17 maggio 2007

Aggiornamento della rassegna stampa del 17 maggio 2007 (1)


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Rassegna stampa del 17 maggio 2007


Monsignor Betori: Nichilismo e relativismo, i nuovi nemici della persona umana
Durante l'omelia nella Cattedrale di Gubbio per la Festa di Sant’Ubaldo

ROMA, mercoledì, 16 maggio 2007 (ZENIT.org).- I nuovi nemici che attentano alla persona umana e alla sua dignità sono il nichilismo e il relativismo, ha detto monsignor Giuseppe Betori, Segretario Generale della Conferenza Episcopale Italiana (CEI).

Le parole del presule sono risuonate durante l'omelia da lui pronunciata questo mercoledì nella Cattedrale di Gubbio, in occasione della Festa di Sant’Ubaldo, patrono della città, che come ogni anno è stata festeggiata con solenni riti religiosi e con la notissima “corsa dei ceri” fino al monte Ingino, dove dal 1194 sono custoditi i resti del santo.

Prendendo spunto dalla vita di Sant'Ubaldo, che difese Gubbio in diverse occasioni prima nel 1154 contro una coalizione di città umbre capeggiate da Perugia e poi nel 1155 contro l'esercito di Federico Barbarossa, monsignor Betori ha descritto i “nuovi nemici [che] tentano di espugnare le nostre città”.

“Questi nuovi nemici – ha detto il Vescovo – si chiamano il nichilismo e il relativismo, che in modo più o meno esplicito nutrono le tendenze egemoni nella nostra cultura”.

Parlando dei loro effetti nell'ambito della vita umana, monsignor Betori ha sottolineato che essi “fanno dell’embrione, l’essere umano più indifeso, un materiale disponibile per sperimentazioni mediche; danno copertura legale al crimine dell’aborto e si apprestano a farlo per le pratiche eutanasiche, infrangendo la sacralità dell’inizio e della fine della vita umana; introducono il concetto apparentemente innocuo di qualità della vita, che innesca l’emarginazione e la condanna dei più deboli e svantaggiati”.

Successivamente, il Vescovo ha parlato dei diversi risvolti sociali: “Coltivano sentimenti di arroganza e di violenza che fomentano le guerre e il terrorismo; delimitano gli spazi del riconoscimento dell’altro chiudendo all’accoglienza di chi è diverso per etnia, cultura e religione; negano possibilità di crescita per tutti mantenendo situazioni e strutture di ingiustizia sociale”.

E infine, da un punto di vista antropologico: “Oscurano la verità della dualità sessuale in nome di una improponibile libertà di autodeterminazione di sé; scardinano la natura stessa della famiglia fondata sul matrimonio di un uomo e di una donna”.

Monsignor Betori ha poi affermato che “occorre avere consapevolezza di questa battaglia in corso attorno alla persona umana e alla sua dignità e di quanto essa sia decisiva per il futuro della società, ma occorre anche riconoscere che può salvarci solo il riferimento al Dio creatore e alla sua legge scritta nei nostri cuori, e a noi rivelata in pienezza da Gesù che ci offre anche la grazia di adempierla”.

“Oggi siamo chiamati a discernere e giudicare il presente con gli occhi di Dio e a chiedere a tutti, credenti e non credenti, di fare altrettanto se vogliamo salvare il nostro futuro, a vivere tutti – come ci ha invitato Benedetto XVI – 'etsi Deus daretur', 'come se Dio esistesse', ribaltando l’ipotesi che ha retto il pensiero e l’agire della modernità, l’ 'etsi Deus non daretur', il 'come se dio non ci fosse' che ha prodotto i forni di Auschwitz e i gulag della Siberia”, ha aggiunto.

“Se vogliamo difendere il vero volto dell’uomo abbiamo bisogno di riscoprire il volto di Dio – ha quindi sottolineato –. E il volto di Dio è l’amore, come ci ha ricordato il Santo Padre nella sua enciclica Deus caritas est”.

“Non però l’amore debole che nasconde la verità, che crea ambiguità sotto il velo della falsa tolleranza, bensì quello esigente che non rinuncia a ferire per curare, a distinguere per poter allacciare ponti veri e non a voler rendere tutto fittiziamente omologo, a richiamare alla responsabilità senza indulgere in un buonismo alla fine perdente”, ha precisato.

