5 maggio 2007

Aggiornamento della rassegna stampa del 5 maggio 2007 (2)


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IL CARDINALE RATZINGER E LE GIOVANI UNIVERSITARIE

Rassegna stampa del 5 maggio 2005

Aggiornamento della rassegna stampa del 5 maggio 2007 (1)







La singolare laicità del giornale di Rifondazione

Incitare i cattolici a ribellarsi al Vaticano

Pio Cerocchi

«Liberazione» mette i piedi nel piatto della polemica scoppiata all'indomani del concertone del primo maggio, a piazza San Giovanni a Roma. Il direttore del giornale, infatti, va fuori del solito lamentoso coro di chi pensa che ogni commento da parte vaticana su ciò che avviene nel nostro Paese (e che, oltretutto, direttamente la riguarda), debba configurarsi come un reato di "lesa maestà" rispetto alla laicità dello Stato, e anche un "vulnus" ai patti che ne regolano i reciproci rapporti. Così anche questa volta Piero Sansonetti sceglie una sua rotta solitaria, chiamando imprevedibilmente e apertamente in causa i «cattolici democratici», accusandoli di pavidità, e di venir meno al «loro ruolo», che sarebbe quello di costituire un «ponte tra laici e Chiesa», imponendo finalmente «un alt alla sua corsa oscurantista e fondamentalista (...) che sta sfigurando, in pochi mesi, il volto della religione cristiana».
«La polemica» (il servizio che ieri apriva il foglio di Rifondazione comunista si chiama così), pur tra molte approssimazioni nei riferimenti storici, evidenzia il "rischio" costante che, comunque, accompagna l'azione politica dei cattolici: quello di essere strumentalizzati. Un rischio che in tempi burrascosi, appare piuttosto come una certezza. A sinistra (ricordate quando Gad Lerner si rivolse ai cattolici, chiedendo loro: «Perché non parlate?»), ma anche a destra, oggi, i cattolici impegnati in politica corrono seriamente il pericolo di essere apprezzati non per i contenuti che possono offrire sui temi che specialmente li caratterizzano, ma solo strumentalmente per la loro capacità di legittimare le scelte operate dagli altri, anche quando esse non gli appaiono del tutto condivisibili. «Liberazione» non nasconde questo intendimento, e così non paga della bassa intensità delle critiche dei cattolici democratici alle accuse lanciate alla Chiesa durante il concertone, arriva al paradosso di rimproverarli di pavidità per non avere condannato la denuncia e la preoccupazione espresse in quella occasione dagli organi di informazione della Santa Sede. E tutto ciò, senza alcun riguardo per la libertà dei credenti e, particolarmente, di coloro tra quelli che sono impegnati in politica e nelle istituzioni. Anzi, negando loro non solo la libertà nella scelta politica, ma anche ignorando che essi possano averne all'interno della Chiesa, confondendo così la virtù della discrezione e della prudenza, con la vigliaccheria. Dando, inoltre, per scontato che della Chiesa e dei suoi pastori, si possa parlare male impunemente sempre e ovunque.
Insomma, pure negli ambiti delle diverse alleanze politiche, è abbastanza chiaro che i cittadini si muovono con quella libertà che è l'elemento costitutivo e il principio inviolabile di ogni azione moralmente rilevante: in famiglia, nel lavoro ed anche in politica. E bisognerà per questo ricordare a Sansonetti e ai suoi compagni, che la vera "novità" cristiana è nel riconoscimento del primato della coscienza di ciascun uomo, unico e irripetibile. E devo dire conclusivamente che se fossi tra coloro che Liberazione ha invitato ad alzare la voce contro i propri pastori, farei esattamente l'opposto richiamando i laici di qualsiasi colore e collocazione politica, al rispetto dei credenti senza tollerare il brutto vizio della sinistra di dividere i "buoni" dai "cattivi". Papi compresi.

