30 settembre 2008

Card. Bertone: "La politica ha bisogno del Cristianesimo" (Osservatore Romano)


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La politica ha bisogno del cristianesimo

Pubblichiamo quasi integralmente l'intervento del cardinale segretario di Stato all'incontro "Il secolo delle fedi" che si tiene il 30 settembre a Roma, a palazzo De Carolis, in occasione della presentazione dell'ultimo numero della rivista "Aspenia", periodico trimestrale di politica internazionale dell'Aspen Institute Italia.

di Tarcisio Bertone

Non sono mai stato d'accordo con chi sostiene che la politica sia inutile, perché promette di costruire ponti anche dove non passa il fiume! Sono convinto, invece, che la politica sia necessaria. Ma credo che, per comunicare valori autentici, debba rispettare il "ponte" che collega ciascuno di questi valori con Dio.
Pertanto, il primo punto su cui desidero attirare l'attenzione del qualificatissimo pubblico di quest'incontro è che i valori, di cui la politica si nutre, ben difficilmente possono essere rispettati vivendo etsi Deus non daretur. Nella distinzione dei ruoli, la politica ha bisogno della religione; quando, invece, Dio è ignorato, la capacità di rispettare il diritto e di riconoscere il bene comune comincia a svanire.
Lo attesta l'esito tragico di tutte le ideologie politiche, anche di segno opposto, e mi pare che lo confermi l'odierna crisi finanziaria. Laddove si ricerca solo il proprio profitto, a breve termine e quasi identificandolo con il bene, si finisce per annullare il profitto stesso.
Esiste certamente un'etica "laica", come spesso si dice, ossia non ispirata alla trascendenza. Essa merita attenzione, rispetto e sovente concorre al bene comune. Essa, però, rischia talvolta di assomigliare a quel tale che voleva uscire dalle sabbie mobili tirandosi per i capelli! In altre parole, non inspirandosi alla trascendenza finisce per essere più esposta alle fragilità umane ed al dubbio. Per questo motivo, nonostante nella nostra epoca si proclamino con particolare solennità i diritti inviolabili della persona, a queste nobili proclamazioni si contrappone spesso, nei fatti, una loro tragica negazione. Basti pensare alla povertà crescente, alla persistente imposizione di certi modelli culturali o economici, all'intolleranza.
In tale prospettiva, nel citato discorso il Santo Padre ha affermato: una "cultura meramente positivista che rimuovesse nel campo soggettivo come non scientifica la domanda circa Dio, sarebbe la capitolazione della ragione, la rinuncia alle sue possibilità più alte e quindi un tracollo dell'umanesimo, le cui conseguenze non potrebbero essere che gravi" (Incontro con il mondo della cultura al Collège des Bernardins, 12 settembre 2008).

In questa stessa linea, il Papa ha ricordato più volte che, se l'illuminismo era alla ricerca di fondamenti della morale validi etsi Deus non daretur, oggi dobbiamo invitare i nostri amici agnostici, anche quando si occupano della "cosa pubblica", ad aprirsi a una morale si Deus daretur. In assenza di un punto di riferimento assoluto, infatti, l'agire dell'uomo si perde nell'indeterminatezza e sovente finisce in balia delle forze del male.

