14 giugno 2007

Rassegna stampa del 14 giugno 2007


Vedi anche:

La scommessa culturale di Benedetto XVI

I media? Una belva selvaggia, parola di Tony Blair

I media vaticani che vorrei (di Raffaella)





Cari amici, oggi leggeremo un'ampia rassegna stampa sulla decisione del Vaticano di invitare i Cattolici a non finanziare piu' l'associazione Amnesty International, diventata abortista, sulle reazioni (figuriamoci!) della stampa inglese al discorso di Blair sui mass media, sulle polemica relative al gay pride e sulla presentazione del libro del Papa a Lodi.
Avremo ancora modo di parlare del rapporto fra il Vaticano ed i mass media con un articolo di "Italia Oggi".
Vorrei ringraziare Marco Palmisano per avere lasciato un messaggio a commento del post "Ancora su Annozero"
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Raffaella


Cardinal Martino: Niente più finanziamenti cattolici ad "Amnesty International", dopo la svolta abortista

CITTA’ DEL VATICANO, mercoledì, 13 giugno 2007(ZENIT.org).- In una intervista rilasciata al periodico statunitense National Catholic Register, il Cardinale Renato Raffaele Martino, Presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, ha chiesto alla Chiesa e ai cattolici di sospendere i contributi ad Amnesty International, dopo che la nota organizzazione internazionale si è schierata a favore dell’aborto.
Lo scorso 25 marzo, nel corso della loro Conferenza nazionale annuale, a Edimburgo, i circa 400 membri britannici di Amnesty International hanno espresso con un voto la decisione di impegnarsi per la depenalizzazione dell'aborto, l'accesso a servizi per programmi di controllo demografico, legalizzazione, gratuità e accessibilità dell'interruzione volontaria di gravidanza.
Pur essendo stata fondata da un cattolico, l'avvocato inglese Peter Benenson, nel 1961, e pur avendo fatto della battaglia per i diritti umani la sua bandiera, Amnesty International non ha mai espresso un parere chiaro nei confronti della interruzione volontaria di gravidanza.
Negli ultimi anni in particolare, l’aborto è stato indicato da alcuni membri di Amnesty come un vero e proprio diritto da contemplare all’interno di quelle azioni di riduzione e selezione della nascite meglio nota come parte dei programmi per i “diritti riproduttivi”.
Nell’intervista concessa al NCR il Cardinale Renato Martino ha espresso profondo rammarico per la presa di posizione abortista di Amnesty International, sottolineando che “schierarsi per la depenalizzazione dell'interruzione volontaria di gravidanza rappresenta un tradimento delle finalità istituzionali dell'organizzazione”.
Secondo il porporato, “conseguenza inevitabile di tale decisione, sarà la sospensione di ogni finanziamento ad Amnesty da parte delle organizzazioni ed anche dei singoli cattolici”.
“Grazie a Dio – ha spiegato il Presidente del Pontificio Consiglio – non esiste un diritto di aborto internazionalmente riconosciuto, come si deduce anche dalla Conferenza del Cairo delle Nazioni Unite sulla popolazione, che ha escluso l'aborto come mezzo lecito di controllo delle nascite”.
Il Cardinale Martino, che nel 1994, quando si è tenuta questa Conferenza internazionale in Egitto, era Nunzio Apostolico ed Osservatore Permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite, si trovò a guidare per l’occasione la delegazione vaticana.
Nell’intervista, il porporato sostiene inoltre che “le lobbies abortiste stanno continuando la loro propaganda, che si inquadra in quella che il Servo di Dio Giovanni Paolo II chiamava la ‘cultura di morte’, ed è estremamente grave che una benemerita organizzazione come Amnesty International si pieghi ora alle pressioni di tali lobbies”.
Il Presidente del Pontificio Consiglio ha quindi affermato che bisogna “intensificare l'impegno dei cattolici, ma anche di ogni persona di buona volontà, in difesa del diritto alla vita di tutti i nascituri, senza impossibili distinzioni tra casi in cui l'uccisione del bimbo nel seno materno sarebbe giusta e altri no”.
“La soppressione volontaria di ogni vita umana innocente – ha ribadito infine – è sempre un delitto e mina alle basi il bene comune della famiglia umana”.

