5 giugno 2007

Rassegna stampa del 5 giugno 2007


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Cari amici, leggiamo la prima parte della rassegna stampa odierna.
Vi avverto che piu' tardi verra' pubblicato un divertentissimo articolo di Odifreddi, assolutamente da non perdere :-)

Raffaella

IRAQ - VATICANO

Papa: Ragheed, “prezioso sacrificio”, perché l’Iraq assista all’alba della riconciliazione

Benedetto XVI esprime il suo dolore e le sue “più sentite” condoglianze per la morte del sacerdote caldeo e dei tre suddiaconi. AsiaNews ricorda la figura di un amico, morto credendo fino in all’ultimo nelle possibilità di pace per il suo Paese. P. Ragheed è un martire dell’Iraq libero, testimone di una fede incrollabile, che bombe e minacce non sono riuscite a far vacillare.

Città del Vaticano (AsiaNews) - “Profondamente addolorato” per “l’insensata uccisione di p. Ragheed e dei suoi tre suddiaconi” avvenuta ieri a Mosul, il Papa esprime in un telegramma le sue “condoglianze più sentite” al vescovo, mons. Rahho e a tutti i familiari dei defunti. Nel messaggio, pubblicato oggi, Benedetto XVI “si unisce alla comunità cristiana di Mosul nell’affidare le loro anime all’infinita Misericordia di Dio Padre e nel ringraziamento per la loro altruistica testimonianza del Vangelo". Il Pontefice assicura poi le sue preghiere “perché il loro prezioso sacrificio ispiri nei cuori e nelle menti di tutti gli uomini e le donne di buona volontà una rinnovata risolutezza a respingere le vie dell’odio e della violenza…per collaborare nell’accelerare l’alba di riconciliazione, giustizia e pace in Iraq”.

AsiaNews si unisce alle condoglianze espresse dal Papa e di seguito riporta un suo ricordo di p. Ragheed.

“Senza domenica, senza l’Eucaristia i cristiani in Iraq non possono vivere”: p. Ragheed raccontava così la speranza della sua comunità abituata ogni giorno a vedere in faccia la morte, quella stessa morte che ieri pomeriggio ha affrontato lui, di ritorno dalla messa. Dopo aver nutrito i suoi fedeli con il Corpo e il Sangue di Cristo, ha donato anche il proprio sangue, la sua vita per l’unità dell’Iraq e per il futuro della sua Chiesa. Con piena consapevolezza questo giovane sacerdote aveva scelto di rimanere a fianco dei suoi fedeli, nella sua parrocchia dedicata allo Spirito Santo, a Mosul, giudicata la città più pericolosa dell’Iraq, dopo Baghdad. Il motivo è semplice: senza di lui, senza il pastore, il gregge si sarebbe smarrito. Nella barbarie dei kamikaze e delle bombe almeno una cosa era certa e dava la forza di resistere: “Cristo - diceva Ragheed - con il suo amore senza fine sfida il male, ci tiene uniti, e attraverso l’Eucaristia ci ridona la vita che i terroristi ora cercano di toglierci”.

È morto ieri, massacrato da una violenza cieca. Ucciso di ritorno dalla chiesa, dove la gente, anche se sempre meno, sempre più disperata e impaurita, continuava però a venire come poteva: “I giovani – ci raccontava Ragheed alcuni giorni fa - organizzano la sorveglianza dopo i diversi attentati già subiti dalla parrocchia, i rapimenti e le minacce ininterrotte ai religiosi; i sacerdoti dicono messa tra le rovine causate dalle bombe; le mamme, preoccupate, vedono i figli sfidare i pericoli e andare al catechismo con entusiasmo; i vecchi vengono ad affidare a Dio le famiglie in fuga dal Paese, il Paese che loro invece non vogliono lasciare, saldamente radicati nelle case costruite con il sudore di anni. Impensabile abbandonarle”.Ragheed era come loro, come un padre forte che vuole proteggere i suoi figli: “Quello di non disperare è un nostro dovere: Dio ascolterà le nostre suppliche per la pace in Iraq”.

