6 maggio 2007

Rassegna stampa del 6 maggio 2007


Buona domenica, cari amici.
Stamattina sono un po' in ritardo e chiedo scusa.
Ecco la prima parte della rassegna stampa odierna
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Raffaella


Francamente maleducati

L’educazione è ciò che tutti ricevono, molti trasmettono e pochi possiedono», ha detto qualcuno scoprendo, purtroppo, l’acqua calda. E anche l’educazione, come tutto il resto che rende un uomo degno di chiamarsi tale, latita. Come La paranza che è «una danza che si balla nella latitanza». Latita, latita. Mi basterebbe, per stare nella rima, l’ignoranza, la non caganza, l’indifferenza. Mi basterebbe la non vicinanza piuttosto di dover subire una maleducanza cronica e continuativa. Starei volentieri nel mio brodino. Ma ti stanano per rovesciarti addosso tutta la loro splendente carenza. Come quelli che dicono: «Ah, io quello che ho nel cuore, quello che devo dire lo dico in faccia». Questa è una mala interpretazione della franchezza, della lealtà. È un atto di grande malaeducacion. Il malinteso si fa strada. I freni inibitori sono sovrastrutture, retaggio di antiche affettazioni. Così, giovani, adulti e vecchi si impegnano a mostrare schiettezza, inevitabilmente destinata alla mancanza di rispetto delle regole della convivenza. Talk show a piacere, youtube a dispiacere, spot pubblicitari a volte, cinematografia in abbondanza, cronaca a dismisura testimoniano e ammettono la ributtante maleducazione.

La perfida Albione tenta una riconversione dalle bad manners al bon ton. Una scuola pilota a Plymouth indica il successo di una sperimentazione in cui un banale decalogo di comportamento insegnato e appreso in apposite lezioni ha prodotto la scomparsa di aggressività, bullismo e incidenti tra alunni. Commentare è difficile anche se, genericamente, i buoni propositi di progetti innovativi sono comunque e sempre apprezzabili. Scompiglia un po’ le convinzioni, tipo testa di medusa, il fatto che si debba dichiarare la resa della responsabilità famigliare in favore di un suo trasferimento alla scuola in un argomento così classico e basilare come l’educazione. Ho sempre accettato sgridate, castighi e premi dei genitori e mal sopportato interferenze di intrusi destinati istituzionalmente ad altri compiti. Ho sempre preferito il vitto casalingo agli estranei gusti della mensa scolastica. Il riferimento continuo al metro paterno e materno è sempre stato una accettabile sponda per la costruzione del carattere e del comportamento. Propongo di istituire corsi per genitori disattenti e svagati con lo scopo di recuperare la loro voglia di conoscere i figli intensamente. Tanto da dedicare loro meraviglie pedagogiche, culinarie, istruttive. La scuola si occupi di fornire strumenti di logica e variopinta cultura.

Mina

"La Stampa", 6 maggio 2007

Chi vuol capire...


Intervista

“Ma nel ’48 i comunisti rispettavano il Papa”

“Ora c’è un clima incattivito, torniamo alla comprensione Stato-Chiesa”

MARCO TOSATTI

La Chiesa è preoccupata per un clima «incattivito» nei suoi confronti, ma spera che le «nubi» passeranno e che torni il clima di collaborazione con politica e cultura; ed è «lieta» che i cittadini italiani esercitino la loro libertà al «Family Day» di sabato prossimo. Angelo Sodano, Decano del Collegio cardinalizio, esprime a tutto campo la sua visione sui problemi del momento nella prima intervista concessa dal momento in cui, nel settembre scorso, ha lasciato il ruolo di Segretario di Stato, esercitato a fianco di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI per quasi sedici anni. Proprio questa grande esperienza gli permette di valutare con il distacco del diplomatico e dello statista le difficoltà del presente.

La preoccupa il clima che si registra verso la Chiesa?

«Nella storia della Chiesa ci furono sempre momenti di confronto. Adesso sì, c'è un clima un po' incattivito, perché mai si osò toccare il Papa, i vescovi, i parroci. Ricordo anche che nel dopoguerra, io ero in Piemonte, negli scontri fra partigiani e fascisti si venerava il vescovo. Anzi, quanti sono stati i parroci che si sono spesi per salvare situazioni drammatiche!».