Zenit

Mi pare una semplice, chiara, e lampante dimostrazione di coerenza. Non vedo dove stia lo scandalo!
Raffaella


Annuncio del cardinale Martino. La replica: né a favore né contro, garantiamo solo i diritti delle donne vittime di violenza

Il Vaticano: niente più soldi ad Amnesty

"Sono diventati abortisti". L´organizzazione. "Mai preso aiuti dalla Chiesa"

MARCO POLITI

CITTÀ DEL VATICANO - La Santa Sede rompe i ponti con Amnesty International. Il cardinale Renato Martino, presidente del Consiglio Giustizia e Pace, annuncia da New York la sospensione di ogni aiuto finanziario all´organizzazione, che da decenni difende i diritti umani in tutto il mondo e che lui stesso definisce benemerita. La colpa, secondo il Vaticano, ricade su Amnesty per la sua scelta di considerare anche l´aborto un diritto fondamentale da tutelare. «Conseguenza inevitabile di tale decisione - dichiara il cardinale Martino alla rivista americana National Catholic Register - sarà la sospensione di ogni finanziamento ad Amnesty da parte delle organizzazioni ed anche dei singoli cattolici». Il porporato ha soggiunto che «grazie a Dio non esiste un diritto di aborto internazionalmente riconosciuto come si deduce dalla conferenza Onu del Cairo sulla popolazione, che ha escluso l´aborto come mezzo lecito di controllo delle nascite».
Amnesty ha subito replicato: «Non abbiamo mai ricevuto denaro dal Vaticano o da organi che dipendono dalla Chiesa cattolica». Proprio a garanzia dell´indipendenza dell´organizzazione lo statuto esclude la possibilità di ricevere fondi da governi, confessioni religiose, enti di qualsiasi genere.
La dura presa di posizione vaticana - il cardinale Martino ha parlato di «rammarico» - si inquadra nell´offensiva globale che papa Wojtyla ieri e papa Ratzinger oggi conducono contro «l´aborto legale e sicuro» in tutte le organizzazioni internazionali.
Cinque anni fa il Vaticano, insieme al governo americano e ai paesi islamici, condusse una lotta durissima per eliminare dal progetto sanitario dell´Unicef sia la piena educazione sessuale dei minori sia la garanzia dell´assistenza all´aborto. Dove il progetto parlava di «servizi medici della riproduzione» (che includevano l´interruzione delle gravidanze non desiderate), il delegato della Santa Sede, sostenuto a spada tratta dal rappresentante dell´amministrazione Bush e dal blocco degli stati musulmani, riuscì a imporre una modifica. Sicché il testo finale sancì unicamente «cure mediche della riproduzione».
Recentemente (nel febbraio di quest´anno) papa Ratzinger ha deciso che la Santa Sede non avrebbe firmato la convenzione dell´Onu sui diritti dei disabili, perché il documento contiene riferimenti espliciti alla possibilità di abortire nel caso di feti malformati. Ancora una volta pietra d´inciampo sono stati i paragrafi dedicati alla «salute riproduttiva». L´ambasciatore vaticano presso il Palazzo di Vetro ha respinto l´idea che una malformazione del feto possa essere considerata una «precondizione per offrire o ricorrere all´aborto».
Adesso il cardinale Martino, che tra l´altro guidava la delegazione vaticana alla conferenza Onu del Cairo nel 1994, accusa Amnesty di «tradire le finalità istituzionali dell´organizzazione», piegandosi alle pressioni delle «lobbies abortiste internazionali».
Ma Amnesty respinge decisamente l´accusa di una «svolta abortista» della propria linea. Riccardo Noury, portavoce della sezione italiana, ribatte che l´organizzazione ha deciso di occuparsi dell´aborto laddove si tratti di garantire il diritto alla salute delle donne e di tutelare la loro condizione di vittime di aggressioni sessuali. La scelta è nata nell´ambito del progetto "Mai più violenza sulle donne", che ha rivelato la drammatica realtà di tantissime donne e bambine. Amnesty, specifica Noury, chiede la fine della repressione penale contro le donne che hanno abortito e il diritto all´aborto per le donne «vittime di violenze sessuali o incesto» oppure minacciate nella loro salute. Non sarà, invece, strategia dell´organizzazione lanciare una «campagna mondiale a favore dell´aborto o della sua legalizzazione generale». Anzi, Amnesty «non esprimerà giudizi sul fatto se l´aborto sia giusto o no».

