29 settembre 2008

Il Papa: Nell'umiltà la grandezza - Il testamento spirituale di Giovanni Paolo I (Zavattaro)


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Benedetto XVI: "L’umiltà può essere considerata il testamento spirituale di Giovanni Paolo I. Grazie proprio a questa sua virtù, bastarono 33 giorni perché Papa Luciani entrasse nel cuore della gente" (Parole del Santo Padre alla recita dell'Angelus, 28 settembre 2008)

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BENEDETTO XVI - Nell'umiltà la grandezza

Il testamento spirituale di Giovanni Paolo I

Fabio Zavattaro

È la mattina presto quando la radio annuncia la morte di Papa Luciani, e la notizia ha dell’incredibile. Ricordo che mio padre me la disse proprio mentre uscivo di casa per andare a fare la rassegna stampa nell’ufficio dove lavoravo in quel 1978. Ovviamente pensai che si fosse sbagliato; che si riferisse a Papa Paolo VI, morto poco più di un mese prima; non ci pensai più di tanto. Avevo sentito i notiziari la mattina prima di uscire e non c’erano stati simili annunci. Così arrivai fino a via della Conciliazione e lì capii che effettivamente si trattava di Giovanni Paolo I , il Papa eletto a fine agosto, rimasto Pontefice 33 giorni, “il tempo di un sorriso”, come titolò il quotidiano parigine Le Monde. Era il 28 settembre del 1978.
Trent’anni dopo Benedetto XVI lo ricorda all’Angelus da Castel Gandolfo ed è interessante il modo come introduce la riflessione sul suo predecessore, di cui si è concluso il processo diocesano per la beatificazione.
Legge la parabola dei due figli inviati dal padre a lavorare nella vigna – lui che nel giorno dell’elezione si definì un “semplice e umile operaio nella vigna del Signore” – e ricorda che il verbo usato in greco per dire che Cristo si è spogliato della sua gloria divina per amore nostro, e si è abbassato fino a morire in croce – ekenòsen – significa letteralmente “svuotò se stesso e pone in chiara luce l’umiltà profonda e l’amore infinito di Gesù”.
Umiltà, dunque, la parola chiave per capire Giovanni Paolo I. Umiltà che può essere considerata, afferma Papa Benedetto, il suo testamento spirituale. Scelse proprio questa parola, umiltà, come motto del suo stemma episcopale. “Una sola parola che sintetizza l’essenziale della vita cristiana e indica l’indispensabile virtù di chi, nella Chiesa, è chiamato al servizio dell’autorità”.
Ed è stato proprio grazie a questa sua semplicità e umiltà che Luciani è entrato subito nel cuore della gente. Diceva: mi limito a raccomandare “una virtù tanto cara al Signore” che ha detto: “Imparate da me che sono mite e umile di cuore. Anche se avete fatto delle cose grandi, dite: siamo servi inutili”. Ricorda Benedetto XVI che Papa Luciani, in quell’udienza del mercoledì – ne fece solo quattro – disse: “Invece la tendenza in noi tutti è piuttosto al contrario: mettersi in mostra”.
Come non ricordare quelle sue udienze nelle quali, proprio come un catechista, un parroco, si rivolgeva ai fedeli, magari facendosi aiutare ora da un giovane chierichetto maltese, ora da una poesia di Trilussa (la vecchina cieca che si offre di accompagnare il poeta nel bosco e che alla fine del sonetto Trilussa dice: era la fede) recitata, almeno in parte, nel dialetto romanesco. È il Papa che affacciandosi alla finestra dello studio per la recita della preghiera mariana dell’Angelus dice ai fedeli: “Noi siamo oggetti da parte di Dio di un amore intramontabile. Sappiamo: ha sempre gli occhi aperti su di noi, anche quando sembra ci sia notte. È papà; più ancora è madre. Non vuole farci del male; vuol farci solo del bene, a tutti. I figlioli, se per caso sono malati, hanno un titolo di più per essere amati dalla mamma”.
Benedetto XVI ricorda: Papa Luciani “nei discorsi usava esempi tratti da fatti di vita concreta, dai suoi ricordi di famiglia e dalla saggezza popolare. La sua semplicità era veicolo di un insegnamento solido e ricco, che, grazie al dono di una memoria eccezionale e di una vasta cultura, egli impreziosiva con numerose citazioni di scrittori ecclesiastici e profani. È stato così un impareggiabile catechista, sulle orme di san Pio X, suo conterraneo e predecessore prima sulla cattedra di san Marco e poi su quella di san Pietro”.
Era il Papa, Luciani, che diceva: dobbiamo sentirci piccoli davanti a Dio, “come un bambino davanti alla mamma”. Forse quella sua espressione, che fece molto discutere teologi e commentatori, aveva proprio origine in quel contesto familiare che è espressione di amore e di protezione. E le sue parole, ricorda ancora Papa Ratzinger, “mostrano tutto lo spessore della sua fede. Mentre ringraziamo Dio per averlo donato alla Chiesa e al mondo, facciamo tesoro del suo esempio, impegnandoci a coltivare la sua stessa umiltà, che lo rese capace di parlare a tutti, specialmente ai piccoli e ai cosiddetti lontani”.
Fin qui l’Angelus domenicale di Benedetto XVI. Ma come non riflettere per un momento su una apparentemente coincidenza. Papa

Ratzinger ha pubblicato due Encicliche, sulla carità e sulla speranza, e siamo in attesa di leggere la prossima, sulla fede. Le riflessioni pronunciate nella seconda, terza e quarta udienza generale da Papa Luciani sono state proprio sulla fede, la speranza e la carità. Due Papi diversi per formazione e per eloquio, si sono trovati a riflettere subito su quelli che sono i principi, i fondamenti dell’essere cristiani, appunto la fede, la speranza e la carità: tre delle sette virtù, le lampade della santificazione, come le chiamata Giovanni XXIII.

Umiltà, fiducia e obbedienza, sono i cardini del breve pontificato di Luciani. Soprattutto la fiducia nel Signore, che spiega così, soffermandosi sul vertice a Camp David in quel settembre 1978 tra Carter, Sadat e Begin: “Sono stato molto ben impressionato dal fatto che i tre Presidenti abbiano voluto pubblicamente esprimere la loro speranza nel Signore con la preghiera. I fratelli di religione del presidente Sadat sono soliti dire così: C’è una notte nera, una pietra nera e sulla pietra una piccola formica; ma Dio la vede, non la dimentica”.

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