29 marzo 2007

Riflessioni sulla "Sacramentum Caritatis"


Vedi anche:
Esortazione Apostolica Postsinodale del Santo Padre Benedetto XVI "Sacramentum Caritatis"

“Sobrietà dei segni” e “semplicità dei gesti”...ecco la "Sacramentum Caritatis"

DAVANTI ALL’EUCARISTIA

«Il Papa traccia il profilo di un celebrante che non impone la sua pietà, ma è un umile strumento L’uso del latino? Oggi c’è più consapevolezza, non è comunque un ritorno a 45 anni fa»

«Un Pane oltre i nostri protagonismi»
Il liturgista Valenziano su alcuni nodi della «Sacramentum caritatis»

Di Giorgio Bernardelli

Uno stile celebrativo «sobrio» a cui il sacerdote deve educarsi. Il recupero consapevole dei testi in latino. I criteri con cui scegliere i canti. È una vera e propria miniera di temi l'esortazione apostolica Sacramentum caritatis. A distanza di qualche giorno ci aiuta a riprenderne in mano qualcuno (forse finora rimasto un po' troppo nascosto) il liturgista Crispino Valenziano. Non senza una necessaria premessa: «Si spera che questa esortazione arrivi davvero nelle mani di tutti - annota -. E che sia oggetto di una catechesi adeguata. Per evitare riduzionismi l'esortazione va infatti letta per intero, nelle sue tre parti: l'Eucaristia come mistero da credere, mistero da celebrare e mistero da vivere. E va tenuto presente anche il riferimento che il Papa fa al suo discorso alla Curia romana del 22 dicembre 2005 sulla permanenza del Concilio e il suo influsso positivo».

Monsignor Valenziano, il Papa sottolinea molto il rapporto tra Eucaristia e comunione ecclesiale. È un invito ad andare oltre la «Messa del proprio gruppo»?

«Per spiegare questo punto - al numero 15 - il Papa ricorda che siamo un unico corpo nel Suo corpo. Non parla di assemblea, comunità, gruppo, ma di Chiesa locale. È un discorso molto radicale: l'unicità e indivisibilità della Chiesa non è un fatto né psicologico, né di carità; è un legame costitutivo. E non a caso il Papa ne parla nella prima parte, quella sull'Eucaristia come mistero da credere».

Nell'esortazione si parla dell'ipotesi di tornare ad anteporre la celebrazione della Cresima alla Prima Comunione. Perché?

«È un tema che al Sinodo diversi vescovi hanno posto e il Papa lo riprende al numero 18. Le differenze nell'ordine dei sacramenti dell'Iniziazione cristiana non sono una questione dogmatica, ma di carattere pastorale. Il Sinodo ha indicato due nodi: innanzi tutto deve apparire chiaro che l'Eucaristia, anche quando è celebrata prima della Cresima, è comunque il culmine della vita cristiana . E poi va tenuto presente il profilo ecumenico: l'Oriente insiste molto sull'idea che è lo Spirito Santo a condurci all'Eucaristia. Nell'esortazione il Papa chiede una verifica delle prassi pastorali su questo punto. Invitando le Conferenze episcopali a realizzarla insieme ai dicasteri vaticani competenti».

Parlando del celebrante, il Papa mette in guardia il sacerdote da forme di «inopportuno protagonismo». Come educare nei Seminari a questa sobrietà?

«Il protagonismo è un virus che ci contagia un po' tutti: dalle professioni, alla politica, all'economia... Anche il sacerdote deve fare attenzione. Ma questo è l'aspetto forse più banale del discorso. Perché il riferimento al protagonismo qui dice di più. Penso a Gregorio Magno, quando sconsigliava a chi presiede l'Eucaristia di dare manifestazioni della sua pietà personale. Domandava quasi di spersonalizzarsi, in modo da celebrare davvero in persona Christi e al servizio della Chiesa. Non si chiede, ovviamente, al sacerdote di mettere da parte la sua pietà, la sua devozione, la sua carità: sarebbe assurdo. Ma tutto questo deve divenire strumento docile nelle mani di Cristo. Non è facile. E a questo bisogna continuamente educarsi. Il Papa in proposito cita Agostino: parla di amoris officium, "ministero dell'amore"».