Però nel dopoguerra era forte lo scontro Dc-Pci.

«Sì, ma ricordo che nella polemica forte del 1948, delle elezioni, c'erano posizioni diverse, a volte nelle stesse famiglie, ma non si è osato mai mancare di rispetto al Papa. Anche verso il papa Pio XII, anche da parte dei più accaniti, perfino dopo il decreto del Santo Ufficio del 1949, con il quale si scomunicava chi professava il comunismo e chi votava il fronte delle sinistre, c'era rispetto. Anche perché si ricordava ciò che Pio XII aveva fatto per impedire la guerra, per lenire i dolori della guerra, per affrettarne poi la fine. Adesso c'è una venatura nuova che forse ieri non c'era; c'erano posizioni diverse, ma non questo clima incattivito».

Un consiglio per uscire da questa contrapposizione?

«Il voto che posso esprimere è quello che il confronto sia più civile. Che ci sia rispetto reciproco, senza fare processi alle intenzioni, accettando il punto di vista dell'altro».

Chiede più tolleranza da tutte le parti?

«La parola tolleranza non mi piace molto, preferisco la parola rispetto reciproco, che è più positiva del concetto di tolleranza. E poi l'Italia ha tradizioni di convivenza che sono anche belle e credo che passeranno queste nubi e si tornerà a rispettarci un po' di più».

Lei ha parlato ieri di collaborazione fra Stato e Chiesa. E’ possibile, anche ora?

«Non siamo come due rotaie della ferrovia, che non si incontrano mai. Noi dobbiamo incontrarci. L'esempio che soprattutto in Italia noi diamo al mondo è di questa collaborazione fra la Chiesa e lo Stato, fra gli uomini di fede e gli uomini di culture diverse, dandoci l'un l'altro la mano e cercando di aiutarci».

Nel Vangelo c’è la frase «a Cesare quel che è di Cesare»...

«Una volta nella Cecoslovacchia comunista un ministro dei culti mi rimproverò un atteggiamento che sembrava duro della Santa Sede verso il regime. E mi ricordò proprio quella parola del Vangelo: date a Cesare quel che è di Cesare. E io risposi: non posso dare a Cesare quel che è di Cesare, perché Cesare si è già preso tutto. Nella nostra bella Italia non è così, abbiamo una tradizione meravigliosa che dobbiamo coltivare e continuare».

E in Europa, al Parlamento europeo, non la preoccupano le posizioni anti-Chiesa?

«Ciò che preoccupa anche me è che alcuni gruppi, non riuscendo qui in Italia a far passare certe cose, approfittano del Parlamento europeo in un momento anche di debolezza, in cui magari uno è fuori e l'altro non dà importanza, per far approvare certe risoluzioni. Questo è un aspetto che comincia a preoccupare; perché la Santa Sede ha buoni rapporti con tutte le realtà europee, la Ue, il Consiglio d'Europa e l'Organizzazione per la Cooperazione e la Sicurezza. Questi tre grandi organismi sono sempre stati seguiti con molto interesse e molta stima dalla Santa Sede, già dai tempi di Pio XII, che favorì questa integrazione europea. E un grande merito hanno avuto: primo merito la pace, è scomparsa quella rivalità fra Stati che ha fatto stragi in Europa, anzi, come ha detto Benedetto XV, “inutili stragi”; pensiamo alle guerre mondiali. Anche l'unificazione di tante norme è stato un bene. Però certo adesso la Santa Sede è un po' preoccupata di qualche indirizzo del Parlamento. E' vero che sono risoluzioni non vincolanti; però certo disturbano; anche se forse la stampa ingigantisce».

Le polemiche di questi giorni rendono difficile il rapporto Chiesa-Stato. Possono ancora incontrarsi?

«Devono incontrarsi perché c'è tutta un'esperienza di duemila anni di storia. Esistono formule diverse, e metodi diversi. In Nord America c'è questa profonda convinzione che la religione fa parte della società. E quindi la società non può ignorarla. Un sindaco sa che se vuole amministrare bene la città deve occuparsi delle strade, della scuola, del campo sportivo, ma anche della chiesa, dove il cittadino vuole pregare. In Europa abbiamo altre esperienze. Noi non vogliamo la Chiesa di Stato; un modello che rimane solo in Inghilterra e Grecia; credo che già in Svezia sia diverso. Chiesa di Stato: noi non vogliamo quel modello. Però vogliamo il criterio che la saggezza nostra latina ha sempre dato, di collaborazione».