Repubblica, 14 giugno 2007

Mi pare che Politi faccia progressi: non attribuisce piu' la "colpa" esclusiva a Papa Benedetto XVI, ma la distribuisce equamente con il/i predecessori.
Raffaella


Il card. Martino: schierarsi per l'aborto è un «tradimento»

Niente più soldi da Vaticano e cattolici ad Amnesty International

Ma il portavoce della sezione italiana, Riccardo Noury, replica: «Mai preso soldi dalla Santa Sede»

Ignazio Loiani

CITTà DEL VATICANO

Niente più soldi dal Vaticano e dai cattolici ad Amnesty International, annuncia e minaccia il cardinale Renato Martino, spiegando che schierarsi per l'aborto è un «tradimento delle finalità istituzionali» della organizzazione di difesa di diritti umani. «Mai preso soldi dalla Santa Sede», replica Amnesty per bocca del portavoce della sezione italiana, Riccardo Noury, che spiega anche la lotta alla violenza contro le donne portata avanti dalla campagna criticata dal card. Martino. È guerra tra il Vaticano e l'associazione internazionale per i diritti umani, che pure nei principi è alleata della Santa Sede, e le cui denunce sono spesso sostenute anche da cattolici.
La polemica è scoppiata con la diffusione di una nota del Pontificio consiglio per la giustizia e la pace che riferisce la «inevitabile sospensione» da parte vaticana dei «contributi finanziari» ad Amnesty e racconta della intervista del presidente del dicastero, cardinale Renato Raffaele Martino, al National Catholic Register in cui il porporato aveva espresso «profondo rammarico per la presa di posizione abortista di Amnesty International». Da qui «la sospensione di ogni finanziamento a Amnesty da parte delle organizzazioni ed anche dei singoli cattolici. «Grazie a Dio – afferma il cardinale – non esiste un diritto di aborto internazionalmente riconosciuto, come si deduce dalla Conferenza del Cairo delle Nazioni Unite sulla popolazione, che ha escluso l'aborto come mezzo lecito di controllo delle nascite».
Ma Noury ha subito replicato: «Non abbiamo mai ricevuto finanziamenti dal Vaticano o da organi che dipendono dalla Chiesa cattolica. Questo a garanzia dell'indipendenza di Amnesty International come previsto dallo statuto internazionale dell'organizzazione». La condanna vaticana ha di mira la campagna del 2007 «Mai più violenza sulle donne» con la quale, spiega Amnesty, l'organizzazione «non svolgerà campagne generali in favore dell'aborto; non giudicherà se questo sia giusto o sbagliato; non consiglierà a singole persone di proseguire o interrompere una gravidanza».
Chiederà invece agli Stati di «assicurare la possibilità di ricorrere all'aborto in maniera sicura e accessibile e di prevenire gravi violazioni dei diritti umani correlate alla negazione di questa possibilità e «continuerà ad opporsi a misure di controllo demografico coercitive come la sterilizzazione e l'aborto forzati». L'associazione chiederà, inoltre, agli Stati di «modificare o abrogare le leggi per effetto delle quali le donne possono essere sottoposte a imprigionamento o ad altre sanzioni penali per aver abortito o cercato di abortire» e «garantire che tutte le donne con complicazioni sanitarie derivanti da un aborto abbiano accesso a trattamenti medici adeguati, indipendentemente dal fatto che abbiano abortito legalmente o meno».
A fine '96 la missione permanente del Vaticano alle Nazioni unite sospese il proprio contributo finanziario all'Unicef, con un «gesto simbolico» per condannare la pubblicazione di un manuale Unicef sui contraccettivi post coitum. A fianco di Amnesty si è schierata la vicepresidente dei deputati verdi, Luana Zanella, affermando che «il "peccato" di Amnesty è di stare dalla parte delle donne».

