioni alle ultime sessioni del Consiglio permanente e alla posizione espressa dal «Sir» all'indomani dell'approvazione del disegno di legge sui Dico (8 febbraio).
Il corsivo del «Sir» — redatto dal vertice della Cei, allora presieduta da Ruini — dava un giudizio «nettamente contrario» del disegno di legge, visto come prefigurante un'«escalation» verso riconoscimenti sempre più ampi alle libere convivenze: «Si parla di Dico ma si pensa ai Pacs».
Probabilmente la valutazione negativa dei Dico verrà inquadrata in un discorso in positivo sulla necessità di «promuovere» la famiglia. Ma sicuramente ci sarà una parte — la più importante — rivolta alle responsabilità dei politici cattolici.
Per questo aspetto di certo — lo ha detto il presidente della Cei arcivescovo Bagnasco in un'intervista al Corriere della Sera — la «nota» rimanderà a due documenti sull'impegno politico dei cattolici pubblicati dalla Congregazione per la dottrina della fede, con la firma del cardinale Ratzinger, nel gennaio e nel luglio del 2003: fanno obbligo ai parlamentari cattolici di non appoggiare con il proprio voto leggi che danneggino la famiglia o che diano «riconoscimento legale» alle unioni omosessuali.
Il primo di questi documenti è intitolato «Nota dottrinale circa le questioni riguardanti l'impegno e il comportamento dei cattolici nella vita pubblica». Afferma che «la coscienza cristiana ben formata non permette a nessuno di favorire con il proprio voto l'attuazione di un programma politico o di una singola legge in cui i contenuti fondamentali della fede e della morale siano sovvertiti dalla presentazione di proposte alternative o contrarie a tali contenuti». Si fa esplicito riferimento ad aborto, eutanasia, embrione umano, «famiglia fondata sul matrimonio monogamico tra persone di diverso sesso». Per quest'ultimo caso si dice che alla famiglia «non possono essere giuridicamente equiparate in alcun modo altre forme di convivenza».
Il secondo documento — «Considerazioni circa i progetti di riconoscimento legale delle persone omosessuali» — definisce come «un atto gravemente immorale» dare il proprio voto a un «progetto legislativo così nocivo per il bene comune della società». La nota della Cei affermerà che il disegno di legge sui Dico «di fatto» riconosce le convivenze sia etero sia omosessuali e dunque cade sotto quell'indicazione.
Indicazione che il testo del 2003 descrive così: «Nel caso in cui si proponga per la prima volta all'assemblea legislativa un progetto di legge favorevole al riconoscimento legale delle unioni omosessuali, il parlamentare cattolico ha il dovere morale di esprimere chiaramente e pubblicamente il suo disaccordo e votare contro il progetto di legge».
Tutto starà a vedere come sarà esplicitato quel «dovere morale» e che spazio verrà lasciato al ruolo della coscienza individuale. Bagnasco ha detto che la «nota» non sarà una «clava», ma probabilmente le somiglierà.

Corriere della sera, 26 marzo 2007

Vedo che, come al solito, i vaticanisti sono molto d'accordo: ciascuno dice la sua...la verita' e' che dobbiamo aspettare il documento ufficiale della CEI e solo allora formulare commenti sul testo e non sulle riduzioni giornalistiche.
Vedi anche:

«Nota dottrinale circa le questioni riguardanti l'impegno e il comportamento dei cattolici nella vita pubblica».

«Considerazioni circa i progetti di riconoscimento legale delle persone omosessuali»

Nessun commento: