19 settembre 2007

Il cardinale Zen ed il regime di Pechino


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"Se apriamo senza ottenere la libertà religiosa per noi è la fine"

FEDERICO RAMPINI
HONG KONG

«Conosco la Cina e i suoi dirigenti: in confronto a loro, ho paura che perfino la Santa Sede possa peccare di ingenuità. Se apriamo a Pechino per ristabilire le relazioni diplomatiche senza ottenere una vera libertà religiosa, per noi è finita". A 75 anni Zen Ze-kiun è il cardinale che "rappresenta" nel collegio cardinalizio vaticano la Cina comunista. La cattedrale di Hong Kong dove mi riceve è un´oasi di quiete ai piedi di una collina immersa nel verde. È un santuario privilegiato: nell´unica città cinese che rispetta i diritti umani e la libertà di parola. Affabile e bonario, il cardinale non ha il fisico del trascinatore di folle. Eppure è uno degli uomini più temuti dal regime di Pechino.
Lo chiamano "la Voce di Hong Kong" da quando guidò in piazza mezzo milione di manifestanti in difesa della democrazia. La sua battaglia può sembrare disperata. Pochi giorni fa nella provincia dello Hebei un vescovo della Chiesa clandestina fedele a Roma, il 71enne Han Dingxiang, è morto mentre era detenuto. La polizia ha cremato la salma di nascosto per evitare che lo sapessero i suoi fedeli: una precauzione che altre volte è stata usata per occultare i segni di torture. Un altro vescovo, Jia Zhiguo, è stato arrestato per aver cercato di distribuire la lettera di Benedetto XVI ai cattolici cinesi. Intanto su un binario parallelo proseguono i contatti tra la Repubblica popolare e il Vaticano per riallacciare i rapporti interrotti da 56 anni. La posta in gioco è notevole. Se la Santa Sede rompe le relazioni con Taiwan – un prezzo da pagare per riconoscere la Repubblica popolare – il regime comunista incasserà una vittoria storica. L´Amministrazione Usa nel rapporto annuo sulle libertà religiose nel mondo denuncia un peggioramento in Cina. Come si spiega questa doppiezza del regime? Al papa l´invito al dialogo, contro i suoi fedeli il pugno duro? Nessuno conosce la situazione meglio di Zen, il cardinale combattente che in una celebre omelìa del 2003 invitò i cinesi a non subìre: «Se saremo in tanti a imboccarla, la strada della democrazia si aprirà». I cattolici cinesi costretti a praticare la fede nella clandestinità sanno di avere in lui un difensore indomabile. Zen è uno di loro.
Solo i casi della vita lo hanno costretto a un esilio perpetuo a Hong Kong. La sua città è Shanghai. Nasce in una famiglia modesta e già convertita al cattolicesimo, che lo manda a scuola dai salesiani. Deciso a prendere gli ordini, nel 1948 parte per Hong Kong perché è qui che i salesiani formano i novizi da tutto l´Estremo Oriente. E così quando la bandiera rossa sventola in Cina nel 1949 lui si trova sull´altro fronte della guerra fredda, in territorio britannico. Dopo gli studi in Italia, torna a Hong Kong nel 1964 e da qui vive la tragedia delle persecuzioni religiose. Nel 1957 Mao crea la Chiesa patriottica controllata dal partito comunista. Durante la Rivoluzione culturale dal 1966 al 1976 le religioni sono messe al bando, i fedeli sono "rieducati" nei campi di lavoro. I più fortunati scappano a Hong Kong dove la diocesi di Zen è in prima fila nell´aiutare i rifugiati politici. Non tutti ci arrivano vivi: durante le purghe degli anni Sessanta nel Delta delle Perle galleggiano i cadaveri delle vittime dei processi di piazza. «È solo nel 1974 – racconta Zen – che riesco a far visita ai miei familiari a Shanghai. In piena Rivoluzione culturale trovo le chiese tutte chiuse, una visione spettrale. Impossibile incontrare i confratelli: in prigione o clandestini». Il regime è al corrente dei suoi contatti con la chiesa della penombra e lo marca stretto. Poi accade un miracolo. Nel 1984, approfittando della graduale liberalizzazione, Zen tenta la sua chance. «Quasi furtivamente» si candida a insegnare al seminario di Shanghai. La pratica giace a lungo. Per le vie imperscrutabili della burocrazia il nulla osta del regime arriva poco prima del massacro di Piazza Tienamnen. «E così feci rientro nella mia città natale nel settembre 1989. Mentre tanti fuggivano dalla Cina io tornavo. Seguirono per me sette anni appassionanti. Insegnavo nei seminari di Shanghai, Pechino, Xian e Wuhan. Prima di andarci mi ero fatto l´idea che la Chiesa ufficiale fosse uno scisma manipolato dal regime; una volta lì scoprii che le cose sono più sfumate. Tanti preti dell´associazione patriottica sono come noi, solo che gli era vietato avere contatti con Roma. La mia presenza li riempiva di gioia». In quel periodo Zen rafforza la sua rete di contatti anche con la chiesa "sommersa", sempre alla mercè degli abusi. Hong Kong diventa il centro di contatti segreti con gruppi di cattolici clandestini della Repubblica popolare, la finestra verso l´Occidente per comunicare senza censura.
Il cardinale si è abituato a giostrare tra le contraddizioni del regime. «Da una parte c´è la libertà di viaggiare all´estero per i preti riconosciuti. Ogni volta che vado a Roma invito a un ristorante cinese i miei confratelli che studiano teologia con l´autorizzazione di Pechino. I primi anni erano venti, poi quaranta, ottanta. L´ultima volta a Roma ne ho contati 160 e non trovo più un ristorante cinese abbastanza grande per invitarli tutti insieme». Gli stessi sacerdoti quando tornano in patria si ritrovano sotto un controllo implacabile. «Chi non lo ha vissuto non può capire. L´arroganza del regime supera l´immaginazione. I funzionari politici dell´Ufficio Affari religiosi spadroneggiano nei seminari come fossero a casa loro. I vescovi dell´associazione patriottica non possono riunirsi da soli, è il governo che li convoca per discutere sotto la sua guida. Ho visto un vescovo che per telefonare all´estero doveva andare nell´ufficio di un funzionario. Sono in uno stato perenne di sottomissione, una condizione impensabile in un paese libero». Per lo stesso Zen i viaggi a Shanghai e Pechino negli ultimi anni sono cambiati: sempre più rari, sempre più sorvegliati. Quando gli inglesi restituiscono alla Repubblica popolare la loro ex colonia, nel 1997, il cardinale diventa un capofila del movimento democratico a Hong Kong. La sua visibilità sale alle stelle il primo luglio 2003. Quel giorno mezzo milione di persone scendono in piazza per contrastare la legge "anti-sovversione" che vuol mettere la museruola al dissenso. Di fronte alla marea umana che riempie il Victoria Park l´anziano prelato grida al microfono: «Non diventate schiavi!» L´indomani l´amministrazione locale ritira la legge liberticida. Pechino ingoia l´oltraggio ma inizia una campagna contro Zen. Lo accusano di aver taciuto finché comandavano gli inglesi, di essere un lacchè dell´Occidente. Lui non si lascia intimidire. «A Hong Kong non c´è una vera democrazia perché il governo locale fa solo ciò che vuole Pechino. Neanche sotto l´amministrazione coloniale c´era una vera democrazia, però le libertà venivano rispettate dagli inglesi, mentre dal 1997 in poi ci sono stati tentativi di limitare i diritti civili».
Sul dialogo tra le due diplomazie più antiche del mondo Zen ha delle riserve. Lo turba l´idea di rompere con Taiwan: «Sembra che la Chiesa abbandoni il debole per andare dal forte». Teme che Pechino voglia il disgelo ai vertici senza cambiare il trattamento riservato ai cattolici sul suo territorio. «Pretendono le relazioni diplomatiche senza libertà religiosa. Quando avranno ottenuto quello che vogliono, poi non concederanno più nulla». Zen è pessimista sulle intenzioni dei leader cinesi, soprattutto diffida dei burocrati di partito che dirigono l´associazione patriottica dei cattolici. «Lavorano ferocemente, conoscono il lavaggio del cervello. Quei cattolici oppressi, trattati come schiavi, dopo tanti anni di asservimento non possono ribellarsi. Ma la resistenza passiva è possibile». Lui vorrebbe invitare il regime a un test di tolleranza: «Appuntamento a maggio, per un grande pellegrinaggio al santuario della Madonna di Shanghai». Mancheranno tre mesi ai Giochi, l´Occidente avrà gli occhi puntati su Pechino e il rispetto dei diritti umani, come si comporterà la polizia? La "Voce di Hong Kong" non vuole dar tregua. Ai dirigenti comunisti lo disse chiaro tre anni fa, l´ultima volta che lo lasciarono entrare – sotto scorta – a Shanghai: «Grazie. Ma non illudetevi che starò zitto».

