30 settembre 2008

Garelli: "Il senso del sacro val bene la messa in latino?" (La Stampa)


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Il senso del sacro val bene la messa in latino?

FRANCO GARELLI

Chiunque guardi ai fenomeni religiosi d’oggi non può non stupirsi del grande investimento che il Vaticano e il Papa continuano a fare sul ritorno della messa in latino. È recente il grido d’allarme del centro della cattolicità per i vescovi italiani che ostacolano l’antico rito, che fa seguito al monito di Benedetto XVI all’episcopato di Francia perché sulla questione della liturgia non si strappi ulteriormente «la tunica senza cuciture del Cristo». Nel mirino non c’è, dunque, solo la riottosa Francia, ma anche l’episcopato italiano tradizionalmente più elastico verso i cambi di registro della Santa Sede; e pure la Chiesa tedesca, da cui Ratzinger proviene e dove oggi più forte spira il vento della tradizione.

Viene da chiedersi se la questione del latino sia davvero così decisiva per una Chiesa cattolica che è alle prese con le molte sfide cui la espone l’annuncio cristiano nella società pluralistica. Non si stanno affrontando nella cattolicità due diverse visioni di Chiesa? Quanto i fautori del ritorno al latino fanno i conti con le concrete situazioni in cui operano i vescovi e il clero?

Dietro il motu proprio del Papa sulla reintroduzione del latino vi sono certamente varie preoccupazioni e intenti. Anzitutto creare un ponte nei confronti dei cattolici più tradizionalisti (e in particolare dei lefebvriani), per ristabilire la comunione con una quota di credenti che hanno rotto con la Chiesa di Roma a seguito delle aperture del Concilio Vaticano II.

La Santa Sede inoltre dichiara di ricevere sempre più proteste di fedeli delusi di non trovare nelle chiese locali la possibilità di assistere alla messa in latino, che si sentono quindi ai margini di comunità che non rispettano la loro sensibilità religiosa.

Ma l’argomento forse più forte a sostegno del ritorno alla liturgia del passato è individuabile nel giudizio che «il rito moderno ha distrutto il senso del sacro».

La riforma liturgica ha certamente dato adito a esagerazioni e abusi, con alcuni riti rivolti più alla centralità dell’uomo che a quella di Dio, più orizzontali che verticali; con il chiasso delle chitarre che annulla il senso del mistero; con omelie centrate più su considerazioni di ordine sociologico o politico che sul discernimento della parola di Dio.

Di qui l’idea che la liturgia pre-conciliare possa restituire quel clima di mistero che si è perso in celebrazioni concepite etsi Deus non daretur.

A rilievi come questi non sono insensibili i vescovi delle diverse nazioni, anche se preoccupati sia della realizzazione pratica del motu proprio papale sia di alcune convinzioni che lo accompagnano. Non c’è il rischio di confondere l’eccezione con la regola, di scambiare cioè la possibilità concessa ad alcuni gruppi di fedeli con il declassamento della riforma liturgica approvata dal Concilio? Certo la Chiesa non può vivere senza un fecondo richiamo alla tradizione e alla memoria.

Ma perché ritenere che solo il gregoriano o la messa di Pio V siano capaci di aprire al senso del mistero e della trascendenza? Ancora, questi orientamenti non esprimono l’idea di una cattolicità elitaria ed eurocentrica, a fronte di sentimenti cattolici in molte aree del mondo che non hanno le stesse basi culturali e spirituali né alcuna familiarità col latino? Infine, come far fronte alle domande della vecchia liturgia in una situazione ecclesiale sempre più carente di vocazioni, in cui i preti (molti dei quali non hanno più una formazione classica) dovrebbero moltiplicare le messe per celebrarle sia nella lingua nazionale sia in quella antica?

Pur apprezzata da non pochi «dotti inquieti» (anche di matrice laica), la messa in latino ci riporta al diverso modo di interpretare il rapporto chiesa-mondo presente nella cattolicità. Ancora una volta emerge la tensione tra l’essere un piccolo gregge nel mondo o mirare a un adattamento che non perda la sostanza della proposta religiosa.

