17 aprile 2008

Uomo bianco in Casa Bianca (Christian Rocca per "Il Foglio")


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Uomo bianco in Casa Bianca

Bush dice che il mondo ha bisogno del messagggio del Papa, Benedetto XVI fa un inno alla libertà

di Christian Rocca

New York.

Il presidente ieri ha ricevuto il Papa. La cerimonia, sul prato sud della Casa Bianca, è stata tra le più gremite di pubblico della storia americana. Dopo aver parlato in diretta tv quasi a ruoli invertiti – George W. Bush sembrava il Papa, Joseph Ratzinger il comandante in capo – si sono ritirati nello studio ovale per l’incontro riservato. Bush ha ricordato che l’America è una nazione che prega, capace di essere allo stesso tempo innovativa e religiosa, dove “fede e ragione esistono in armonia” e dove il ruolo della religione è benvenuto nel dibattito pubblico. In un mondo dove c’è chi invoca Dio per giustificare le stragi, ha detto il presidente rivolto al Papa, “abbiamo bisogno del suo messaggio d’amore”.
Bush è stato interrotto dagli applausi quando ha parlato di difesa della sacralità della vita e quando ha detto che il mondo ha bisogno del messaggio papale “per rigettare la dittatura del relativismo”.Benedetto XVI, accolto dal coro “tanti auguri a te” per aver compiuto ottantuno anni, ha sottolineato la vitalità della società pluralista americana e ha concluso con l’immancabile, per un politico statunitense, “God bless America”.
Ma il cuore del suo discorso è stato quello di ricordare i principi su cui è stata fondata l’America, contenuti nella Dichiarazione di indipendenza: l’ordine morale basato su Dio, l’idea che tutti gli uomini sono stati creati uguali e la certezza che alcune verità sono autoevidenti.Il Papa ha detto che la libertà non è soltanto un dono, ma comporta anche responsabilità personale, sacrifici, disciplina, virtù, come sanno molto bene gli americani le cui città sono ricche di monumenti dedicati a “chi ha sacrificato la propria vita in difesa della libertà, in patria e all’estero”. Il Papa ha citato la battaglia contro la schiavitù, il movimento per i diritti civili e il totalitarismo comunista, sottolineando come le parole di Giovanni Paolo II sulla vittoria spirituale della libertà ricordino quelle di George Washington nel suo discorso d’addio.
“La democrazia, come hanno capito i vostri Padri fondatori – ha detto il Papa – può fiorire quando i leader politici sono guidati dalla verità”. Il mondo senza verità perde le sue basi, la democrazia senza valori perde la sua anima, ha aggiunto il Papa. Chi si aspettava parole dure del Pontefice sulla guerra in Iraq e critiche aspre della massima autorità spirituale dei cattolici contro la politica estera unilaterale degli americani è rimasto deluso, anche se potrà ancora sperare nel discorso di Benedetto XVI alle Nazioni Unite di venerdì. L’unico accenno, indiretto, è stato l’augurio che l’America voglia sostenere “gli sforzi pazienti della diplomazia internazionale volti a risolvere i conflitti e a promuovere il progresso”, ma solo prima di aver ricordato che le Nazioni Unite hanno bisogno di essere “più efficaci”. Ratzinger, così come il suo predecessore Giovanni Paolo II, si è opposto all’intervento militare in Iraq e, come dice lo studioso cattolico neoconservatore Michael Novak, suo compito è quello di pronunciarsi a voce alta contro la guerra, anche contro quella in Iraq. Più recentemente i vaticanisti hanno raccontato di un “basta” pronunciato da Benedetto XVI alla notizia di un’ennesima strage nel paese desaddamizzato. Il Vaticano, dicono gli analisti, è contrario al ritiro delle truppe, perché è consapevole che abbandonare l’Iraq scatenerebbe maggiore violenza. Il comunicato congiunto Stati Uniti-Santa Sede, rilasciato alla fine dell’incontro, conferma che Bush e Ratzinger hanno parlato della “comune preoccupazione” per la situazione in Iraq, oltre che nel medio oriente, ribadendo il “totale rifiuto del terrorismo” e “della manipolazione della religione per giustificare atti immorali e violenti”, soffermandosi “sulla necessità di contrastare il terrorismo con mezzi appropriati che rispettino la persona umana e i suoi diritti”. Malgrado le differenze sull’Iraq, il presidente americano e il Papa cattolico parlano la stessa lingua sulla famiglia, sull’immigrazione, per non dire delle questioni etiche. Tra Bush e Ratzinger non c’è l’imbarazzo che, nel 1993, a Denver, era percepibile tra Giovanni Paolo II e i Clinton, nel momento in cui il Papa disse di fronte alla coppia presidenziale pro choice che “tutte le cause” di cui l’America si erge ad alfiere “avranno senso solo se si garantisce il diritto alla vita e si protegge la persona umana”.Bush è affascinato dal cattolicesimo e da questo Papa, del quale ha letto un paio di saggi. Così come di Bill Clinton si diceva che fosse “il primo presidente nero”, ha scritto il Washington Post, di Bush si può dire che è “il primo presidente cattolico”, nonostante John Kennedy. Jfk ha provato a separare la religione dal suo ufficio, mentre Bush è stato eletto con una piattaforma, il conservatorismo compassionevole, che ha radici nella dottrina sociale della chiesa. L’idea dei finanziamenti alle associazioni caritatevoli, le “faith-based initiative”, è influenzata dal principio cattolico della sussidiarietà, dalla convinzione che il potere centrale si deve occupare soltanto delle questioni che non possono essere trattate in modo soddisfacente dalle libere aggregazioni della società.

© Copyright Il Foglio, 17 aprile 2008 consultabile online anche qui.

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