© Copyright Repubblica, 19 settembre 2007


La cronologia

I rapporti tra la Chiesa cinese e il Vaticano

XVI secolo
Giunto in Cina nel 1583, il missionario gesuita Matteo Ricci cerca di adattare riti e liturgie ai costumi locali

XVII secolo
Il rappresentante del Papa in Cina proibisce i cosiddetti ‘riti cinesi´, l´imperatore lo allontana dal paese

1951
La Repubblica popolare cinese rompe le relazioni diplomatiche con la Santa Sede ed espelle il nunzio apostolico Antonio Riberi

1957
Viene creata l´Associazione cattolica patriottica cinese che entro il 1958 promuove 15 ordinazioni episcopali non approvate dal Papa

1979
Il vescovo Fan Xueyan inizia a organizzare un movimento di cattolici fedeli alla Santa Sede. Si inizia a parlare di due Chiese

2007
In una ‘Lettera alla Chiesa cattolica cinese´ papa Benedetto XVI auspica il superamento del dualismo fra Chiesa clandestina e Chiesa patriottica

© Copyright Repubblica, 19 settembre 2007

3 commenti:

Anonimo ha detto...

Molto interessanti questi reportage di repubblica! Ora il nostro compito sta nella preghiera, il cammino è forse ancora lungo, ma proprio dove si vieta la libertà religiosa, lì Dio si fa sentire, Dio opera e i frutti si vedranno. Forse è peggiore la situazione nel nostro mondo occidentale rassegnato ed indifferente, dove si vive come se Dio non esistesse. Marco

Anonimo ha detto...

Perché forse nel nostro mondo occidentale si è molto più distratti e disincantati. Ma non è che qui non si faccia sentire. Quando siamo sordi, Dio si mette a urlare. Grazie a chi cammina nella preghiera. Ky

Anonimo ha detto...

E' molto semplice: basta pregare ed avere fede e poi pensa tutto DIO a mettere a posto le cose

bs