Gazzetta del sud, 14 giugno 2007


L'associazione: chiediamo la depenalizzazione per evitare pratiche illegali

«Niente soldi ad Amnesty E' favorevole all'aborto»

Il cardinal Martino: ha ceduto alle lobby

Lorenzo Salvia

ROMA — Peter Benenson, l'avvocato inglese che fondò Amnesty International nel 1961, era un credente convinto. E negli anni i rapporti della sua creatura con la Chiesa sono sempre stati ottimi. Acqua passata, sembra. Dal Vaticano — per bocca del cardinale Renato Martino — arriva la promessa di «sospensione del finanziamento ad Amnesty da parte delle organizzazioni e anche dei singoli cattolici» dopo quella che viene definita «svolta abortista». L'organizzazione non governativa contesta su tutta linea: «Non incoraggiamo l'aborto, e non abbiamo mai preso soldi dal Vaticano né da associazioni cattoliche».

ABORTO — A cambiare il clima è stata la campagna contro la violenza sulle donne, lanciata da Amnesty solo tre mesi fa. Un'iniziativa che chiede ai governi di consentire l'aborto alle donne in caso di stupro, incesto, oppure quando la gravidanza rappresenta una grave pericolo per la loro salute. Spiega la presidente della sezione francese di Amnesty, Geneviève Sevrin: «Non chiediamo la liberalizzazione dell'aborto quanto la sua depenalizzazione, per eliminare le pratiche illegali» che secondo l'ong uccidono ogni anno 68 mila donne. Ma secondo il cardinal Martino, presidente del pontificio consiglio per la giustizia e la pace, si tratta «di un tradimento delle finalità istituzionali di Amnesty» da sempre impegnata nella difesa dei diritti umani. E del «cedimento di un'organizzazione benemerita alle pressioni delle lobby abortiste». Già un anno fa il cardinal Martino — che ha spiazzato molti in Vaticano e fuori aprendo sul tema degli ogm per combattere la fame nel mondo e sottolineando la preoccupazione della Chiesa per i cambiamenti climatici — aveva avvertito Amnesty che spingendo per la depenalizzazione dell'aborto «si sarebbe squalificata come difensore dei diritti umani».

SOLDI — Ma lo scontro non è solo sul merito. Il cardinal Martino minaccia lo stop ai finanziamenti da parte delle «organizzazione e anche dei singoli cattolici». Non soldi del Vaticano, dunque, ma di associazioni di ispirazione cattolica o di singoli fedeli. La replica, piccata, è del presidente della sezione italiana di Amnesty: «Non abbiamo mai preso un euro né dal Vaticano, né da altre organizzazioni cattoliche». Per statuto Amnesty non accetta fondi da governi o enti pubblici. Il 90% dei soldi arriva dalle donazioni dei suoi 2 milioni di soci sparsi in 140 Paesi. Il resto sono le sottoscrizioni fatte in occasione delle singole campagne, come quella contro la violenza sulle donne. Da New York il cardinale Martino risponde che intendeva riferirsi «sia ai singoli cattolici sia alle organizzazioni cattoliche che in qualsiasi forma sovvenzionino Amnesty international». Se le organizzazioni in realtà non ci sono, quindi, l'appello riguarda solo loro, i singoli cattolici: credenti che finora hanno sostenuto Amnesty senza per questo rappresentare la Chiesa. Quanti sono? «Impossibile dirlo — spiega il presidente della sezione italiana, Pobbiati —, ma la cifra è sicuramente alta. Non credo, però, che si faranno influenzare dalle parole del cardinal Martino». Nel resoconto fatto dalla Radio vaticana, però, il riferimento di Martino ai singoli cattolici è stato tagliato.

DIECI ANNI FA — Nel 1996 il Vaticano ritirò il suo finanziamento annuale all'Unicef, l'agenzia dell'Onu per i diritti dell'infanzia. Anche allora a prendere posizione fu il cardinale Martino, all'epoca osservatore permanente della Santa Sede all'Onu, incarico che ha ricoperto per 16 anni. In quel caso il contributo c'era, anche se modesto: 2 mila dollari l'anno. Fu ritirato perché l'Unicef aveva distribuito informazioni su uno spermicida in alcuni campi profughi che ospitava molte giovani donne vittime di violenza sessuale. Dal 1997 in poi quei duemila dollari sono stati destinati dal Vaticano ad un centro per l'infanzia dell'Organizzazione mondiale della sanità.