Parla anche di un legame molto stretto tra «ars celebrandi» e fruttuosa partecipazione dei fedeli. Non sono le «invenzioni» del singolo prete a rendere più vicina la Messa...

«L'ars celebrandi deve guardarsi da due estremi. Da una parte deve coltivare la fedeltà alle norme liturgiche: niente stravolgimenti. Ma il Papa parla anche di una completezza di queste norme. Perché se c'è un prete che nella Messa salta qualche parte, noi giustamente diciamo che non va bene. Ma lo stesso discorso vale anche per tutto ciò che si aggiunge, giaculatorie comprese. Il rito è compiuto in sé. Tra l'altro offre una serie di varianti che dobbiamo imparare a utiliz zare. L'arte di chi presiede è proprio questa: misurare l'assemblea in cui si celebra (non tutte sono uguali) e scegliere all'interno delle possibilità che il rito stesso offre. I formulari sono frutto di secoli e secoli di sedimentazione: ci vogliamo fidare?».

Al numero 62 Benedetto XVI rilancia poi la questione della Messa in latino, invitando anche i seminaristi a imparare a utilizzare i testi latini. Perché?

«Non si tratta di mettere la cornice a una lingua piuttosto che a un'altra. Intanto è importante il contesto in cui il Papa inserisce il discorso: le grandi liturgie internazionali con fedeli di diverse lingue. Eccettuate le lettura, l'omelia e la preghiera dei fedeli - dice - è bene che tali celebrazioni siano in lingua latina. È una prospettiva però diversa rispetto a quella di 45 anni fa. Perché celebrando la Messa nella propria lingua, italiani, tedeschi, francesi... hanno ormai percepito meglio qual è il senso di espressioni come Credo in unum Deum o Gloria in excelsis Deo. Oggi, quando intono il latino, nell'orecchio ho anche il significato di quelle parole nella mia lingua. E questo rende tutto più semplice. "Parla - dice san Paolo - in modo tale che il tuo amen sia chiaro". Questo è l'obiettivo di sempre. L'abitudine all'uso delle lingue volgari, ci aiuta a ritrovare la chiarezza dell'amen anche nel latino. Ma usciamo dall'illusione: indietro non si torna. Il latino sarà perpetuamente mantenuto nella Chiesa romana, ed è un bene. Ma l'uso delle lingue nella liturgia è un fatto irreversibile».

Quando parla del canto il Papa mette in guardia da «generi musicali non rispettosi del senso della liturgia».

«Il numero 42 sul canto va inserito nel discorso più ampio sull'arte al servizio della liturgia. Il Papa dice che il repertorio storico del canto liturgico non deve andare perduto. Ma dice anche altro: spiega, ad esempio, che un canto nella Messa non vale l'altro. Bisogna evitare la ge nerica improvvisazione nella scelta e - certo - l'introduzione di generi musicali non rispettosi del senso della liturgia. Sono parole molto equilibrate: non condanna nulla, tranne ciò che non si integra nel rito. Non possiamo, quindi, ridurre il problema del canto al solo genere musicale. La corrispondenza dei canti alle singole parti del rito e ai tempi liturgici è un punto altrettanto fondamentale».

Cosa immette in più, nella vita di tutti i giorni, un rito vissuto in pienezza?

«È il grande tema della terza parte dell'esortazione: l'Eucaristia come mistero da vivere. Offre l'orizzonte di una spiritualità liturgica. Una spiritualità che non "si serve" della liturgia, ma chiede aderire al mistero nella vita di ogni giorno. Il Papa si sofferma sull'ultima parola della Messa: "Andate". Dove? E a fare che cosa? Risponde: andate a vivere quello che avete celebrato. Il senso di tutto, in fondo, sta qui».

Avvenire, 29 marzo 2007


“La carità è la chiave di lettura della Sacramentum Caritatis”
Intervista a don Nicola Bux sull’Esortazione postsinodale sull’Eucaristia

ROMA, giovedì, 29 marzo 2007 (ZENIT.org).- È la carità il nucleo dell’Esortazione postsinodale “Sacramentum Caritatis”.