© Copyright La Stampa, 30 settembre 2008 consultabile online anche qui.

Proviamo a rispondere alle domande di Garelli.

Ma perché ritenere che solo il gregoriano o la messa di Pio V siano capaci di aprire al senso del mistero e della trascendenza?

E questo chi l'ha detto? Mi si trovi il testo in cui Papa Benedetto XVI afferma una cosa del genere!
Guardiamo i fatti, non le teorie di certi media e certi vescovi.
Papa Benedetto non HA MAI celebrato Messa secondo il rito tridentino (volgarmente chiamata messa in latino).
Da quando e' Papa ha SEMPRE detto Messa utilizzando il Messale approvato da Paolo VI.
Sfido chiunque a mostrarmi le immagini in cui Benedetto XVI celebra con il Messale di San Pio V riformato da Giovanni XXIII.
E non si tiri fuori la celebrazione nella Cappella Sistina perche', anche in quel caso, si utilizzo' il Messale "conciliare" tanto e' vero che la lingua utilizzata fu l'italiano. Ergo: non poteva essere una celebrazione tridentina.
Tutte le Messe celebrate dal Papa adottano il Messale di Paolo VI e le lingue utilizzate sono molte, latino compreso.
Vogliamo forse osare dire che in queste celebrazioni non c'e' il senso del sacro? Sarebbe un'eresia.
Guardiamo alle Messe celebrate in Francia. Il Messale usato e' quello di Paolo VI, i canti in francese e latino, la liturgia splendida.
Non c'e' il senso del sacro? Suvvia!
Non e' quindi vero che "solo il gregoriano o la messa di Pio V siano capaci di aprire al senso del mistero e della trascendenza".
Una liturgia curata e ben fatta, come quella che il Papa ci mostra, prescinde dal Messale utilizzato tanto e' vero, RIPETIAMOLO, che Benedetto XVI non ha mai celebrato con il rito tridentino
.

Ancora, questi orientamenti non esprimono l’idea di una cattolicità elitaria ed eurocentrica, a fronte di sentimenti cattolici in molte aree del mondo che non hanno le stesse basi culturali e spirituali né alcuna familiarità col latino?

E allora? La maggiorparte delle Messe vengono celebrate utilizzando il Messale di Paolo VI. Questa e' la liturgia "ordinaria" e nessuno contesta questo dato di fatto.
NESSUNO e' obbligato ad assistere alla Messa tridentina.
I fedeli continuano e continueranno ad assistere a liturgie celebrate nella loro lingua madre.
Ma perche' escludere gli altri? Perche' lasciare alle porte quei fedeli cattolici che desiderano partecipare alla Messa tridentina?
Perche' queste persone devono essere escluse? Che senso ha?
Non c'e' forse posto per tutti nella Chiesa? Non trovo giusto affermare che c'e' posto per tutti tranne per coloro che amano il latino.


Infine, come far fronte alle domande della vecchia liturgia in una situazione ecclesiale sempre più carente di vocazioni, in cui i preti (molti dei quali non hanno più una formazione classica) dovrebbero moltiplicare le messe per celebrarle sia nella lingua nazionale sia in quella antica?