Nel 2003 dopo gli studi a Roma decide di tornare al suo Paese, “perché lì è il mio posto”. Torna anche per partecipare alla ricostruzione della sua patria, alla ricostruzione di una “società libera”. Parlava dell’Iraq pieno di speranze, con il suo sorriso accattivante: “È caduto Saddam, abbiamo eletto un governo, abbiamo votato una Costituzione!”. Organizzava corsi di teologia per i laici a Mosul; lavorava con i giovani; consolava le famiglie disagiate; in questo ultimo mese stava tentando di far operare a Roma un bambino con gravi problemi alla vista.

La sua è la testimonianza di una fede vissuta con entusiasmo. Obiettivo di ripetute minacce e attentati fin dal 2004, ha visto soffrire parenti e scomparire amici, eppure ha continuato fino all’ultimo a ricordare che anche quel dolore, quella carneficina, quell’anarchia della violenza, aveva un senso: andava offerta. Dopo un attacco alla sua parrocchia, la scorsa Domenica delle Palme, 1° aprile, diceva: “Ci siamo sentiti simili a Gesù quando entra a Gerusalemme, sapendo che la conseguenza del Suo amore per gli uomini sarà la Croce. Così noi mentre i proiettili trafiggevano i vetri della chiesa, abbiamo offerto la nostra sofferenza come segno d’amore a Gesù”. “Attendiamo ogni giorno l’attacco decisivo – raccontava poche settimane fa – ma non smetteremo di celebrare messa; lo faremo sotto terra, dove siamo più al sicuro. In questa decisione sono incoraggiato dalla forza dei miei parrocchiani. Si tratta di guerra, guerra vera, ma speriamo di portare questa Croce fino alla fine con l’aiuto della Grazia divina”. E tra le difficoltà quotidiane lui stesso si stupiva di riuscire così a comprendere in modo più profondo “il grande valore della domenica, giorno dell'incontro con Gesù Risorto, giorno dell'unità e dell'amore fra di noi, del sostegno e dell'aiuto”.

Poi le autobombe si sono moltiplicate; i rapimenti di sacerdoti a Baghdad e Mosul si sono fatti sempre più frequenti; i sunniti hanno iniziato a chiedere una tassa ai cristiani che vogliono rimanere nelle loro case, pena la loro confisca da parte dei miliziani. Continua a mancare elettricità, acqua, la comunicazione telefonica è difficile. Ragheed comincia ad essere stanco, il suo entusiasmo si indebolisce. Fino a che, nella sua ultima mail ad AsiaNews, il 28 maggio scorso, ammette: “Stiamo per crollare”. E racconta dell’ultima bomba caduta nella chiesa del Santo Spirito, proprio dopo le celebrazioni del giorno di Pentecoste, il 27 maggio; della “guerra” scoppiata una settimana prima, con 7 autobombe e 10 ordigni in poche ore, del coprifuoco che per tre giorni, “ci ha tenuti imprigionati nelle nostre case”, senza poter celebrare la festa dell’Ascensione (20 maggio).

Si chiedeva quale sentiero avesse imboccato il suo Paese: “In un Iraq settario e confessionale, che posto sarà assegnato ai cristiani? Non abbiamo sostegno, nessun gruppo che si batta per la nostra causa, siamo soli in questo disastro. L’Iraq è già diviso e non sarà mai più lo stesso. Qual è il futuro della nostra Chiesa? Oggi sembra molto vago da tracciare”.

E poi a confermare la forza della sua fede, provata ma salda, rassicura: “Posso sbagliarmi, ma una cosa, una sola cosa, ho la certezza che sia vera, sempre: che lo Spirito Santo continuerà ad illuminare alcune persone perché lavorino per il bene dell’umanità, in questo mondo così pieno di male”.