“Questa visione alta della carità, che non rinuncia alla verità, ma proprio per questo è capace di generare progetti di novità di vita nella sfera individuale e in quella sociale, è ciò che è chiesto oggi ai cattolici”, ha proseguito.

“Da un siffatto progetto di rinnovamento spirituale, culturale e sociale può scaturire quel dominio sui dèmoni del nostro tempo”, ha infine concluso.

Zenit


«Eutanasia e aborto sono i nuovi nemici»

Il segretario della Cei: la battaglia è a tutela della persona Il richiamo al patrono di Gubbio che sfidò il Barbarossa

ROMA Il segretario generale della Cei, monsignor Giuseppe Betori, rilancia l'unica vera questione, decisiva «per il futuro della società»: «La battaglia in corso attorno alla persona umana e alla sua dignità». Lo ha fatto ieri a Gubbio, in cattedrale, nell'omelia pronunciata in occasione della festa di Sant'Ubaldo, vescovo e patrono della bella cittadina umbra, uomo premuroso, lo ha definito, «nell'impedire la caduta del suo popolo», quando fortificò la città contro l'assedio di Federico Barbarossa, tracciando il «segno di croce», cioè indicando «un itinerario di conversione» e rivolgendo una supplica a Dio. Betori ha spiegato che «c'è una forte esemplarità in questo episodio», anche «per la condizione odierna della nostra società». Infatti «solo il riferimento a Dio» e alla rivelazione di Gesù permette a tutti di «salvare il nostro futuro».
Ha ripreso una questione che in questi due anni di pontificato più volte Joseph Ratzinger ha posto non solo ai cattolici, ma a tutta la cultura, anche laica. E cioè se si può continuare a vivere come se Dio non esistesse. O, piuttosto, se non sia opportuno interrogarsi se non conviene vivere come se Dio esistesse. La domanda è fondamentale, a parere del segretario generale dei vescovi italiani, perché la prospettiva che ha fatto sparire Dio è quella che ha «retto il pensiero e l'agire della modernità» quando essa è scivolata nell'elaborazione di un'idea sull'uomo, che è arrivata a produrre «i forni di Auschwitz e i gulag della Siberia». È lo stesso concetto sviluppato da Benedetto XVI l'anno scorso in Polonia, nel memorabile discorso davanti al monumento dei caduti di Auschwitz, quando da una parte denunciò «l'abuso del nome di Dio per la giustificazione di una violenza cieca contro persone innocenti» e dall'altra rimarcò «il cinismo che non conosce Dio e che schernisce la fede in Lui». Betori osserva che oggi, come ai tempi di Sant'Ubaldo, chi non conosce Dio, chi vive come se Dio non esistesse, cerca di «espugnare le nostre città, di sovvertire il loro sereno ordinamento e di creare turbamento alla loro vita».
Usa la parola «nuovi nemici», il segretario della Cei: nichilismo e relativismo. Si tratta di sistemi di intendere la realtà e il suo futuro che «in modo più o meno esplicito nutrono le tendenze egemoni della nostra cultura». I danni che provocano sono assai pericolosi per la dignità dell'uomo. Betori li elenca a partire dall'embrione, «l'essere umano più indifeso», che diventa solo «materiale disponibile per sperimentazioni mediche». Poi passa all'aborto, «crimine», a cui nichilismo e relativismo danno copertura, così come ci si appresta a fare per le pratiche eutanasiche, «infrangendo la sacralità dell'inizio e della fine della vita», alla famiglia, scardinata nella sua natura di essere «fondata sul matrimonio di un uomo e di una donna» e alla «dualità sessuale», oscurata «in nome di una improponibile libertà di autodeterminazione di sé». Ma non ci sono solo le classiche questione etiche nel mirino di nichilismo e relativismo. Introducono il concetto di «qualità della vita», per cui chi non ci sta finisce nell'emarginazione, mentre i più deboli e indifesi sono condannati; restringono gli «spazi di riconoscimento dell'altro» lasciando fuori dall'accoglienza chi è «diverso per etnia, cultura e religione» e «negano possibilità di crescita per tutti, mantenendo situazioni e strutture di ingiustizia sociale».
Il ragionamento di Betori è ampio ed è sbagliato riferirlo solo alle polemiche sulle coppie di fatto e la legge sui Dico, come ieri alcuni commentatori a sinistra hanno fatto. Il segretario della Cei considera la dignità della persona umana nella sua interezza e osserva che oggi bisogna avere «consapevolezza della battaglia», che attorno ad essa si svolge e del fatto che tutto ciò accade anche perché si tende a nascondere il vero volto di Dio che è «amore». E qui spiega cos'è: non è «l'amore debole che nasconde la verità» e nemmeno quello che si cela sotto il «velo delle tolleranza», provocando «ambiguità». È quello «esigente che non rinuncia a ferire per curare, a distinguere per poter allacciare ponti veri», è quello che non vuole «rendere tutto fittiziamente omologo» o che indulge in «un buonismo alla fine perdente», perché non richiama «alla responsabilità». Insomma: è una visione «alta della carità» quella a cui i cattolici sono chiamati, secondo Betori, per «generare progetti di vita», individuale e sociale, e un «rinnovamento culturale» per dominare «sui dèmoni del nostro tempo».
Alberto Bobbio

