9 novembre 2007

Leo, il teologo amico del giovane Ratzinger


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Leo, il teologo amico di Ratzinger

Ruini: «Criticò con forza i sostenitori di una morale autonoma dalla fede, che porta alla irrilevanza e al conformismo nei confronti del mondo»

DA ROMA GIOVANNI RUGGIERO

Il cardinalato a Leo Scheffczyk fu un bene per la Chiesa, perché rese maggiormente pubblica la sua teologia che è stata ed è considerata – parole di Benedetto XVI – veramente cattolica e contemporanea. «Egli – aggiunge il pontefice in un’intervista che fa da prefazione alle tesi del cardinale – ha davvero vissuto e sviluppato la sua teologia davanti a Dio e con Dio, davanti a Cristo e con il Signore, sotto gli occhi della Madre di Dio».

Il volume Il mondo della fede cattolica. Verità e forma
(Vita e Pensiero) con l’intervista a Benedetto XVI è stato presentato a Roma insieme a un’altra pubblicazione, Ho amato la Chiesa, curata da Katharina Strolz e Peter Willi sulla vita di madre Giulia Verhaeghe.
A presentarli il cardinale Vicario di Roma, Camillo Ruini, il professore Massimo Marassi e il vescovo irlandese Philip Boyce, introdotti dal rettore, Lorenzo Ornaghi. Due libri per certi aspetti simili «per la tensione – spiega Ornaghi – verso la bellezza del Cristianesimo, verso la sua comprensibilità in ogni epoca storica e specialmente in quella contemporanea».
Leo Scheffczyk è stato un teologo coraggioso e controcorrente quando riconosce, per poi indicarne le soluzioni, che la sostanza della fede cattolica ha perso solidità e sicurezza sotto la spinta di un pluralismo acritico e di una molteplicità variegata di nuove interpretazioni arbitrarie.
L’intervento del cardinale Ruini spiega come il teologo sia stato puntuale a indicare risposte.
«Una preoccupazione non minore – dice - – desta la scissione dell’ethos dalla fede: qui Scheffczyk rivolge una critica molto severa ai sostenitori della morale autonoma, secondo la quale nel mondo moderno non potrebbe più esistere un’etica della fede.
Viene tolta così alla rivelazione cristiana e, per conseguenza alla Chiesa, ogni effettiva e specifica rilevanza etica. La conversione della Chiesa al mondo, – aggiunge il Vicario di Roma – ha portato dunque non a un influsso più forte del levito evangelico sulla vita moderna, ma all’irrilevanza e al conformismo nei confronti del mondo». Scheffczyk, con parole che, secondo Ruini, anticipano un insegnamento della Deus caritas est, e in polemica con la teologia politica sottolinea poi che «non può essere attribuito alla Chiesa un diretto compito politico, a meno di negare l’autonomia, non assoluta ma autentica, degli ordinamenti terreni e di ridurre la Chiesa alla società umana, finendo con lo svuotarla ed autodistruggerla».
La teologia di Leo Scheffczyk ha un intento sistematico: innanzitutto individua l’essenza del cattolicesimo che costituisce la pienezza del cristianesimo.
Questo, secondo Ruini, non vuol dire disinteresse per l’attuale impegno ecumenico: «Un vero ecumenismo – sottolinea – può crescere solo nella consapevolezza della natura e del valore della propria identità».
Con sistematicità, Leo Scheffczyk individua, poi, le strutture del cattolicesimo che sono l’universalità, il realismo della salvezza , il mistero e come ragion d’essere più profonda il 'concretissimum' del Dio­uomo: «Il principio divino­umano – dice Ruini – è dunque la struttura originaria, il punto unitario, da cui hanno origine tutte le strutture del cattolicesimo». Fu Giovanni Paolo II, su indicazione dell’allora cardinale Ratzinger, a concedere la porpora a Leo Scheffczyk: i pericoli che aveva indicato sull’onda della secolarizzazione e per le difficoltà, contrapposizioni e devianze che travagliavano all’interno la Chiesa, già nel corso del pontificato di Papa Wojtyla, ricorda Ruini, «non apparvero più come le forze storicamente vincenti, come i fattori di una crisi destinata ad essere superata; anzi, nella sostanza profonda già in via di superamento».
I problemi individuati da Leo Scheffczyk non sono scomparsi in questi anni, ma si sono attenuati e le forze vive a cui egli faceva riferimento si sono sviluppate e consolidate: «Benedetto XVI – conclude Ruini – con il suo invito caldo e rigorosamente argomentato ad allargare gli spazi della razionalità, a tenere unito il logos e l’ethos e a far emergere in tutta la sua bellezza e la sua gioia il grande sì che Dio ha detto all’uomo in Gesù Cristo, sta aiutando la Chiesa cattolica, e anche la cultura del nostro tempo, a compiere un ulteriore e fondamentale passo in avanti, in quella direzione che Leo Scheffczyk ha indicato e motivato».

