7 maggio 2007

Rassegna stampa del 7 maggio 2007


Sulla chiesa corre veleno via internet

È rimasta il solo simbolo di tutte le negazioni della civiltà dell’Occidente. Ma più che le grida in piazza del 1° Maggio deve temere gli attacchi degli internauti

GIANNI BAGET BOZZO

Forse vi è qualche ragione per cui l’Osservatore Romano ha usato un termine così inaudito come «terroristi» per descrivere gli attacchi contro il cristianesimo e contro la Chiesa compiuti in Internet e manifestati, con inattesa violenza, dal conduttore del 1° Maggio sindacale. Forse è più il messaggio che corre in Internet a preoccupare la Santa Sede che la definizione di ladroni data per obliquo alla Chiesa in Piazza San Giovanni. Internet è divenuto una sorta di coscienza diffusa, in cui ciascun utente è portatore e recettore di messaggi potenzialmente mondiali. E tutta la struttura della protesta in Italia usa Internet da molto tempo, non solo come mezzo di messaggi, ma come organizzazione di fatti e di rapporti collettivi.

Quando nacque il terrorismo, la politica e lo Stato avevano un’alta statura, conferita a loro dalla razionalità che impersonavano con la creazione delle ideologie, cioè di valori assoluti attribuiti alla politica e allo Stato. Ora l’età moderna è finita veramente, la politica e lo Stato non sono più degni di attenzione ideale, non sono più oggetto né dell’eccesso di dedizione, né - come negli anni del terrorismo - di eccitazione dell’odio. Gli Stati e la politica hanno smesso di essere simboli, di eccitare passioni d’identificazione o contrapposizione. Questo ruolo è stato preso dalle religioni. In primo luogo dall’Islam, divenuto la struttura simbolica per giustificare il suicidio-omicidio. Certo solo l’Islam ha raggiunto un tale livello d’intensità, ma il fatto che il linguaggio religioso sia divenuto l’unico linguaggio simbolico, portatore d’ideali e di valori, d’identità e negazioni assolute, incide su tutti i linguaggi religiosi. Ne è venuta la necessità di proteggere i simboli religiosi o identitari. È accaduto per l’ebraismo: dalla definizione dell’antisemitismo come reato alla rilevanza penale della negazione dei milioni di morti ebrei nei Lager nazisti. L’islam ha saputo tutelarsi bene, imponendo anche all’Occidente il divieto, non coranico ma tradizionale, di produrre immagini di Maometto, anche se non critiche. La shaaria sotto questo punto di vista è già applicata nei Paesi occidentali. In varie legislazioni europee la diffamazione religiosa è ora proibita, magari con l’accusa di razzismo o di disprezzo collettivo.

Le Chiese cristiane diverse dalla cattolica non suscitano passioni identitarie. Solo la Chiesa cattolica, per il carattere istituzionale e escatologico, può suscitare passioni forti: di appartenenza, ma anche, e nel linguaggio comune degli internauti, come l’unico soggetto che ha tanto valore simbolico da rendere possibile una critica totale. L’Occidente non ha più simboli, anche gli Usa cessano, per il dramma della guerra irachena, d’essere oggetto d’identificazione negativa, al massimo lo è il loro Presidente.

Ma la critica alla Chiesa cattolica fa parte della storia dell’Occidente: una tradizione di linguaggio anticattolico è parte della cultura occidentale. Divenuto l’unico oggetto simbolico, la Chiesa avverte d’essere odiata dalla società in cui viviamo e di suscitare una pulsione negativa in cui tutte le negazioni della civiltà dell’Occidente si esprimono e si rafforzano. Una religione, l’islam, ha dato nuovo impulso al terrorismo ma esso ha radici occidentali, è una mimesi dell’Occidente nel mondo islamico. Una lega contro la diffamazione, come esiste per l’ebraismo e per l’Islam e indirettamente per tutte le religioni costituite, non esiste per la Chiesa cattolica, che sola può divenire oggetto di un’ostilità simbolica. È questo che teme l’Osservatore Romano quando parla di terrorismo, e credo che ogni vescovo italiano riceverebbe la scorta se ripetesse le semplici e ovvie frasi dette dall’arcivescovo di Genova per affermare l’esistenza di una morale sessuale. L’incidente del San Giovanni è poca cosa, ma non lo è il rischio della lotta all’istituzione simbolica dell’Occidente che, con papa Benedetto, si è assunta la responsabilità d’essere tale