IL CARDINALE

Un anno fa il cardinale Martino avvertì Amnesty che depenalizzando l'aborto si sarebbe squalificata come difensore dei diritti

Corriere della sera, 14 giugno 2007


Vietato criticare i gay è discriminazione razziale An: anche il Papa rischia

BARBARA ROMANO

Vietato criticare gli omosessuali. Così impone un disegno di legge del governo, appena approdato in commissione Giustizia, che porta la firma di mezzo esecutivo Prodi (Padoa Schioppa, Fioroni, Bindi, Pollastrini, Amato, Mastella, Mussi, Ferrero, Turco, Lanzillotta, Damiano). È l'ultimo regalo che il governo ha in serbo per la comunità omosessuale in vista del "Gay pride". Una legislazione ad hoc per gay, lesbiche e transgender che la sinistra vuole far approvare usando come "cavallo di Troia" le proposte di legge sul reato di molestie sessuali. Il ddl governativo mira a equiparare la discriminazione sessuale a quella raziale e si innesta in un'iniziativa bypartisan che riguarda l'introduzione del "reato di molestia insistente" la quale punta a inasprire le pene contro la violenza sessuale sulle donne e sui minori. «Il governo ha voluto introdurre una questione ideologica che non c'entra niente con la materia ben più seria su cui stavamo discutendo costruttivamente, col risultato che ora rischia di saltare tutto», accusa Edmondo Cirielli, capogruppo di An in commissione Giustizia. Il ddl sulle "Misure di sensibilizzazione e prevenzione, nonché repressione dei delitti contro la persona e nell'ambito della famiglia, per l'orientamento sessuale, l'identità di genere ed ogni altra causa di discriminazione", è in effetti un testo decisamente complesso, che non solo equipara la discriminazione contro gli omosessuali allo stupro di donne e minori, ma ne fa anche una questione di discriminazione razziale. «Il disegno di legge», recita il testo, «apporta alcune integrazioni alle norme che reprimono le forme di discriminazione razziale, etnica e religiosa: viene introdotto anche il riferimento alla forma di discriminazione fondata sull'orientamento sessuale e sull'identità di genere». Questo il passo che ha fatto scattare la rivolta dell'opposizione. «Non vogliamo discriminare né trattare male nessuno», tiene a precisare Cirielli, «ma non si può cambiare l'ordine naturale delle cose costringendo le famiglie italiane ad accettare un modello individuale e soggettivo che non può essere elevato a modello di vita». Se dovesse passare la legge, chiunque esprimesse un giudizio negativo sui gay verrebbe tacciato di razzismo. Persino il Papa, in linea teorica, potrebbe essere incriminato quando dice che l'omosessualità è peccato. Non solo. «La sinistra mira a far passare una cultura secondo la quale la normalità sono due uomini e due donne o i transgender», accusa Cirielli, «insegnando nelle scuole che se qualcuno reputa un peccato l'omosessualità o rifiuta di garantire non meglio precisate "pari opportunità" tra omo ed eterosessuali, questo è reato». Il disegno di legge del governo, infatti, introduce all'articolo 2 "Principi e strumenti di nel sistema di istruzione e formazione" che prevede tra le sue primarie finalità «la rimozione dei pregiudizi nei confronti dei portatori di diversità».