Caro Ragheed, con il cuore che grida di dolore, tu ci lasci questa tua speranza e certezza. Colpendo te hanno voluto annientare la speranza di tutti i cristiani in Iraq. Invece, con il tuo martirio, tu nutri e doni nuova vita alla tua comunità, alla Chiesa irachena e a quella universale. Grazie Ragheed. (MA)

Asianews



Prima l'udienza dal Papa poi all'"Onu di Trastevere"

CATERINA MANIACI

Una giornata "piena" e complessa, contrassegnata da una sorta di itinerario ad ostacoli, con tanto di cortei "contro", quella del nove giugno a Roma per il presidente americano George W. Bush. Bush arriverà la sera dell'8 giugno, proveniente dalla Polonia. Accompagnato dalla first lady Laura, sarà ricevuto alle 10 del mattino successivo al Quirinale dal capo dello Stato. Il colloquio con Napolitano dovrebbe durare circa un'ora, dal momento che alle 11 è programmato in Vaticano l'incontro - il primo tra i due - con papa Ratzinger. Prima di recarsi a Palazzo Chigi dal premier Romano Prodi, i Bush visiteranno la basilica di Santa Maria in Trastevere, incontrando subito dopo i responsabili della Comunità di Sant'Egidio. Nel pomeriggio il colloquio con il premier Romano Prodi a Palazzo Chigi. Poco prima delle 16 Prodi e Bush terranno una conferenza stampa congiunta, al termine della quale il presidente americano si trasferirà a Villa Taverna, residenza dell'ambasciatore Usa in Italia, Ronald Spogli. Qui è previsto anche l'incontro con l'ex premier e attuale capo dell'opposizione Silvio Berlusconi. Incontri istituzionali a parte, sono in primo piano quelli con il Pontefice e con la Comunità, nota come "l'Onu di Trastevere". Ma perchè tanto interesse di Bush per l'organizzazione cattolica? Lo spiega l'ambasciatore statunitense presso la Santa Sede, Francis Rooney, in un'intervista esclusiva all'agenzia Apcom. La Comunità di Sant'Egidio rappresenta una sorta di modello per un presidente che ha sempre attribuito grande importanza alle organizzazioni non governative di stampo cristiano, sostiene l'ambasciatore, anche perché Bush «è la persona che le ha incoraggiate di più alla Casa Bianca per aiutare nell'impegno umanitario di promuovere povertà, educazione e lotta all'Aids». Non a caso, Bush ha chiesto di recente al Congresso di stanziare 30 milioni di dollari per lottare contro la pandemia dell'Hiv nei cinque anni successivi alla sua presidenza. Insomma, nel dopo-Casa Bianca c'è forse un impegno umanitario a tempo pieno.

Libero, 5 giugno 2007


Pronti a tutto pur d'incontrare la Comunità

di CATERINA MANIACI

Il Papa e la Comunità di Sant'Egidio, "l'Onu di Trastevere". E poi il suo "amico", nonché capo dell'opposizione politica italiana, Silvio Berlusconi. Nella complicata agenda del presidente statunitense per il giorno nove giugno a Roma, incontri istituzionali a parte, sembrano proprio questi gli incontri che suscitano maggior attesa da parte della presidenza Usa. L' interesse di Bush per l'incontro con Benedetto XVII è piuttosto comprensibile. Ma ci si chiede perché la Casa Bianca tenga molto anche a incontrare i vertici del movimento cattolico "nato" a Trastevere nel 1968. Tanto che, ai timori espressi dal nostro ministero dell'Interno sulla opportunità della visita in una zona come Trastevere, tutta vicoli, stradine, piazzette, gli americani insistono nel volerla programmare. E stanno circolando voci di un possibile incontro organizzato in un altro punto di Roma. Il perché di questo interesse lo ribadisce e lo spiega l'ambasciatore statunitense presso la Santa Sede, Francis Rooney, in un'intervista esclusiva all'agenzia Apcom. La Comunità di Sant'Egidio rappresenta una sorta di modello per un presidente, che ha sempre attribuito grande importanza alle organizzazioni non governative di stampo cristiano, sostiene l'ambasciatore. Non a caso, Bush ha chiesto di recente al Congresso di stanziare 30 milioni di dollari per lottare contro la pandemia dell'Hiv nei cinque anni successivi alla sua presidenza. Insomma, il presidente guarderebbe all'organizzazione cattolica, fondata, tra gli altri, da Andrea Riccardi, appunto come un modello da "copiare", da esportare. Anche per via della sua nota capacità di mediazione politica in tante crisi internazionali, e soprattutto nelle complicate guerre africane: ricordiamo che la grave situazione del Mozambico e la sua sanguinosa guerra intestina sono state risolte grazie alla complessa e "testarda" opera di mediazione della Comunità. Secondo Bush, dunque, questa è l'organizzazione giusta per l'impegno umanitario serio e concreto, per l'attiva collaborazione con i governi e la competenza con tratta le questioni internazionali. E in vista di un futuro impegno post-Casa Bianca che Bush potrebbe assumersi a tempo pieno. L'incontro con Benedetto XVI, poi -spiega ancora Rooney - sarà «un incontro politico», ma si sa che Su tematiche come l'aborto e la ricerca sulle cellule staminali la Casa Bianca ha tenuto posizioni molto apprezzate anche dall'episcopato Usa. «Le fortissime convinzioni del Presidente sono in linea con gli insegnamenti della Chiesa, c'è molta sintonia in questo campo», sottolinea l'ambasciatore. Insomma, tra il Papa teologo e il presidente Usa, metodista convinto, un certo feeling esiste, eccome.