Lo ribadisce a ZENIT don Nicola Bux, autore del libro "Il Signore dei Misteri. Eucaristia e Relativismo".

Il Papa per la seconda volta scrive un testo significativo con la parola carità, amore. Prima la "Deus Caritas Est" e ora la "Sacramentum Caritatis". Si tratta di una chiave di lettura di questo papato?

Don Bux: La carità è la chiave di lettura del cristianesimo cattolico e quindi dell'Esortazione, perché il Papa Benedetto ha un pensiero pienamente cattolico nel senso che è il portato di ciò che da sempre, ovunque e dappertutto è creduto - come dice san Vincenzo di Lerins - e nello stesso tempo è un pensiero in movimento, attento alle domande dell'uomo contemporaneo.

Nell'Esortazione Benedetto XVI ribadisce l'influsso "benefico" della riforma liturgica. È questo uno dei punti più significativi del documento?

Don Bux: E' nel tema stesso dell'Esortazione: l'Eucaristia fonte e culmine della vita e della missione della Chiesa. Sappiamo che il Concilio voleva che l'Eucaristia e la liturgia fosse al centro della Chiesa, in quanto è da essa che viene continuamente edificata, come dice san Tommaso e non da noi.

La riforma liturgica nella misura in cui ha avuto questo come presupposto ha portato frutti; quando invece ha incentivato il protagonismo del clero e dei ministri, è diventata spettacolo ed è stata sterile.

Il Santo Padre si appella anche alla "coerenza eucaristica". Cosa si intende dire?

Don Bux: Ogni cattolico sa che non deve fare la Comunione eucaristica se vive una vita morale difforme da ciò che significa la parola stessa 'comunione': ovvero l'egoismo che porta a pensare e ad agire da solo, con una libertà che prescinde dalla verità, invece che essere un cuor solo e un anima sola come dicono gli Atti degli Apostoli.

Se si divorzia dal coniuge ovvero ci si divide, come si fa ad andare al sacramento dell'unità? Se favorisco la lite e la guerra per affrontare le controversie, come si fa ad accostarsi al sacramento dell'amore e della pace?

Se collaboro a fare leggi che violano la natura come Dio l'ha creata, come entrare in Comunione col Creatore? Ecco in breve la coerenza: ovvero la corrispondenza tra il credere e l'agire.

Come si deve intendere il suggerimento di celebrare, in messe internazionali, alcune parti in latino?

Don Bux: Nel senso che si deve adoperare il Messale Romano nell'edizione tipica latina, che esiste sin dall'inizio della riforma liturgica, piuttosto che fare messe plurilingue che invece di assomigliare alla Pentecoste richiamano Babele.

E' necessario però che in ogni comunità parrocchiale e non, non si abbia paura di far cantare e pregare alcune parti in latino e gregoriano (vi sono raccolte pubblicate già da dopo il Concilio).

Perché ci si dovrebbe tenere alla lingua inglese ormai in quasi tutti gli ambiti delle relazioni nel mondo e non alla latina che esprime la fede comune dei cattolici sparsi nel mondo?

Quale è per lei il punto di forza di questa Esortazione?

Don Bux: L'ammonizione a vivere l'eucaristia come sacramento dell'amore, che è comunione organica, ovvero obbedienza vicendevole, tra Papa e Vescovi, Vescovo e sacerdoti, sacerdote e laici.

Come la Chiesa non la facciamo noi, ma la raduna e la rinnova continuamente Gesù Cristo con l'azione del Santo Spirito, così l’Eucaristia, massima manifestazione della Chiesa, deve essere osservata con umiltà obbediente in modo che io 'diminuisca' e il Signore 'cresca' sempre più in ogni cristiano.