Avvenire, 5 maggio 2007


Per Welby e per tutti

Su quell'attimo finale niente tromboni

Davide Rondoni

Da qualche giorno Welby è tornato. Si parla molto infatti di lui, da quando il suo nome è stato evocato dal palco di piazza San Giovanni, a Roma, nel concertone per il primo maggio. Si disse lì che è ben strana una Chiesa che nega il funerale ad un uomo come Welby mentre lo concede a dittatori come Franco o Pinochet. Non proprio un tema da ballo, diciamolo. Specie se piazzato dentro una tiritera anti-ecclesiale che giustamente ha scatenato reazioni proporzionate. Ma la battuta ha avuto il suo effetto, da un telegiornale all'altro, da una pagina di giornale a quella della testata concorrente. Con una coda di commenti, che snocciolavano le solite accuse, non si sa se saccenti o spensierate. Non converrebbe fermarsi un soffio? Forse ci si accorgerebbe che si sta toccando un tema di grande e drammatica delicatezza: la morte e il nostro ultimo istante.
Su questo tema, così forte e grandioso, la Chiesa ha da sempre riflettuto, elaborando una sua ragionata posizione. Quanti milioni di esseri umani, giunti a quel punto estremo, hanno avuto vicino un prete? E si può forse pensare che su una materia così cruciale la Chiesa non abbia maturato un approccio ad un tempo rispettoso della verità di quella singola vita ed educativo nei riguardi delle altre, di coloro che restano? I critici inavvertitamente cadono in un paradosso comico: accusano la Chiesa terrena di volersi impancare a giudice della vita di un uomo, e lo fanno stilando le loro personali, rigide e un po' modaiole classifiche di buoni e cattivi, volendo loro sì giudicare i meriti dopo la morte. Piccoli, ridicoli, deucci a ventiquattro pollici…
Ma il tema, grazie alla Chiesa, ormai è posto. Secondo l'antica sapienza e secondo anche la dottrina - quella che molti attaccano senza troppo conoscerla - un uomo può giocarsi tutto nell'ultimo momento della vita. Fino a quell'attimo supremo la nostra esistenza è presa in un drammatico confronto, in un duello come facevano vedere gli antichi disegni, tra la disperaz ione e l'affidamento alla misericordia di Dio. La Chiesa non è il notaio delle coscienze. Piuttosto è madre che onora la libertà dei figli, anche nell'estremo istante. Nel caso di Welby, dinanzi a una manifestata e ripetuta presa di posizione contraria alla fede sul valore della vita come dono di Dio indisponibile a noi mortali, la Chiesa rispettando la libertà di quell'uomo e avendo a cuore la fede e la libertà di tanti in condizioni simili, si assunse una responsabilità dolorosa e coerente. A differenza di quel che si dice al bar sport, il funerale non è la celebrazione di un processo, né una sanzione notarile, e nemmeno una polizza di assicurazione sull'ultimo viaggio. No, è l'affidamento di una creatura alla misericordia di Dio, da parte della comunità cristiana nel cui seno chi vuole (anche solo non opponendosi) si addormenta. Se uno come scelta sofferta, tormentata, dichiarata, preferisce addormentarsi altrimenti, chi siamo noi per opporci a lui e al suo lucido volere?
Resta, per tutti, il fatto che all'ultimo istante, fino all'ultimo istante, la nostra vita può dire sì a Dio, o dire no. Il cristianesimo e la Chiesa hanno così rispetto della libertà umana, così devozione e commozione, da comprendere che un solo istante, un solo gesto libero, una lacrima sola, può cambiare di segno una vita, un destino. Affidano sempre a Dio il giudizio ultimo, e "contano" su di Lui, sulla sua misericordia. Non a caso tra i cristiani ogni volta alla Messa o nella semplicissima Ave Maria ci si richiama al valore di quel momento. Senza il limite estremo, senza la finalissima di quel momento, la vita invece di essere vissuta come campionato, come partita magnifica e dura tra il bene e il male, diviene una galera in cui cercare di cavarsela con più astuzia possibile. Magnificamente Dante, scandalizzando i comizianti del suo tempo, ha fissato nei secoli questo valore supremo dell'ultimo istante nella figura di Manfredi: il principe ferito e bello si pente all'ultimo momento e in tale modo rovescia il suo destino di peccatore ed eretico.
Ancora oggi quel che la Chiesa dice su quell'istante (e dunque su ogni istante) fa scandalo. Ma anche il suo silenzio tuttavia è rivelatore di qualcosa che sarebbe davvero un guaio non raccogliere.

Avvenire, 5 maggio 2007


VISITA AD LIMINA

Il Papa: il futuro dei Balcani? Dialogo e servizio all'uomo

Ai vescovi di Macedonia, Montenegro e Serbia: fedeltà al Vangelo ed ecumenismo
per costruire il bene comune di fronte alle «tentazioni del materialismo occidentale»