Libero, 5 giugno 2007


Quelle toghe con la sharia in mano

di Massimo Introvigne

Ogni tanto la sinistra estrema o l’islam organizzato si lamentano perché in Italia non c’è una delle Intese previste dalla Costituzione con le confessioni religiose che riguardi i musulmani, mentre - oltre al Concordato con la Chiesa cattolica - hanno un’Intesa i valdesi, i luterani e qualcun altro. L’Intesa con l’islam non c’è per la buona ragione che i musulmani italiani non riescono a darsi una rappresentanza unitaria. Ma sembra che - grazie a certi magistrati - i musulmani abbiano già nella pratica tutti i diritti che deriverebbero da un’Intesa senza essersi assunti i relativi doveri.

Soltanto l’ultima settimana le «toghe verdi», cioè i giudici che ritengono loro dovere proteggere gli imam contro la presunta minaccia dell’«islamofobia», sono state al centro di controversie a Milano e a Bari. A Milano la materia del contendere era l’imam Zergout, che officiava a Varese prima di essere arrestato per fiancheggiamento del terrorismo. Il pubblico ministero ne aveva chiesto e ottenuto l’assoluzione, ma non perché fosse innocente: al contrario, si era dichiarato «convinto di avere in mano elementi di prova della sua colpevolezza» ma aveva fatto rilevare un vizio di forma del processo. Il ministro Amato, per una volta coraggioso, dopo l’assoluzione «tecnica» aveva espulso Zergout: ma la Corte europea dei Diritti dell’uomo, ben nota per il suo buonismo nei confronti dell’ultra-fondamentalismo islamico, aveva bloccato l’espulsione. Il ministro dell’Interno, per evitare di lasciare a spasso nelle nostre strade un estremista della cui colpevolezza per reati connessi al terrorismo la stessa procura di Milano dichiara di «avere in mano elementi di prova», aveva disposto che l’imam fosse condotto in un Cpt, uno di quei Centri di permanenza temporanea che per la sinistra radicale - e per certi giudici - sono lager, ma che con il governo Prodi stanno diventando più o meno delle pensioni dove la sorveglianza si fa sempre più blanda. Ma anche questo è stato considerato eccessivo da un giudice di pace di Milano, che ha annullato il provvedimento che obbligava l’imam a risiedere nel Cpt di Via Corelli. Non c’è scampo: i giudici europei e quelli italiani vogliono che Zergout circoli liberamente in Italia. Forse hanno dimenticato che il leader degli attentatori di Madrid era stato a suo tempo fermato in Spagna, ma il fermo non era stato convalidato per ragioni procedurali.
A Bari è stato rinviato a giudizio Renzo Guolo, stimato sociologo delle religioni, che certamente non è un islamofobo arrabbiato. Il sociologo è incappato nelle ire di Adel Smith, noto protagonista di teatrini televisivi autonominatosi imam (o qualche cosa di simile, perché la confusione è grande) di un gruppo che si chiama Unione musulmani d’Italia. Nonostante il nome magniloquente, si tratta di un’associazione di quattro gatti, considerata non rappresentativa da tutte le altre realtà del variopinto islam italiano.