La Stampa, 7 maggio 2007

Per questo sono sorti blog, forum e siti come questo: per diffondere il vero messaggio del Papa (che i media fingono di ignorare) e per mette a nudo le contraddizioni del moderno conformismo.
Raffaella


Il Papa va in Brasile Una nutrizionista gli controlla i pasti

Una nutrizionista tutta per lui, con il compito di controllare il cibo e l’alimentazione durante la sua permanenza in Brasile, dal 9 al 14 maggio. È la novità che accompagna il viaggio di Benedetto XVI nel Paese sudamericano e, anche, la sua prima «trasferta» intercontinentale. La nutrizionista che si occuperà dei pasti del Papa è Gisela Palumbo Comarovschi Savioli. L’esperta è stata nominata da monsignor Raymundo Damasceno, vescovo di Aparecida, responsabile per l’alimentazione del Pontefice e del suo entourage. La funzione della «speciale» dottoressa sarà quella di organizzare tutta la parte operativa della cucina, così come la direzione, l’organizzazione, la supervisione dei servizi di alimentazione e di nutrizione, incluso il controllo di qualità dei generi e dei prodotti alimentari. Papa Ratzinger, che partirà per il Brasile dopodomani, domenica prossima presiederà l’apertura della quinta Conferenza generale dell’Episcopato latinoamericano e dei Caraibi, che si terrà nel grande Santuario nazionale di Nostra Signora Aparecida.

Il Giornale, 7 maggio 2007


Il cardinale Bertone: il papa in Brasile per promuovere la giustizia

di Simona Santi

I temi della "disuguaglianza, della povertà e dell'oppressione": sono questi per il cardinale Tarcisio Bertone, i problemi "più brucianti" che attendono Benedetto XVI in Brasile. Lo ha spiegato in un'intervista a Radio Vaticana.

I temi della "disuguaglianza, della povertà e dell'oppressione": sono questi per il cardinale Tarcisio Bertone, i problemi "più brucianti" che attendono il papa in Brasile. Il segretario di Stato vaticano ne ha parlato ieri in un'intervista esclusiva alla Radio Vaticana e al principale quotidiano di San Paolo, "Folha de Sao Paulo". "Il papa conosce bene il continente americano e soprattutto il continente sudamericano - ha sottolineato - perché ha incontrato tutti i vescovi diverse volte in occasione delle visite ad Limina in Vaticano; ma ha anche partecipato a riunioni in America Latina". "Si tratta - prosegue il porporato - di un ritorno, ma di un ritorno nel grande Paese del Brasile, che è tra l`altro il Paese che ha il maggior numero di cattolici, un ritorno del cardinale Ratzinger come papa, per affrontare le sfide e i problemi che il Terzo Millennio pone a questo grande continente cristiano, profondamente cristiano, che è stato chiamato da Giovanni Paolo II il continente della speranza".

Il viaggio in Brasile rappresenta, dunque, "una occasione provvidenziale per lanciare un grande messaggio a tutti gli operatori, a tutte le comunità locali, alle Chiese locali, a tutti i cristiani e agli uomini di buona volontà, ma è anche un`occasione - osserva ancora il segretario di Stato - per rilanciare un grande movimento di solidarietà, di promozione della giustizia nel continente latinoamericano".

Il segretario di Stato pone anche l'accento su quel "continente ferito da situazioni di drammaticità immane. Pensiamo alla violenza che affligge soprattutto le grandi metropoli - dice - pensiamo al narcotraffico, che diventa sempre più aggressivo e potente; pensiamo a quelle che ho chiamato le disuguaglianze sociali, che non si riescono ancora a colmare; pensiamo al problema della disoccupazione, al problema delle migrazioni, il deterioramento dell`educazione che colpisce buona parte di giovani che sono la grande maggioranza degli abitanti e dei cittadini dei Paesi latinoamericani, ma anche il deficit di democrazia rappresentativa. Naturalmente in tutte queste situazioni - spiega ancora il porporato - la Chiesa è presente prima di tutto per consolidare l`annuncio evangelico, ma anche per promuovere una 'rivoluzione umana', una rivoluzione di uguaglianza e di giustizia e di pacificazione che è nello stesso Dna della missione della Chiesa e che è aiutata ed è portata avanti da tutte le componenti ecclesiali: dai vescovi, dalla gerarchia, dai laici fino alle grandi Congregazioni religiose, antiche e moderne, dai movimenti alle associazioni laicali".

