28 settembre 2008

Riccardi: "Immigrati, il realismo della Chiesa" (La Stampa)


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Immigrati, il realismo della Chiesa

ANDREA RICCARDI

Gli interventi della Chiesa sull’immigrazione rivelano freddezza verso il governo? C’è qualcosa di più profondo che il rapporto con la maggioranza: si tratta invece di una visione.
L’Osservatore Romano, con l’ultimo ma non casuale intervento, punta il dito non solo sulla politica migratoria, ma sulla politica più in generale. Scrive: «La politica… è creazione di opinioni non tenute al guinzaglio dell’opinione corrente; è capacità e coraggio di influire sul giudizio politico dei cittadini; è azione capace di operare affinché si determinino cambiamenti nell’opinione pubblica imperante». Un esempio evidente riguarda il diffuso senso di insicurezza. Ci si mette a gridare all’insicurezza e si promette il braccio forte. Ma è la scelta da fare?
Ci sentiamo tutti insicuri, perché non abbiamo idee sul futuro. Globalizzazione, crisi finanziarie, incertezza economica, provocano spaesamento e paura. C’è terrore della storia, della grande storia: quasi che correnti di instabilità (immigrazione, terrorismo, economia globale…), venendo da lontano, ci trovassero indifesi. Che di meglio allora che gridare al pericolo e perimetrare le frontiere presidiandole? Ma, alla lunga, questo non darà sicurezza, perché l’insicurezza è più profonda. Viene dalla mancanza di visione condivisa del futuro. Negli anni della ricostruzione i partiti, pur in lotta, ne comunicavano alcune. Oggi la politica intercetta gli umori. Finisce per accentuarli. Non basta.
Sul tema dell’immigrazione la Chiesa ha una sua visione, che non è buonismo (le viene riconosciuto - con un po’ di sussiego - di fare la parte sensibile della nostra società). E’ una visione che viene da lontano. Pio XII, nel 1952, ne fece oggetto di una Costituzione apostolica. Giovanni XXIII ha parlato di diritto all’immigrazione e all’emigrazione. L’emigrazione è una realtà costante della storia umana che, nel mondo globalizzato, subisce oggi forti accelerazioni per l’attrazione del benessere, per il calo demografico europeo, per le grandi povertà. Il vero problema è come gestire questa realtà: se farne uno choc o una chance. Infatti l’immigrazione dal Sud non si fermerà con misure di frontiera, anche le più dure, come si vede dai viaggi disperati affrontati da tanti africani.
La visione della Chiesa sull’immigrazione mostra forte senso della realtà. Abbiamo bisogno di immigrati. Alcuni imprenditori non riescono a rispondere al fabbisogno di mano d’opera. L’ultimo decreto sui flussi (dicembre 2007) ha fatto emergere oltre 650 mila domande di lavoratori stranieri da parte di italiani (di cui la metà richiesti dalle famiglie). La sensazione degli operatori dell’emigrazione è che i flussi migratori si stiano rallentando. I polacchi non vengono quasi più, ugualmente le ucraine, mentre sono diminuiti di molto gli arrivi dei romeni. Il senso della pressione migratoria sull’Italia è dato dagli arrivi irregolari. Nel 2007 17 mila sono arrivati attraverso il mare; nel 2008 siamo poco sotto i 20 mila. Non proprio un’invasione. Meno di altri Paesi europei. Mentre in alcune aree, come a Pantelleria o in Sicilia, o in alcuni Paesi, come Malta, la pressione è forte, altrove non tanto.
Il vero problema è l’integrazione. Per questo è sbagliata la limitazione dei ricongiungimenti familiari. La famiglia è un grande fattore di integrazione, oltre che un grande diritto. Mons. Agostino Marchetto del Pontificio Consiglio per i migranti, ha pacatamente dichiarato: «Non reggono le motivazioni per le decisioni prese su richiedenti asilo e ricongiungimenti familiari». L’introduzione dell’esame del Dna per verificare la parentela (e gli adottati?) ha un costo esorbitante. Un esempio: 300 euro in Kenya. Del resto il governo sembra non avere intenzione di spendere tanto per l’integrazione, avendo stanziato, nel Consiglio dei ministri del 23 settembre, più di 115 milioni di euro per nuovi centri di identificazione, dimezzando a 50 milioni i fondi per l’integrazione. Anche per la carenza di investimento sull’integrazione, non è un errore indebolire la famiglia degli immigrati? E’ invece una grande risorsa specie per i giovani migranti. D’altra parte la ventilata ipotesi di «classi ponte» per i figli degli immigrati preoccupa fortemente, perché resuscita le scomparse «classi differenziali». E’ questa la via dell’integrazione o quella di una gestione aggressiva dell’immigrazione?
Perché adottare un’attitudine che penalizza l’immigrazione, quando ne abbiamo bisogno? Dichiarazioni e allarmi, diffusi anche da personalità autorevoli, creano un clima talvolta incendiario. Invece lo si dovrebbe rasserenare. Si semina vento e si raccoglie tempesta. Il presidente della Cei, card. Bagnasco, afferma senza drammatizzare che «nell’ultimo periodo stanno emergendo qua e là dei segnali di contrapposizione anche violenta». Egli spera che non si tratti di «regressione culturale», ma invita a una seria considerazione. Gli italiani hanno bisogno anche di essere aiutati a vivere e capire la transizione che stanno attraversando.
In realtà la questione degli immigrati dovrebbe essere un tema bipartisan, mentre diventa terreno di incursioni estemporanee. E’ una delle più grandi questioni nazionali. Non meraviglia allora che la Chiesa proponga la sua visione, che si misura con il lungo periodo. Non pensa certo ad un’Europa che getti via il suo retaggio cristiano, ma a un continente che sappia aprirsi, ringiovanirsi, proiettarsi nel futuro. Così sono suonate le parole di Benedetto XVI, che più volte ha sottolineato il rischio di un «congedo dalla storia» dell’Europa. Quest’estate il papa ha parlato delle tragedie incorse agli immigrati nel Mediterraneo, invitando alla responsabilità i Paesi di partenza e all’accoglienza gli europei: «La migrazione è un fenomeno presente sin dagli albori dell’umanità… - ha ricordato -. L’emergenza in cui si è trasformata nei nostri tempi, tuttavia, ci interpella e, mentre sollecita la nostra solidarietà, impone, allo stesso tempo, efficaci risposte politiche». Su di un fenomeno complesso, come quello dell’immigrazione, c’è bisogno di visioni articolate e di lungo periodo, che diano origine a politiche responsabili. Se si avverte uno stridore sull’immigrazione tra Chiesa e politica in Europa, è forse il contrasto tra una visione da una parte e il bisogno di maturarla dall’altra.

© Copyright La Stampa, 28 settembre 2008 consultabile online anche qui.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Buoin giorno a voi. Sinceramente, nutro preplessità sulla tesi del Prof. Riccardi secondo cui , in buona sostanza, i problemi sulla sicurezza li abbia "fabbricati" il Governo attuale denunciando un presunto "allarme" in tal senso. Penso ovviamente all'agghiacciante vicenda dell'uccisione di Giovanna Reggiani e anche alla recente aggressone dei due turisti olandesi a Ponte Galeria. Perlatro, poco tempo dopo l'uccisione della Sig.ra Reggiani l'allora Sindaco di Roma , nonchè i Presidenti della Provincia e della Regione Lazio, in visita in Vaticano, si presero giustamente una reprimenda sul degrado e sui problemi della sicurezza a Roma da Papa Benedetto in persona.