Da Roma Mimmo Muolo

Le «rette coscienze» formate alla scuola del Vangelo possono costruire «più facilmente una società a dimensione umana». Riprendendo uno dei capisaldi del suo magistero (ampiamente sviluppato anche nel recente libro su Gesù), Benedetto XVI ha raccomandato ai vescovi di Serbia, Macedonia e Montenegro (e tramite essi alle loro comunità) di «non stancarsi di essere "lievito" evangelico che fermenta la società». I presuli che nel 2004 Giovanni Paolo II volle riunire in un'unica Conferenza episcopale, cui dette significativamente il nome di Cirillo e Metodio (i due fratelli santi evangelizzatori del mondo slavo), sono in questi giorni a Roma per la loro visita ad limina. E ieri sono stati ricevuti in udienza dal Pontefice che ha rivolto loro un breve ma incisivo discorso. Innanzitutto Papa Ratzinger ha messo in guardia dai pericoli che possono derivare dal clima culturale di questi anni. «Una male intesa modernità - ha detto infatti - tende oggi ad esaltare in maniera soverchia i bisogni dell'individuo a scapito dei doveri che ogni persona ha verso Dio e verso la comunità alla quale appartiene». Perciò «è importante porre in luce la retta concezione della responsabilità civile e pubblica, perché proprio da questa visione discende l'impegno per il rispetto dei diritti di ciascuno e per un'integrazione convinta della propria cultura con le altre, tendendo insieme al bene comune». Di questo speciale apporto del Vangelo hanno bisogno in particolare i Balcani, dopo le vicende degli ultimi decenni. «Non è facile dimenticare - ha aggiunto a questo proposito Benedetto XVI - la pesante eredità di oltre quarant'anni di pensiero unico, che hanno causato comportamenti sociali non improntati alla libertà e alla responsabilità personale, ed è, al tempo stesso, difficile resistere alle tentazioni del materialismo occidentale con i rischi di relativismo e liberalismo etico, di radicalismo e fondamentalismo politico». «Non perdetevi d'animo - ha perciò incoraggiato il Pontefice - ma unit e piuttosto le forze e continuate pazientemente la vostra opera, certi che un giorno, con l'aiuto di Dio, si potranno raccogliere quei frutti che Egli stesso farà maturare secondo i suoi misteriosi disegni di salvezza». Benedetto XVI ha poi assicurato i vescovi dei tre Paesi della sua vicinanza e li ha esortati ad «andare avanti», curando soprattutto quegli aspetti che «comportano non poche ripercussioni sulla loro vita cristiana». «Penso, ad esempio, - ha indicato - al matrimonio tra coniugi di distinta confessione o religione, che domanda da parte vostra, cari pastori, una speciale cura spirituale e una più armonica cooperazione anche con le altre Chiese cristiane. Penso inoltre all'educazione religiosa delle nuove generazioni, da prevedere doverosamente all'interno dei programmi scolastici. E come non far cenno poi a quell'aspetto fondamentale per la vita ecclesiale che è costituito dalla formazione dei sacri ministri». Infine una raccomandazione ecumenica. «Il Signore vi ha posto a stretto contatto con i fratelli ortodossi - ha concluso il Papa -. Come membra di un unico Corpo, ricercate ogni possibile collaborazione al servizio dell'unico Regno di Dio» e per la «diffusione dei valori evangelici».

Avvenire, 5 maggio 2007


Mezzo milione di fedeli, i più in Serbia

(F.Mas.)

La Conferenza episcopale internazionale dei Santi Cirillo e Metodio con sede a Belgrado, riunisce i cattolici di rito romano e bizantino della Macedonia, Montenegro e Serbia con il Kosovo. La Conferenza episcopale celebra in quest'anno il decimo anniversario; i suoi statuti sono stati approvati il 21 agosto dello scorso anno. I cattolici sparsi tra Serbia, Montenegro, Macedonia e Kosovo sono poco più di mezzo milione - la maggior parte concentrati nel territorio serbo - a fronte di oltre 12 milioni e mezzo di abitanti, in larghissima maggioranza ortodossi. La presenza del Vangelo in queste terre risale al primo secolo dopo Cristo e già la macedone Skopje può contare una sede metropolitana al Concilio di Calcedonia del 451. L'esplosione avviene nel nono secolo, quando le strade dei Balcani vedono il passaggio dei due apostoli slavi per eccellenza, Cirillo e Metodio. È il momento di maggior fioritura della Chiesa, fino alla data-spartiacque del 1054, con lo scisma che divide la Chiesa di Roma da quella bizantina, portando poi le comunità cristiane dei Balcani sotto la sfera dell'Ortodossia.