Non bisogna poi dimenticare che, nelle odierne società multi-etniche e multi-confessionali, la religione costituisce un importante fattore di coesione fra i membri e la religione cristiana in particolare, con il suo universalismo, invita all'apertura, al dialogo ed all'armoniosa collaborazione.
Proseguendo nella riflessione, desidero aggiungere che la religione non è un rimedio, una sorta di "oppio" dei poveri. Nell'odierno mondo politico capita che questa convinzione si trovi tanto a destra come a sinistra. Non credo, invece, che il "ritorno a Dio" debba essere circoscritto a quelle società che stentano a decollare o a quelle che, al contrario, sembrano costrette a frenare.
All'origine della conversione di san Francesco, uno dei più grandi santi e dei più famosi italiani, non c'è una vita di stenti e di espedienti, quanto piuttosto di agi e di una certa dissolutezza. È vero che la ricchezza ed il benessere rappresentano anche una tentazione: quando è domenica e c'è il sole, chi ha una casa al mare ed una in montagna è tentato di andare là, piuttosto che in chiesa. Ma anche chi non le ha, spesso preferisce restare a dormire! Ciò che intendo dire è che, se la ricchezza o il potere costituiscono spesso una forte tentazione, perché è difficile gestirli senza attaccarvi il cuore, anche la povertà può spingere a fare a meno di Dio. In ogni modo, ricca o povera, influente o sconosciuta, ogni persona è fatta per Dio che non manca di seguirla e di attirarla a sé. Si ricordi il famoso assioma del grande sant'Agostino: "Ci hai fatti per te, e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in te" (Confessioni, i, 1, 1).
Facciamo un passo ulteriore. Desidero, cioè, sottolineare che, per gestire la globalizzazione, la politica non necessita soltanto di un'etica ispirata alla religione, ma ha bisogno che tale religione sia razionale. Anche per questo, la politica ha bisogno del cristianesimo.
Fin dai suoi albori, infatti, alla luce della sua originaria novità, il cristianesimo ha assunto, elaborato ed approfondito il meglio della sapienza greca e romana, presentandosi proprio come la vittoria del pensiero umano sul mondo delle religioni del tempo. Nel cristianesimo, in un certo senso, la razionalità è divenuta religione, perché Dio non ha respinto la conoscenza filosofica, ma la ha assunta. San Giustino, dopo aver studiato tutte le filosofie, aveva trovato nel cristianesimo la vera philosophia. Era cioè convinto che, diventando cristiano, non aveva rinnegato la filosofia; anzi, proprio allora era diventato pienamente filosofo.
La forza che ha trasformato il cristianesimo in una religione mondiale è consistita esattamente nella sua sintesi fra ragione, fede e vita. Questa combinazione, così potente da rendere vera la religione che la manifesta, è anche quella che può consentire alla verità del cristianesimo di risplendere nel mondo globalizzato e nel processo di mondializzazione.
A differenza di quanto sostengono alcuni politici e pensatori, il cristianesimo non si accontenta di mostrare la parte della faccia che Dio tiene rivolta verso l'Occidente, in quanto nella sua essenza esso è mondiale e, quindi, risponde perfettamente alle dinamiche dell'odierno mondo globalizzato. La fede cristiana, quindi, non è una specie di optional dell'Occidente, magari un po' superato, quanto piuttosto un tesoro per il mondo presente ed un investimento per quello futuro. Anzi, personalmente lo ritengo l'investimento migliore, perché è il più proficuo, quello che fruttifica per la terra e per il cielo!
Vale infine la pena di sottolineare che la fede cristiana e la razionalità secolare, consapevoli di essere alleate e protagoniste della cultura occidentale, potrebbero utilmente correlarsi con le altre grandi culture, nelle quali si identificano popolazioni anche più numerose di quella europea. Tale relazionalità, a sua volta, potrebbe aiutare a riscoprire o ad approfondire valori e norme presagiti da tutti gli uomini e consentire ad essi di conseguire nuova sorgente d'illuminazione e maggior forza operante. È evidente che tutto ciò aiuterebbe il compito specificamente politico d'indirizzo della globalizzazione.
È quindi del tutto opportuno, oltre che pienamente legittimo, che i cristiani partecipino al dibattito pubblico.
Altrimenti, argomenti e ragioni teiste e religiose non potrebbero essere invocati pubblicamente in una società democratica e liberale, mentre lo potrebbero gli argomenti razionalisti e secolari, con chiara violazione del criterio di eguaglianza e di reciprocità che sta alla base del concetto di giustizia politica.
La religione non è come il fumo, che si può tollerare in privato, ma che in pubblico deve essere sottoposto a strette limitazioni. Mi pare che questa consapevolezza si faccia strada nei dialoghi pubblicati sull'ultimo numero di "Aspenia", e ne sono particolarmente lieto, anche se riconosco che alcune considerazioni, di fatto, evocano ancora la convinzione contraria, un po' corrosa dal tempo e sfilacciata, ma che, come tutte le "bandiere", non è facile da "ammainare".