© Copyright Avvenire, 9 novembre 2007


il personaggio

L’«altro» Balthasar che studiò i misteri della forma cattolica

DI ELIO GUERRIERO

La formazione ecclesiastica ed accademica del cardinale Leo Scheffczyk risentì della Seconda guerra mondiale.
Nativo della Slesia, il futuro teologo dovette partecipare al conflitto come soldato prima in Alsazia e poi in Norvegia, dove venne fatto prigioniero.
Dopo la disfatta della Germania e la nuova divisione territoriale, l’ex seminarista – che aveva già iniziato gli studi di filosofia e teologia a Breslavia – si presentò nel 1945 al seminario di Monaco. Vi incontrò il giovanissimo Joseph Ratzinger, che nell’intervista che precede il volume ricorda con affetto il compagno di quegli anni drammatici.
Ordinato sacerdote nel 1947, venne inviato per un anno in cura d’anime.
Successivamente fu nominato vicerettore del seminario per profughi dalla Germania dell’Est di Königstein con il compito di seguire la formazione dei giovani, ma anche di portare avanti i suoi studi.
Nel 1950 ottenne il dottorato con una tesi su Friedrich Stolberg e il distacco della storiografia cattolica della Chiesa dall’Illuminismo. Subito dopo passò alla dogmatica, che doveva insegnare in seminario.
La conoscenza del dibattito storiografico che nel XIX secolo aveva avuto l’epicentro nella scuola cattolica di Tubinga di Drey e Möhler gli aprì la strada alla cattedra di teologia più ambita della Germania.
Qui egli restò per 5 anni prima di approdare all’università di Monaco, il vero campo della sua ricerca e del suo apostolato. Studioso austero, Scheffczyk non mancò al dovere della testimonianza cristiana di fronte alle posizioni erosive presenti tra gli stessi pensatori e teologi cattolici. Inoltre, come Giovanni Paolo II, fece suo il pensiero della misericordia di Dio di santa Faustina Kowalska ed ebbe l’umiltà di seguire madre Giulia Verhaeghe, una coraggiosa suora belga mossa da un’attenzione perspicace per le grandi questioni della vita.
Il suo libro Il mondo della fede cattolica. Verità e Forma,
pubblicato in prima edizione nel 1977, è di poco successivo al piccolo volume di von Balthasar Cattolico. Aspetti del mistero, a evidenziare una sensibilità e una preoccupazione comuni. Ma lì dove il teologo di Basilea procedeva con brevi e incisivi flashes su verità cattoliche dimenticate quando non irrise, Scheffczyk si avventurava in una più impegnativa ricerca degli elementi costitutivi della natura e della forma del cattolico.
L’accostamento al centro avveniva attraverso la via dell’integrazione, che permette di valorizzare elementi in apparente opposizione: natura e grazia, Scrittura e tradizioni, tradizione e progresso, fede e opere. Di qui la strada porta al centro del mistero, dove si colloca la resurrezione come chiave del mistero personale di Cristo e del senso salvifico della sua persona.
Dal centro si dipartono poi due strade: quella sacramentale raccolta intorno all’Eucarestia permette al fedele comunione di vita e di amore con Cristo; quella mariana conferisce alla vita spirituale una indispensabile impronta femminile a livello ecclesiale e personale. Uomo della modestia e della ricerca, Scheffczyk fu un grande devoto della Vergine e un sacerdote che seppe cogliere ogni occasione per testimoniare e diffondere l’annuncio cristiano. Ha scritto di lui Benedetto XVI: «Nella sua fedeltà alla fede, così come nella sua bontà umana e nella sua modestia, egli rimane per i suoi allievi e per molti credenti un esempio luminoso».
Compagno di studi del Papa, fu un ricercatore tenace quanto modesto L’ampia cultura non gli impedì di essere forte devoto della Vergine.

© Copyright Avvenire, 9 novembre 2007

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