Avvenire, 5 maggio 2007


OBIETTIVI PER IL «G8»

«Il Papa ci ha esortato a fare il bene del mondo»

Da Benedetto XVI sostegno all'iniziativa anti-povertà Il cardinale Maradiaga: i Grandi rispettino gli impegni

Da Roma Paolo Lambruschi

Parole incoraggianti: «Continuate fare il bene del mondo». Come ha riferito il vescovo di Ivrea Arrigo Miglio, presidente della Commissione Giustizia e Pace, il Papa ha dato ieri «pieno sostegno» alla campagna internazionale organizzata dalla rete Cidse, le ong cattoliche occidentali e da Caritas internationalis, che chiede al G8 il rispetto degli impegni assunti in tema di aiuti internazionali e lotta alla povertà. Benedetto ha incontrato ieri la delegazione di 11 ecclesiastici di Africa, America Latina, Stati Uniti e alcuni paesi europei guidata dal cardinale di Tegucicalpa Oscar Rodriguez Maradiaga, che hanno lanciato la campagna «Prima che sia troppo tardi». Al Papa è stato presentato il resoconto degli incontri avuti in settimana con i governi britannico, tedesco e italiano e l'iniziativa, che propone di inviare al cancelliere tedesco Angela Merkel e al proprio governo (da noi sono indirizzate a Romano Prodi) una cartolina per ricordare le promesse da mantenere verso i poveri.
Nei giorni scorsi è stato reso noto un carteggio tra il Santo Padre e la Merkel, nel quale Papa Ratzinger ribadiva le richieste di impegno serio ai Grandi della terra nella lotta alla povertà e le malattie.
Nel 1999 analoga iniziativa ottenne enorme successo: 17 milioni di cartoline arrivarono ai leader del G8. L'obiettivo è arrivare a 20 milioni (il sito della campagna è www.primachesiatroppo tardi.it).
La delegazione ha incontrato ieri anche il presidente della Cei Angelo Bagnasco il quale ha assicurato che tutta la Chiesa italiana continuerà ad impegnarsi nella campagna, chiedendo ai promotori di coinvolgere ogni parrocchia. Su richiesta di Giovanni Paolo II la Cei aveva promosso nell'anno 2000 la Campagna Giubilare sul debito estero dei paesi poveri, che ha portato alla legge di cancellazione. Attualmente la Cei è impegnata nella sua attuazione attraverso la Fondazione Giustizia e Solidarietà.
«Non si chiede al G8 di assumere ulteriori impegni - ha spiegato il cardinale Maradiaga - quanto piuttosto di rispettare quelli già presi per quanto riguarda il contributo ai Paesi in via di sviluppo, la trasparenza nelle transazione internazionali, la lotta alla corruzione e il controllo del commercio di armi». L'opzione preferenziale per i poveri, concetto conciliare, sarà al centro della conferenza generale dell'episcopato latinoamericano, che il Papa inaugurerà il 13 maggio ad Aparecida, in Brasile, nell'ambito della sua visita pastorale nel Paese».
«La povertà infatti - ha aggiunto Maradiaga - aumenta anziché diminuire e ha bisogno di gesti concreti non solo di parole».
Presente all'incontro con Benedetto anche l'arcivescovo di Abuja, in Nigeria, John Olorufemi. E l'Africa sarà al centro del prossimo G8. «I paesi come il mio sono ricchi di risorse e abitati dai poveri. Il motivo principale è la corruzione dei governanti. Finché i paesi occidentali non agiranno contro la corruzione, anche al loro interno, questa ingiustizia continuerà. Il G8 affronterà due problemi, due facce della stessa medaglia: l'ambiente e la povertà. Perché il clima e la miseria sono due aspetti del riscaldamento globale. Potete alzare i muri, ma i poveri continueranno a guastare la festa ai ricchi, i nostri giovani continueranno a sbarcare da voi».
La critica all'attuale modello globale di sviluppo che i vescovi delle conferenze episcopali del sud del mondo stanno portando avanti contiene una critica al capitalismo? «Perché no? - ha risposto Maradiaga - Se dopo tanti vertici di importanti autorità globali la povertà non guarisce dobbiamo dirlo, correggere gli sbagli è da saggi». Maradiaga ritiene che ci sia spazio per cambiare le cose con una adeguata pressione e che il dialogo con i leader del G8 «sia il metodo da seguire».
Altro punto da promuovere è la formazione a comportamenti sobri e a stili di vita coerenti. «Ricordiamo poi - ha affermato Paolo Beccegato, responsabile dell'area internazionale della Caritas italiana - la giustizia del commercio. L'agric oltura dei paesi poveri è strangolata dai prezzi bassi. In India si sono suicidati 100mila agricoltori negli ultimi 10 anni».
Per quanto riguarda i risultati concreti della campagna nazionale Sergio Marelli, direttore della Focsiv si è detto «fiducioso» verso il governo italiano, che si è impegnato a mantenere le promesse. «Ma il nostro aiuto allo sviluppo è fermo allo 0,2% e si teme una riduzione di 50 milioni dei fondi alla cooperazione». Muoviamoci, prima che sia troppo tardi.

Avvenire, 5 maggio 2007

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