L'Eco di Bergamo, 17 maggio 2007


«Nuovi nemici alle porte della Chiesa»

di GIORGIO ACQUAVIVA

UTILIZZA la figurazione della «città assediata» monsignor Giuseppe Betori, segretario generale della Cei, nel descrivere la situazione attuale della Chiesa. E i «nuovi nemici» sono identificati nel nichilismo e relativismo che cercano di sovvertirne l’ordine. Da qui le derive — attuali o potenziali — dell’aborto e dell’eutanasia, la sperimentazione sugli embrioni; e poi i rischi di uno scardinamento della famiglia e l’oscuramento della «verità della dualità sessuale» che tende a presentare l’omosessualità come scelta di «autodeterminazione».

PAROLE DURE per esprimere una linea tradizionale, a pochi giorni dall’apertura della cinquntasettesima Assemblea generale dei vescovi, la prima della gestione Bagnasco. L’occasione servirà fra l’altro a sperimentare il metodo «collegiale» promesso dall’arcivescovo di Genova e neopresidente Cei al momento del suo insediamento. Dovrà, dal dibattito in quella sede, emergere una linea complessiva della Conferenza episcopale, attualmente soggetta a diversi orientamenti, da Bagnasco a Ruini, da Betori al segretario di Stato Bertone. Perché l’immagine della «cittadella» non è l’unica con cui descrivere la presenza cristiana nella società.
C’è chi preferisce, infatti, parlare di «sale» o di «lievito» o di «lucerna». Il tema dell’Assemblea è impegnativo: «Gesù Cristo, unico salvatore del mondo: la Chiesa in missione, ad gentes e tra noi». Come dire che l’annuncio della Buona Notizia va portato nel mondo, ma va riproposto e ricalibrato anche a beneficio delle comunità ecclesiali, per una nuova missionarietà e testimonianza. C’è dentro tutto: dalle parrocchie ai movimenti, dagli indifferenti agli atei devoti, agli immigrati di varia e diversa cultura e fede. E’ previsto anche un importante discorso di papa Benedetto XVI.
Ieri, dunque, monsignor Betori ha pronunciato una omelia a Gubbio in occasione della festività di Sant’Ubaldo, il vescovo difensore del ruolo civile del cristianesimo, «premuroso nell’impedire la caduta del suo popolo, che fortificò la città contro un assedio», quello di Federico Barbarossa del 1155. «Oggi nuovi nemici tentato di espugnare le nostre città — ha detto — di sovvertire il loro sereno ordinamento, di creare turbamento alla loro vita e questi nuovi nemici si chiamano nichilismo e relativismo, che in modo più o meno esplicito nutrono le tendenze egemoni della nostra cultura».

E’ SEGUITA una dettagliata analisi dei pericoli incombenti: «Fanno dell’embrione, l’essere umano più indifeso, un materiale disponibile per le sperimentazioni mediche; danno copertura legale al crimine dell’aborto, e si apprestano a farlo per le pratiche eutanasiche, infrangendo la sacralità dell’inizio e della fine della vita umana». E ancora: «Oscurano la verità della dualità sessuale in nome di una improponibile libertà di autodeterminazione di sè; scardinano la natura stessa della famiglia fondata su matrimonio di un uomo e di una donna».
E Betori ha aggiunto che quei «nemici» introducono il concetto apparentemente innocuo di «qualità della vita» che innesca l’emarginazione e la condanna dei più deboli, coltivano sentimenti di arroganza e di violenza, che fomentano le guerre e il terrorismo, delimitano gli spazi del riconoscimento dell’altro chiudendo all’accoglienza di chi è diverso per etnia, cultura e religione; negano la possibilità di crescita per tutti mantenendo situazioni e strutture di ingiustizia sociale».