C’è chi mette in discussione il Concordato.

«Sempre i concordati si possono modificare. Ne ho firmati tanti, con l'Austria, con i vari Laender della Germania, con il Portogallo. E con l’Italia, nel 1984. Ma il Concordato da noi funziona».

Fra una settimana a Roma ci sarà il Family Day. Qual è la sua opinione sull’evento?

«La libertà dei cittadini! Noi dobbiamo essere lieti che gli italiani esercitino il dono della libertà che Dio ci ha dato. E' uno dei doni più belli che ha l'uomo. E quindi viva la libertà degli italiani!».

"La Stampa", 6 maggio 2007


IL CASO

Chiamati a emettere una sentenza senza precedenti. Ne aveva 87 grammi nel suo ufficio al Palazzo del Governatorato. 4 mesi di reclusione

E in Vaticano primo processo per droga
I giudici del Papa condannano dipendente per uso di cocaina


Le attuali leggi non hanno norme specifiche relative alle sostanze stupefacenti

ORAZIO LA ROCCA

CITTÀ DEL VATICANO - Primo processo in Vaticano per un reato di droga. E prima relativa condanna. E´ stato celebrato ieri mattina presso il Tribunale dello Stato della Città del Vaticano presieduto dal professor Giuseppe Dalla Torre. Nel suo genere, un evento storico per l´ordinamento giudiziario della cittadella pontificia perché mai, in passato, i giudici del Papa erano stati chiamati a emettere una sentenza per motivi legati al possesso e all´uso di sostanze stupefacenti. Protagonista della vicenda, suo malgrado, un dipendente della Santa Sede chiamato a difendersi dall´accusa di detenzione di 87 grammi di cocaina tenuta nascosta in un cassetto all´interno della stanza dove lavorava, nel palazzo del Governatorato. Dopo un dibattimento durato circa tre ore, il dipendente è stato condannato a 4 mesi di reclusione con la sospensione condizionale. E´ stato invece assolto dall´accusa di ricettazione e minacce.
Il dipendente - fino a ieri incensurato per la giustizia vaticana - era stato, comunque, licenziato nei giorni scorsi in seguito ad un´altra condanna comminatagli da un tribunale italiano per altri presunti reati commessi fuori dalle mura vaticane. Un provvedimento apparentemente poco ortodosso, ma legittimo per le autorità vaticane perché l´ordinamento giudiziario pontificio prevede, tra l´altro, anche il licenziamento in tronco dal posto di lavoro per chi, pur essendo cittadino vaticano, subisce una condanna emessa da tribunali esteri.
Non è stato semplice per il tribunale papale arrivare alla sentenza di ieri mattina, perché le attuali leggi vaticane - varate il 7 giugno 1929 e successivamente modificate dai Motu Propri papali del 1932, del 1946 e del 1987 - non hanno norme specifiche relative a reati legati al possesso o spaccio di droga. Oltre al presidente Dalla Torre, la Corte era formata da due giudici, Gianluigi Marrone e Piero Antonio Bonnet, da un cancelliere, Claudio Ceresa (Notaro attuario), e dal promotore di giustizia (equivalente al pubblico ministero), Nicola Picardi, al quale si deve l´individuazione della linea normativa su cui è stata formulata la sentenza. L´imputato è stato difeso dall´avvocato d´ufficio Luigi Mattioli. Tre i testimoni a carico sentiti dai magistrati. Il dipendente, pur ammettendo il possesso della cocaina per uso personale, ha respinto l´accusa di spaccio. «Sì, è vero - conferma il giudice Gianluigi Marrone - , ieri nel Tribunale del Vaticano c´è stato un procedimento legato a un reato di droga ed è stata emessa una sentenza, dopo un articolato dibattimento». Malgrado il vuoto legislativo in materia di tossicodipendenze, alla fine i giudici pontifici hanno comunque emesso un giudizio - puntualizza il magistrato - contemplato da norme precise. «E vale a dire - spiega Marrone - l´applicazione di norme previste nelle convenzioni internazionali in materia di droga sottoscritte dalla Santa Sede e l´articolo 23 della legge numero 2 del 1929», che dà facoltà al Tribunale di emettere comunque un giudizio di fronte a un «fatto eclatante non regolato da nessuna legge, ma dannoso per la salute, la moralità e la religione».