Ma se uno dice a Smith, appunto, che non rappresenta nessuno, Smith si arrabbia molto, e ritiene che nella sua sacra persona sia stato offeso addirittura l’islam in genere. A Bari Guolo si è così ritrovato accusato di «vilipendio della religione islamica». Ci si chiede quali criteri adotteranno i giudici al processo - applicheranno la sharia? - ma soprattutto perché, mentre si possono far vedere in televisione documentari dove si insulta il Papa affermando falsamente che protegge i preti pedofili, se si critica più o meno blandamente un imam si viene incriminati. Dov’è l’errore?

Il Giornale, 5 giugno 2007


Sulla rivista dei gesuiti Civiltà Cattolica un tema spinoso dei rapporti con l´Islam

"Ecco perché Maometto non è profeta per i cristiani"

Le tesi passate al vaglio della Segreteria di Stato

CITTÀ DEL VATICANO - «Maometto, profeta anche per i cristiani?». È il titolo di un articolo sui difficili rapporti tra musulmani e cristianesimo che sarà pubblicato sul prossimo numero del quindicinale dei Gesuiti, Civiltà Cattolica. Articolo destinato a far discutere sia per il tema sollevato che per la risposta fornita dalla stessa Compagnia di Gesù, anche se in apertura del servizio sembra voler tendere una mano ai seguaci di Maometto. «L´islam ha condotto molti a credere in Dio, ma - puntualizza Civiltà Cattolica - non ha conosciuto l´amore di Dio e la grandezza della vocazione dell´essere umano che si sono rivelati in Gesù». Autore dell´articolo, il gesuita tedesco Christian W. Troll, professore di Islamologia e relazioni islamo-cristiane alla Facoltà di Teologia di Francoforte. Le tesi dell´articolo hanno, però, un peso specifico ancora maggiore rispetto a una normale lezione accademica, perché il servizio - come tutte le altre pubblicazioni di Civiltà Cattolica - prima della pubblicazione è stato sottoposto all´imprimatur ufficiale della Segreteria di Stato della Santa Sede.
«I musulmani riconoscono Gesù come profeta: perchè i cristiani non fanno altrettanto con Maometto?», si chiede, tra l´altro, padre Troll, che ricorda che per l´islam il messaggio di Maometto «è valido per tutti e per sempre, mentre quello di Gesù e degli altri profeti lo sarebbe soltanto per un popolo e per un tempo».
Maometto - avverte ancora il professore - ricorre alla forza per diffondere la fede e rifiuta i «servi sofferenti». E inoltre, «nel Corano la sofferenza - ragiona il gesuita - viene considerata come una realtà che sopravviene da fuori, limita Dio e lo umilia. Perciò bisogna pensare a un Dio libero dalla sofferenza e incapace di qualsiasi dolore». Al contrario, nel cristianesimo, «la misura di Cristo va oltre, fino alla grazia del dono di sè nell´incarnazione e nell´amore sofferente. Mentre il Corano rifiuta la redenzione perchè non è conciliabile con la sovranità di Dio, il Vangelo vive tutto del libero dono di Dio in Cristo».
Per i cristiani - scrive il teologo gesuita - ciò significa che a motivo della fede in un Dio sempre più grande questo dono non può essere escluso. Da qui l´impossibilità per gli stessi credenti in Gesù a considerare Maometto un profeta anche dal punto di vista cristiano.
(o. l. r.)

Repubblica, 4 giugno 2007

Attenzione: aspettiamo di leggere l'articolo della rivista prima di esprimere giudizi!!!
Raffaella

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