Korazym


Il cardinale Tarcisio Bertone: la visita del Papa in Brasile occasione per rilanciare l'evangelizzazione, la solidarietà e la giustizia nel continente della speranza

Fra tre giorni, dunque, mercoledì 9 maggio, Benedetto XVI partirà per il Brasile in occasione dell’apertura della V Conferenza Generale dell’Episcopato Latinoamericano e dei Caraibi, che sarà inaugurata ad Aparecida domenica 13 maggio. E’ il sesto viaggio apostolico extra-italiano di Benedetto XVI in due anni di Pontificato. Su questo importante evento il cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone ha rilasciato una lunga intervista in esclusiva, di cui oggi trasmetteremo una prima parte, al principale quotidiano di San Paolo, Folha de São Paulo, e alla Radio Vaticana. Per noi ha raccolto le sue riflessioni Giovanni Peduto:

R. – E’ noto che l’occasione immediata della visita di Papa Benedetto XVI in Brasile è la V Assemblea della Conferenza di tutti i vescovi latinoamericani. E’ la prima visita che il Papa, il nuovo Papa, fa in America Latina. Il Papa conosce bene il continente americano e soprattutto il continente sudamericano proprio perché ha incontrato tutti i vescovi diverse volte in occasione delle visite ad Limina in Vaticano; ma ha anche partecipato a riunioni in America Latina: ricordo, per esempio, la riunione di Guadalajara del 1996 con i presidenti e molti vescovi rappresentanti di tutte le Commissioni dottrinali dell’America Latina. Si tratta, perciò, di un ritorno, ma di un ritorno nel grande Paese del Brasile, che è tra l’altro il Paese che ha il maggior numero di cattolici, un ritorno del cardinale Ratzinger come Papa, per affrontare le sfide e i problemi che il Terzo Millennio pone a questo grande continente cristiano, profondamente cristiano, che è stato chiamato da Giovanni Paolo II il “continente della speranza”. Ha delle peculiarità, proprio perché è stato evangelizzato, ha assorbito la linfa del cristianesimo, ne ha permeato la sua storia, tutte le sue strutture e le sue attività, anche se – purtroppo – il lievito evangelico non ha ancora risolto i problemi più brucianti di questo continente e che sono i problemi delle disuguaglianze, della povertà e - a volte - anche dell’oppressione. E’, quindi, un’occasione provvidenziale per lanciare un grande messaggio a tutti gli operatori, a tutte le comunità locali, alle Chiese locali, a tutti i cristiani e agli uomini di buona volontà, ma è anche un’occasione per rilanciare un grande movimento di solidarietà, di promozione della giustizia nel continente latinoamericano.


D. – In che modo la Santa Sede vede il cammino della Chiesa in America Latina?

R. – L’America Latina, come abbiamo rilevato anche nel recente incontro del febbraio scorso con tutti i nunzi apostolici dei 22 Paesi dell’America Latina e dell’America Centrale, è un continente ferito da situazioni di drammaticità immane. Pensiamo alla violenza che affligge soprattutto le grandi metropoli; pensiamo al narcotraffico, che diventa sempre più aggressivo e potente; pensiamo a quelle che ho chiamato le disuguaglianze sociali, che non si riescono ancora a colmare; pensiamo al problema della disoccupazione, al problema delle migrazioni, il deterioramento dell’educazione che colpisce buona parte di giovani che sono la grande maggioranza degli abitanti e dei cittadini dei Paesi latinoamericani, ma anche il deficit di democrazia rappresentativa. Naturalmente in tutte queste situazioni la Chiesa è presente prima di tutto per consolidare l’annuncio evangelico, ma anche per promuovere una “rivoluzione umana”, una rivoluzione di uguaglianza e di giustizia e di pacificazione che è nello stesso DNA della missione della Chiesa e che è aiutata ed è portata avanti da tutte le componenti ecclesiali: dai vescovi, dalla gerarchia, dai laici fino alle grandi Congregazioni religiose, antiche e moderne, dai movimenti alle associazioni laicali. Quindi la Chiesa vede anche dei segni positivi nelle comunità locali dell’America Latina e vede una rinnovata crescita anche di vocazioni sia alla vita sacerdotale sia alla vita consacrata ed una presa di coscienza dei laici che è da sottolineare e che è soprattutto da incrementare.