In ogni modo, "la Chiesa non può e non deve prendere nelle sue mani la battaglia politica per realizzare la società più giusta possibile. Non può e non deve mettersi al posto dello Stato. Ma non può e non deve restare ai margini nella lotta per la giustizia (Deus caritas est, 28).
Il cristianesimo conosce da sempre la distinzione fra la sfera religiosa e quella sociale e politica, in altre parole la sana laicità. L'ha scoperta addirittura prima dello stato. Infatti, molti dei primi cristiani furono martirizzati perché, pur insegnando il rispetto delle autorità civili, si rifiutavano di offrire incenso all'imperatore.
Nel suo recente discorso all'Eliseo, il 12 settembre corrente, il Santo Padre ha ricordato che "sul problema delle relazioni tra sfera politica e sfera religiosa Cristo aveva già offerto il criterio di fondo, in base al quale trovare una giusta soluzione. Lo fece quando, rispondendo ad una domanda che gli era stata posta, affermò: "Rendete a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio"" (Incontro con le Autorità dello Stato francese all'Elysée, 12 settembre 2008).
Consapevole di tale distinzione, il cristianesimo promuove valori che non si dovrebbe etichettare come "cattolici" e, quindi, "di parte", accettabili solo da chi condivide questa fede. La verità di quei valori, infatti, sta nella loro corrispondenza alla natura dell'uomo e, dunque, alla sua verità e dignità. Di conseguenza, chi li sostiene non ambisce un regime confessionale, ma è semplicemente consapevole che la legalità trova il suo ultimo radicamento nella moralità e che quest'ultima, per essere pienamente umana, non può che rispettare il messaggio proveniente dalla natura della persona, perché in essa è iscritto anche il suo "dover essere". Pertanto, quando la legge positiva è in armonia con la legge naturale, l'attività dell'individuo e della comunità rispetta la dignità umana ed i diritti fondamentali della persona e può evitare tutte quelle strumentalizzazioni che rendono l'uomo "miseramente schiavo del più forte", come ebbe a scrivere Giovanni Paolo ii nell'esortazione apostolica Christifideles laici (n. 5).
Solo nel rispetto di precise condizioni, il desiderio di giustizia e di pace che sta nel cuore di ogni uomo potrà trovare appagamento e gli uomini, da "sudditi", potranno diventare veri e propri "cittadini". In questa prospettiva, è ancora attuale la lezione del poeta francese Charles Péguy, per cui la democrazia o è morale o non è democrazia.
In regime di democrazia, rispettare posizioni diverse è doveroso; fare proprie o appoggiare scelte e decisioni inconciliabili con la natura umana, è però una contro-testimonianza alla dignità della persona. In politica si deve spesso scegliere la strada possibile, anziché quella migliore; occorre tuttavia il coraggio di non imboccare ogni sentiero solo perché teoricamente percorribile.
È questa la prospettiva in cui collocare i ripetuti appelli del Papa e di tanti esponenti ecclesiali, in favore dei cosiddetti "valori non negoziabili". Mi riferisco alla promozione della vita umana, dal suo concepimento fino alla fine naturale, alla tutela della famiglia fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna, all'educazione dei figli. La "non negoziabilità" di tali principi non dipende dalla Chiesa e dalla sua supposta intransigenza o, peggio, dalla sua chiusura mentale di fronte alla modernità; dipende, piuttosto, dalla natura umana stessa, a cui quei principi sono saldati. La natura umana non cambia con le maggioranze parlamentari e nemmeno con il passare del tempo, con il cambio di latitudine o di longitudine.
La frequenza degli interventi a tutela dei "valori non negoziabili" è determinata dall'assiduo riferimento a tali questioni nell'agenda politica odierna e dalla loro grande portata. Quando la politica cerca di sostituirsi alla natura dell'uomo, anziché difenderla, o quando il legittimo bilanciamento dei poteri e delle responsabilità dello Stato non viene rispettato ed in gioco c'è questa stessa natura, allora i pastori debbono intervenire: non per hobby o per prevaricazione; quanto, piuttosto, per difendere la dignità e, in ultima analisi, il bene della persona e della società, da manipolazioni facilmente presentate come liberazioni. Non si tratta, pertanto, di un'indebita ingerenza della Chiesa in un ambito che non le sarebbe proprio, ma di un aiuto per far crescere una coscienza retta ed illuminata e, perciò stesso, più libera e responsabile. Del resto, né la democrazia è la regola del "non disturbo", né la morale cattolica un utile instrumentum regni!
La Chiesa non insegue il plauso e la popolarità, perché Cristo la invia nel mondo "per servire" e non "per essere servita"; non vuole "vincere ad ogni costo", ma "convincere", o per lo meno "allertare" i fedeli e tutte le persone di buona volontà circa i rischi che corre l'uomo quando si allontana dalla verità su se stesso!

(©L'Osservatore Romano - 1 ottobre 2008)

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