Enno'! Questa e' una scusa!
I preti non hanno piu' una formazione classica? Questo si' che e' gravissimo (altro che il motu proprio!).
Il latino va insegnato nei seminari perche', piaccia o no, e' la lingua universale della Chiesa Cattolica.
Non e' concepibile che vengano ordinati uomini che non sanno una parola di latino. Che cosa accadrebbe se venissero nominati vescovi?
Occorre studiare e rimboccarsi le maniche.
E poi parliamoci chiaro: quanti sacerdoti possono essere coinvolti in una citta' nella celebrazione della Messa tridentina? Uno? Due? Tre? Sono cosi' tanti?
Il punto e' un altro: ci sono molti ostacoli e molti vescovi mettono i bastoni fra le ruote non solo ai fedeli ma anche ai parroci.
Se e' vero che molti giovani preti sarebbero disposti a studiare il rito tridentino, mi pare che la questione potrebbe risolversi in fretta.
Occorre comprensione reciproca. Si dovrebbero evitare i "fondamentalismi" di chi impedisce le celebrazioni e di chi pretende la luna
.
Lasciamo che il motu proprio sia applicato secondo le norme stabilite dal Papa (non dai vescovi) e vediamo che cosa succede. I tre anni di prova non sono ancora partiti e siamo in ritardo di quasi tredici mesi. Si rifletta sul fatto che le richieste arrivano soprattutto dai paesi piu' secolarizzati: Germania e Francia.

Ancora una volta emerge la tensione tra l’essere un piccolo gregge nel mondo o mirare a un adattamento che non perda la sostanza della proposta religiosa.

Adattamento?
Mamma mia...ecco il punto.
Rileggiamo San Paolo:


"Non conformatevi alla mentalità di questo secolo, ma trasformatevi rinnovando la vostra mente, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto.
(Rm 12, 2)

4 commenti:

brustef1 ha detto...

E dài: nessuno è più sordo di chi non vuol sentire

Anonimo ha detto...

In effetti 3 anni fa, in Terra Santa, ho conosciuto tre giovani sacerdoti, due brasiliani e un colombiano, che UDITE UDITE i seminario non avevano studiato il latino. A parte questo, adesso (con un pò di ritardo lo ammetto) credo di aver finalmente compreso che il "Summorunm Pontificum" non sta avendo (e non voleva avere dall'inizio), alcun "effetto dirompente", nessuna "controrivoluzione" quindi. Va letto secondo me come intelligente iniziativa di Papa Benedetto, in chiave in qualche modo "politica", quale importante messaggio, anche a valenza solo "simbolica" (visto che nella prassi concreta non ha prodotto nessuno sconvolgimento) che la Chiesa è veramente aperta a tutti, certamente anche a coloro i quali hanno vissuto con qualche perlessità le innovazioni del Concilio, ma non tanto esse stesse, ma più che altro le pericolose successive "derive" certo non volute dai padri conciliari(derive sulla cui presenza oggi quasi tutti obiettivamente concordano, tranne i cattolici così' tanto "adulti" da sembrare decrepiti, veri "nostalgici" della "messa beat"). Carla

Anonimo ha detto...

Cara Raffaella ha ragione brustef1 quando dice che nessuno è più sordo di chi non vuol sentire ed è proprio così nel caso di questo articolo.

Sono sincera, non ho dato una lettura approfondita perchè sin dall'inizio ho capito che era sempre la stessa minestra riscaldata, contro la celebrazione secondo il Messale del 1962 di Giovanni XXIII che si usò se non sbaglio, anche durante il Concilio Vaticano II per le celebrazioni ( se non è così qualcuno mi corregga ). Non voglio commentare oltre perchè ritengo che gli argomenti affrontati e le osservazioni all'interno di questo articolo, sono un offesa all'intelligenza di chi legge dato che le osservazioni fatte, sono decisamente campate per aria.

euge ha detto...

Carissimi amici del Blog, vedo che ancora si straparla sul SP e addirittura si vuol far credere che Benedetto XVI, abbia già celebrato con questo rito.

Sinceramente non me ne sono accorta........ strano perchè seguo tutte le celebrazioni del santo Padre come posso e quando posso e di certo, mi sarei accorta della differenza :-)))))).
Mi cadono le braccia in terra leggendo ciò che è stato scritto in questo articolo: per un riguardo a Raffaella, mi astengo dal manifestare apertamente il mio pensiero ma, di certo è grave se un giornale permette la pubblicazione di notizie assurde e decisamente fuorvianti. Per il resto, è la solita minestra al veleno riscaldata e con qualche pizzico di sale in più.