D. – Il documento preparatorio della V Conferenza di Aparecida evidenzia in più punti le situazioni di ingiustizia e di povertà che affliggono l’America Latina. Una condizione, questa, che richiede una maggiore azione da parte dei cattolici del continente. Che tipo di risposta ci si aspetta dalla V Conferenza sulla questione sociale in America Latina?

R. – Intanto abbiamo nell’orizzonte dell’impegno della Chiesa anche – direi – una matrice, un programma di impegno sociale che è dato dalla dottrina sociale della Chiesa, dal Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa e che è diffuso in tutto il mondo, che è stato assunto, presentato e – direi – progressivamente assimilato soprattutto da parte dei laici impegnati nella vita sociale e nella vita politica, ma anche dai religiosi e dalle religiose, dai sacerdoti e dai vescovi. Abbiamo, quindi, questa matrice che ci illumina, che ci spinge e che è la dottrina sociale della Chiesa. La V Conferenza, con la capacità di osservazione obiettiva dei fenomeni e delle situazioni, naturalmente individuerà poi – secondo le linee anche del magistero precedente, delle altre Conferenze che si sono succedute (pensiamo a Medellin, a Puebla, a Santo Domingo, etc) – le linee prettamente operative. Non c’è dubbio che tutte le componenti ecclesiali sono impegnate proprio nei due versanti: nel versante dell’evangelizzazione vera e propria e, quindi, nel consolidamento della fede cristiana, della conoscenza e dell’esperienza cristiana della vita in Cristo; e nel versante dell’azione sociale e della promozione umana. Le iniziative – pensiamo anche alle onlus, pensiamo anche a tutti i gruppi che operano, io stesso andrò personalmente in Perù ad accompagnare e ad incrementare l’azione di una associazione italiana, come l’Operazione Mato Grosso, che opera in America Latina - sono migliaia le iniziative che si pongono atti di solidarietà dall’antico continente europeo ed altri continenti proprio in aiuto all’America Latina. La Chiesa latinoamericana non farà altro che consolidare, ratificare, verificare, correggere magari i difetti e le deficienze, e quindi incrementare questa immensa attività, questo fiume di carità sociale, che attraversa tutta l’America Latina.


D. – Quali sono, eminenza, le sue aspettative per questa Conferenza di Aparecida?

R. – Anzitutto uno sforzo ed una riaffermazione dell’unità ecclesiale in questa missione che è affidata proprio alla Chiesa cattolica in America Latina, unità dei vescovi e delle Chiese locali fra di loro ed unità e comunione con il Papa e, quindi, con il supremo pastore della Chiesa universale, che viene a portare la sua parola, la sua solidarietà, a lanciare i suoi messaggi che – come avvertiamo, anche nell’esperienza di questi due anni di Pontificato di Benedetto XVI – sono così incisivi e così vicini alla gente e ai veri problemi della gente. Naturalmente il Papa mette ed intende mettere nel cuore della gente prima di tutto l’amore appassionato a Cristo e attende che i vescovi e i pastori della Chiesa, riuniti insieme ad Aparecida, mettano al primo posto l’amore appassionato a Cristo, unico ed universale Salvatore del mondo. Quindi lo sguardo a Cristo; l’unità tra di loro, ma con Cristo Salvatore; e poi l’incontro con Cristo nell’Eucaristia, con la frequenza alla Messa, soprattutto alla Messa domenicale, la sorgente di tutte quelle energie e di tutte quelle risorse che portano alla carità e all’amore verso il prossimo. Così come il Papa ha spiegato tanto bene nella sua Enciclica Deus Caritas Est. Credo che queste due linee – la linea di attrazione e di unità con Cristo e la linea operativa di azione caritativa, sociale ed anche politica dei membri della Chiesa nelle società in cui vivono, come lievito delle società in cui vivono – saranno le due linee maestre che saranno assunte e rilanciate proprio dalla V Conferenza dei vescovi latinoamericani.

Radio Vaticana

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