Libero, 14 giugno 2007


Gay Pride, polemiche nell´Unione

Teodem: no al patrocinio del governo. Bindi: i ministri non sfilino

CARMELO LOPAPA

ROMA - Il patrocinio della Presidenza del Consiglio al Gay pride 2007 che farà rotta su Piazza San Giovanni - concesso in realtà dal dipartimento Pari opportunità del ministro Barbara Pollastrini - apre un caso. Sollevato da Forza Italia con Elisabetta Gardini («Il governo avalla l´anticlericalismo» della kermesse) ma esploso soprattutto quando i teodem della Margherita, Emanuela Baio, Paola Binetti e Luigi Bobba, hanno invitato Palazzo Chigi, il sindaco di Roma Veltroni e il presidente della Regione Lazio Marrazzo a «un immediato ripensamento» sul patrocinio. Perché «la piattaforma politica della manifestazione mostra aspetti a cui è impossibile riconoscere legittimità, come quello dell´adozione o della fecondazione assistita per gli omosessuali e la richiesta di matrimonio civile» per coppie omosessuali. Sullo sfondo, mai ricordato, il mancato patrocinio al Family day del 12 maggio. Il Vaticano per adesso tace. «Nessun commento» taglia corto il segretario generale della Cei, Angelo Betori.
Il ministro diessino Pollastrini, «madre» dei Dico con la Bindi, spiega che il patrocinio lo ha concesso il suo dipartimento che fa capo a Palazzo Chigi, «non la Presidenza, ed è stato riconosciuto a questa come a tante altre iniziative. Il Family day? Le loro associazioni non lo avevano chiesto. E poi, in piazza ci saranno coppie che meritano comunque considerazione». La Pollastrini non ha ancora deciso se andare o meno (i Ds invieranno una delegazione minima di tre dirigenti, Vittoria Franco, Andrea Ranieri e Ivana Bartoletti). Hanno aderito invece Bonino (Radicali) Pecoraro Scanio (Verdi), Mussi (Sd) e Ferrero (Prc), come il presidente della Camera Bertinotti e i segretari Giordano di Rifondazione, Diliberto del Pdci e Boselli dello Sdi. In attesa di capire se il premier Prodi si pronuncerà anche in questo caso sull´opportunità o meno che i ministri siano in piazza, ha polemizzato coi colleghi la responsabile della Famiglia, Rosy Bindi. «Riconosco la libertà di manifestare e di aderire - spiega - Ma non da parte dei ministri, dato che c´è una netta differenza tra il documento politico del Gay pride e le posizioni del governo su matrimoni e adozioni. E poi non condivido l´attacco alla Chiesa».
La delegazione ristretta inviata dai Ds e l´assenza di Fassino fa insorgere intanto la loro componente omosessuale, Gay left. «Sabato mattina ci riuniremo in assemblea prima del corteo per valutare la situazione, dopo gli abbandoni del partito da parte di Grillini, Zan e tanti altri - spiega il portavoce Andrea Benedino - O entro le primarie del 14 ottobre ci saranno garanzie di cittadinanza per noi nel Pd o ci sciogliamo». Sfileranno pochi diessini e nessuno di Dl, tranne il senatore Nicola D´Amico che si augura che «giunga l´adesione del nascente Pd». Ma ci saranno a sorpresa anche i riformatori liberali (area Forza Italia) Della Vedova, Taradash, Calderisi e Palma, in rotta col coordinatore forzista Bondi che invece se la prende con chi va, sinistra radicale in testa. In vista del corteo, i deputati promotori lanciano un invito al low profile diretto ai trans. Appello che Franco Grillini, leader Arcigay, spiega così: «È calato uno strano silenzio sul Gay pride, anche dal Vaticano, temiamo sia preludio a un attacco a testa bassa dall´indomani». Meglio dunque non andare troppo sopra le righe.

Repubblica, 14 giugno 2007

Beh, non si puo' giudicare senza conoscere. E' chiaro che il termine di paragone sara' la civilta' del family day, peraltro, non patrocinato ne' dal Comune di Roma ne' dal governo...
Raffaella


Il ministro della Famiglia: liberi di manifestare ma non condivido gli attacchi alla Chiesa. I ds aderiscono però non firmano il manifesto

Gay Pride, i teodem al governo: ritiri il patrocinio

Anche la Bindi contro la Pollastrini. Scontro sulla piattaforma che prevede nozze omosessuali