Zenit


Dopo l´annuncio del ritorno al rito tridentino

Perché mi piace la messa in latino
Chi ha mai detto che una partitura liturgica debba essere capita? Abbiamo eluso ogni mistero

GUIDO CERONETTI

Caro Direttore, un contravveleno, su queste pagine, il 21 marzo scorso, l´articolo-intervista di Paolo Mauri, "Se torna il latino", con l´intervento del filologo normalista Gian Biagio Conte!
Mi dà il prurito di dire anch´io qualcosa: il latino mi concerne, mi ha reso la caduta in questo triste mondo meno sfracellatrice, mi è rifugio e madre tuttora, che m´illebrosiscono gli anni.
Un contravveleno perché ti porta via, per un poco, anche solo il tempo di buttare giù questa nota per il vostro giornale, dal lager del wu-wu-wu e delle cronache sanguinose, dai kalashnikov puntati su innocenti, dai suk dove si va a comprare il proprio esser fatto a pezzi. La storia umana che parla latino non è meno sanguinosa, ma è un´emorragia fermata per sempre, ed ecco nitente la massima di Tommaseo: «Solo il passato è bello, perché non duole più».
Quanto alla messa in latino, sono più papista del Papa. La Messa è la tridentina e non ce ne può essere un´altra. Orate fratres, ite missa est. Dire in modo diritto Et cum spirito tuo in italiano sensato imporrebbe una riflessione su spiritus, che cosa sia: si sono limitati a svaginarlo dal suono e i fedeli svogliati ripetono: E col tuo spirito. Va´ a interrogarli: avete capito? Vi risulta chiaro? Che cosa ci fa il Signore con lo spirito dell´officiante?
Chi ha mai detto che una partitura liturgica, che un rito tradizionale debba essere capito? Ti figuri in italiano il richiamo del muezzin dal minareto? Abbiamo smantellato, eluso, gettato nell´acido tutto ciò che è mistero. La Messa, tolto il guscio del mistero che le è proprio, fatto dal latino, è un vacuo fantasma, ed è questo che la riforma funesta di Paolo VI ha fatto danzare nelle nostre chiese. Il rito è fatto per agire su chi vi partecipa: e sono certi gesti e certe parole, con una loro specifica potenza di suono. L´eucarestia in chiesa non può parlare la stessa lingua del Luna Park e del barbiere, chi ne varca la soglia deve afferrare la netta separazione che c´è tra duemila anni e la banalità di un istante!
Quel che non va bene è la scelta lasciata ai parrocchiani: non spetta a loro. Non si dà a nessuno la scelta tra un vino al metanolo e un barolo Einaudi di prima del 1930. Se la bottiglia è destinata a qualcuno che si ama, gli dai il meglio, non l´avveleni con un surrogato dato in opzione! La Messa greca è davvero ortodossa, in regola con la tradizione cristiana d´Oriente, ed è misterica, perfino misteriolatrica, nei suoi gesti meticolosi, nella sua infallibilità liturgica. La nostra, in volgare, è nichilistica. Il Papa antirelativista non può sentirla che predata dal Relativo...Veda lui, in casa propria.
L´Adelphi ha appena pubblicato una raccolta di sorprendenti corsivi di Giorgio Manganelli (Mammifero italiano): uno del 1977, sul Corriere, contiene una tremenda invettiva contro lo studio del latino. Manganelli perde addirittura il controllo dello stile: «La fucilazione del latino è un puro e semplice atto di igiene mentale. Disinquinamento, disinfestazione, derattizzazione...». Trent´anni dopo, il «disinquinamento» è cosa fatta, nella scuola italiana al latino rattus-rattus pestoforo che cos´è subentrato? L´Esseemmeesse, la trasmissione della stupidità pura, un po´ d´inglese che non ne mangerebbero i cani, il coito sublatis lumbis, con la supplente che traduce clades con Claudio (udito da me sul luogo dove Annibale disfece le legioni di Varrone).
Manganelli è geniale anche lì, ma lo è anche Céline in Bagatelles, eppur quel Pamphlet è obbrobrioso.
Del pessimo (convengo) latino della scuola del 1940 a me non è rimasto nulla eccetto - fondamentale - il contagio indelebile del suono latino, e ad alcuni di quegli autori ho dedicato l´appassionante lavoro di alcuni miei lontananti anni che mi hanno tenuto impegnato in traduzioni integrali in versi, più da artista, certo, che da filologo.
Un giorno dissi a Cioran un´iscrizione funebre che dice, semplicemente, De nil in nil, e i suoi occhi s´illuminarono.

Repubblica, 29 marzo 2007

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