Repubblica, 6 maggio 2007


LA POLEMICA
Family day, ministri divisi sulla scelta di andare o no in piazza. Il Cavaliere: non vado, parteciperò col cuore

Bindi contro Mastella: strano concetto della Chiesa

ROMA - Rosy Bindi, ministro della Famiglia e autrice (con Barbara Pollastrini) della legge sui Dico bacchetta Clemente Mastella per la sua decisione di manifestare al Family day. Il Guardasigilli e leader dell´Udeur era tornato alla carica avvertendo l´Unione: «Se non manifestiamo consegniamo la Chiesa alla destra». «Davvero una strana concezione della Chiesa e della politica. Non è corretto leggere in chiave di schieramento politico le proposte e le iniziative della Chiesa», attacca la ministra. Il conto alla rovescia verso il 12 maggio - quando si terranno il raduno cattolico di Piazza San Giovanni e il controraduno laico di Piazza Navova - è scandito dalle polemiche.
Il centrodestra si prepara ad andare in massa al Family day però Silvio Berlusconi non ci sarà: «Non vado, non ho l´abitudine di partecipare a tutte queste manifestazioni. Ma parteciperò certamente con il cuore, e Forza Italia sarà assolutamente presente». Il leader del Polo non manca di dichiarare la propria adesione ai valori tradizionali: «Crediamo nella famiglia, quella formata da un uomo e da una donna che si amano e che vogliono procreare dei figli». Un richiamo a tutto il partito che del resto, spiega Isabella Bertolini, sta preparando pullman per la giornata della famiglia. Mobilitazione anche di An; appello a tutti gli iscritti da parte dell´Udc i cui leader Pierferdinando Casini, Lorenzo Cesa e Rocco Buttiglione saranno in prima linea. Ironizza il ministro della Pubblica Istruzione, Beppe Fioroni, della Margherita, che non intende rinunciare al Family day nonostante gli attacchi nell´Unione: «Il fatto che Berlusconi non venga è di buon auspicio per la riuscita dell´iniziativa, meglio così».
C´è il rischio di una strumentalizzazione della piazza cattolica da parte del centrodestra alla vigilia delle amministrative. Savino Pezzotta, il coordinatore della manifestazione, ha invitato i politici a «non usare» il raduno. La Bindi apprezza: «Spetterà agli organizzatori non farne una giornata anti Dico». Ma le tensioni tra laici e cattolici sono destinate a inasprirsi. I Radicali ieri hanno manifestato in Piazza San Pietro a difesa della satira di Andrea Rivera, il conduttore della manifestazione del Primo Maggio accusato di «terrorismo» dall´Osservatore romano. Hanno scandito: «No Vatican, no taliban». In questo clima, al presidente della Cei, monsignor Angelo Bagnasco, oggetto di minacce, è stata assegnata anche un´auto blindata oltre alla scorta.
E crescono le adesioni al controraduno laico. La Sinistra democratica, il neonato movimento di Mussi, Angius e Salvi, sarà in Piazza Navona. «Saremo alla manifestazione in difesa della laicità dello Stato», annuncia Salvi. E sia Angius che Mussi criticano il Family day: «È una manifestazione contro i Dico, una legge di civiltà per i diritti dei conviventi. La nota della Cei è stata un attacco alla Costituzione». Sulla laicità, denunciano, «è assordante il silenzio del Partito democratico». Quindi, in piazza con Pannella per i Dico. Enrico Boselli, il leader dello Sdi a sua volta insiste nell´invito ai Ds: «Vengano con noi in Piazza Navona e lascino che la Margherita vada nell´altra piazza, da un´altra parte». Suggerimento a non perseverare nella costruzione del Partito democratico con i cattolici.
(g.c.)

Repubblica, 6 maggio 2007

I politici perdono sempre l'occasione di starsene zitti, vero?

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