ROMA — Matrimonio per gay e lesbiche, «parità di diritti rispetto alle coppie e alle famiglie tradizionali». Possibilità di avere «responsabilità genitoriale» per gli omosessuali che siano una coppia di fatto. E un durissimo attacco alla Chiesa e alle gerarchie cattoliche accusate di alimentare «un clima d'odio» nei confronti degli omosessuali e «di imporre all'Italia la sovranità limitata congegnata da uno Stato straniero, il Vaticano». Mentre «le manifestazioni clericali contro qualsiasi tipo di riconoscimento delle relazioni extra matrimoniali» (il Family Day, ndr) sono definite come «il segno tangibile di una volontà prevaricatrice e antidemocratica da parte di istituzioni che, violando persino il Concordato, si vogliono sostituire alle istituzioni repubblicane democraticamente elette».
E' questa la «piattaforma» del Gay Pride di sabato, che vedrà presenti due ministri (Ferrero del Prc e Pecoraro Scanio dei Verdi), l'adesione di altri due (Bonino e Mussi) e il patrocinio del Comune di Roma, della Regione Lazio e attraverso il Dicastero delle Pari opportunità (ministro Pollastrini) della Presidenza del consiglio. E questo ha scatenato una bufera politica. Mentre per il deputato di Rifondazione Titti De Simone «il patrocinio è doveroso perché risponde alle sollecitazioni del Consiglio d'Europa», i teodem della Margherita, senatori Baio, Binetti e Bobba hanno chiesto che il governo ci ripensi. «Non si può accettare che la presidenza del Consiglio dei Ministri — hanno dichiarato — sia pure attraverso il dipartimento del ministro Pollastrini, possa dare una qualche legittimità ad affermazioni così gravi», specie in un momento in cui il presidente della Cei, Bagnasco, «è oggetto di minacce ancora oscure». Il portavoce di Forza Italia, Elisabetta Gardini, è del parere che «o viene ritirato il patrocinio della Presidenza del consiglio, oppure per chiarezza ed onestà Prodi deve aderire alla manifestazione». Il segretario della Cei, monsignor Betori, non ha voluto commentare il Gay Pride. Ma la polemica, ben presto, si è propagata all'interno dell'esecutivo, con il ministro della Famiglia, Rosi Bindi, che ha preso le distanze dalla collega Pollastrini, con cui pure è cofirmataria del disegno di legge sui Dico. «In Italia — ha detto la Bindi — c'è libertà di manifestare, c'è libertà di aderire. Ma non condivido l'attacco alla Chiesa». «Quello poi che non trovo opportuno — dice Bindi — è la presenza in piazza di ministri: la linea del governo è diversa da quella avanzata nella piattaforma. Nei Dico non c'è né il matrimonio tra omosessuali nè riconoscimento giuridico delle unioni civili, ma quello dei diritti individuali, senza discriminazioni».
Al Gay Pride hanno aderito i riformatori liberali di Della Vedova nel centrodestra e, come annunciato da Franco Grillini, «tutti i partiti della sinistra». Per il coordinatore di FI, Bondi, questo fatto segnala da parte dei partiti di sinistra «la cesura più netta e clamorosa nei confronti della propria storia fatta di ricerca di comprensione delle ragioni del mondo cattolico». I Ds invieranno una delegazione ufficiale, guidata da Vittoria Franco e composta da Andrea Ranieri e Ivana Bartoletti. Ma non hanno firmato il manifesto. «L'imbarazzo — osserva Franco Grillini — è derivato dalla richiesta di estensione del matrimonio». Ma all'attacco al Vaticano come rispondono al Botteghino? Afferma Francesco Tempestini, capo segreteria di Fassino: «Noi abbiamo aderito al Gay Pride, come tutti gli anni, siamo con la Pollastrini tra i primi firmatari dei Dico, sosteniamo le leggi antiviolenza. Anche in questa occasione sono in campo i valori laici, ma una piattaforma anticlericale non ci appartiene».

Corriere della sera, 14 giugno 2007

Ponzi Pilati? O si aderisce in pieno alla manifestazione o se ne resta fuori. Non si puo' fare distinguo sugli attacchi al Papa ed al Vaticano: o si e' favorevoli o contrari. Le sfumature non hanno senso...coerenza, signori!
Raffaella

1 commento:

Luisa ha detto...

Il comune di Roma, la regione Lazio e il governo italiano attraverso un suo ministro , tutti conferiscono il loro patrocinio alla Gay Pride. Di due cose l`una, o firmano e dunque consentono al contenuto della piattaforma politica gay e al suo anticlericalismo violento, o non firmano. Non ci sono vie di mezzo. Se firmano sono d`accordo non solo con le richieste ma anche con le accuse gravissime contro laa Chiesa e il Papa.
Trovo particolarmente grave il patrocinio de governo, la Pollastrini non può essere un elettrone libero che fa quel che vuole, mi sembra impensabile e carico di conseguenze.
Possibile che Prodi lo accetti?