Quotidiano nazionale, 17 maggio 2007


La laicità apre la resa dei conti nel Pd

di Gianni Baget Bozzo

È cambiato qualcosa nei rapporti tra la Chiesa e la politica italiana con il Family day? Quello che è mutato è avvenuto nel rapporto che riguarda la sinistra, prima che in quello che concerne la destra.
La sinistra è cambiata man mano che in essa svanisce la memoria sia del Pci che del Psi di Craxi. La memoria comunista si fondava sul compromesso storico: ed esso fondamentalmente voleva dire riconoscere il ruolo della Chiesa nella guida dei rapporti che ricordavano la vita morale e sociale, specialmente la famiglia. Ma i cambiamenti della società avevano già indotto il Pci a cambiare rotta, appoggiando la linea radicale sia sulla questione del divorzio che dell’aborto.
Ora avviene l’ultimo passaggio, quello su cui è avvenuta la rottura, cioè la legge sulle coppie di fatto comprese quelle omosessuali. E la tradizione concordataria del Pci viene ora nei Ds messa da parte in riferimento al formarsi di un laicismo radicale all’interno dell’Unione europea e segnatamente del Parlamento europeo.
La linea dell’europeizzazione della sinistra postcomunista non passa per la Chiesa ma per la socialdemocrazia europea, tutta incline a fare materia di libero confronto i temi che riguardano la vita e il sesso.
Anche i socialisti italiani hanno, sulla medesima spinta europea, accettato la linea antiecclesiastica e sono di fatto confluiti con le posizioni radicali. La sinistra democratica, cioè il partito semi-nato dalla semi-scissione di Fabio Mussi, ha fatto dell’aggettivo «laico» il suo più prezioso distintivo, il più applaudito nell’assemblea di fondazione del nuovo movimento.
La linea filocattolica che risale al Pci viene meno man mano che sul piano europeo la linea anticattolica diviene un patrimonio della sinistra. Nonostante la dirigenza Ds cerchi l’intesa con i Popolari, essa non è sufficiente a ottenere un positivo rapporto con la Chiesa. Anzi, la divisione interna alla Margherita tra teodem e cattolici democratici mostra che la linea divisoria tra la linea della Chiesa e quella della sinistra passa all’interno dei popolari stessi. Tra la Binetti e la Bindi corre una differenza di principio di politica e i Dico e la Bindi sono la linea del Piave dei diessini, il Partito democratico può giungere soltanto attraverso la fine della sinistra democristiana come unità politica.
Ciò vuol dire che la politica laicista è ormai interna ai Ds e che essi debbono seguire, per giungere al Partito democratico, una resa dei conti con la componente cattolica che è ancora al loro interno.

Questo anche perché avviene, con Benedetto XVI, la fine di quella linea della Chiesa italiana disposta a cercare un’affinità culturale con la sinistra storica in nome del cambiamento sociale.
La questione morale e spirituale della famiglia sposta l’attenzione del mondo cattolico dal tema sociale a quello morale. Ciò fa della Chiesa di Benedetto XVI una figura diversa da quelle che l’hanno preceduta, in cui il nesso tra la progressione di fede e il cambiamento della storia erano in qualche modo divenuti solidali, anche nella Chiesa era entrato lo spirito di rivoluzione come più forte dello spirito di tradizione, l’identità con il cambiamento più fascinosa che la fedeltà alle radici. Il ritorno alla tradizione è la linea già implicita nel pontificato di Giovanni Paolo II, soprattutto per la spinta del cardinale Ratzinger del tutto condivisa dal Papa. Mentre da un lato nel mondo politico europeo gli anni passati hanno visto una componente anticattolica trovare spazio, anche in Europa con la vittoria della Merkel in Germania e di Sarkozy in Francia, un diverso spirito di tradizione sembra aleggiare sulla politica europea. E quindi a rafforzare la linea di difesa dell’identità e della tradizione, la linea del primato spirituale nella posizione del Pontificato che l’ha fatta propria da molto tempo. Questo muta oggettivamente i rapporti con la sinistra perché erode la memoria del compromesso con la Chiesa come principio politico e spinge la sinistra postcomunista verso le rive radicali, sia radicalsocialiste sia della sinistra antagonista.

Il Giornale, 17 maggio 2007

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