22 maggio 2007
Il Viaggio in Brasile: analisi
Vedi anche:
Rassegna stampa del 22 maggio 2007
Aggiornamento della rassegna stampa del 22 maggio 2007 (1)
Le infami accuse al Papa...aggiornamenti
VIAGGIO APOSTOLICO IN BRASILE (9-14 MAGGIO 2007)
I miti infranti dal Papa in Sud America
La teologia della liberazione aveva contaminato il cattolicesimo con il marxismo, favorendo la diffusione del protestantesimo: l’altolà di Benedetto XVI
GIANNI BAGET BOZZO
Il viaggio di Benedetto XVI in Brasile mostra con chiarezza la differenza da quelli che l’hanno preceduto, a cominciare da quello fondamentale di Medellín nel 1968 cui intervenne Paolo VI e che costituì il quadro ecclesiale in cui nacque la teologia della liberazione. Nel documento di Puebla del ’79 comparve il termine «strutture di peccato», singolare contaminazione tra il linguaggio del marxismo e una parola così significativa per il cattolicesimo come «peccato». Significava che la lotta politica contro il capitalismo americano faceva parte dei compiti ecclesiali.
Oltre l’impatto della teologia della liberazione, le dittature di destra che dominavano l’America Latina consentivano alla Chiesa di svolgere la tradizionale funzione di libertà e protezione verso i perseguitati o emarginati dalla repressione autoritaria. Tuttavia, l’impegno politico della Chiesa divenne forte: e la Chiesa brasiliana si pensò costruita sulle Comunità di base, in cui la mancanza del sacerdozio per lo scarso numero dei preti dava rilevanza all’azione dei laici. Questa struttura ecclesiale dava luogo a un’interpretazione che si chiamò di Chiesa popolare contro le strutture capitalistiche e autoritarie.
Ciò ha dato però luogo a un fenomeno opposto: la diffusione delle Chiese pentecostali ed evangeliche come guida della spiritualità popolare in un modo semplice. La lettura della scrittura, il canto, il carisma delle guarigioni, la fede nella Provvidenza erano i supporti sui quali, sul modello protestante, si poteva costruire una struttura ecclesiale, in cui l’immediatezza del sentimento religioso tradizionale costituiva il fondamento dell’esistenza cristiana, esigente sul piano morale come la cattolica. Mentre la Chiesa cattolica in Brasile e in America Latina si dedicava alla teologia politica, si produceva in quei Paesi una singolare rinascita cristiana in forma comunitaria, simile a quelle Usa in chiave protestante. Forse il fenomeno era inevitabile, ma certo l’assunzione della teologia politica come opera della Chiesa cattolica aprì lo spazio a queste nuove forme che hanno sottratto milioni di fedeli alla Chiesa di Roma. La teologia della liberazione finisce in Chávez e nell’indigenismo dei governi di Ecuador e Bolivia, ma è presente ovunque venga contestata la stessa radice della Chiesa in Sud America attorno alla conquista spagnola e all’ispanizzazione o portoghesizzazione delle culture indigene.
Benedetto XVI s’è trovato in Brasile di fronte al successo della predicazione spirituale, morale, tradizionale, fatta in chiave protestante e di fronte all’ultimo risultato d’una teologia della liberazione che è giunta nell’indigenismo alla liberazione più radicale: quella della colonizzazione ispano-portoghese fatta con la conquista territoriale. Di fronte a questa realtà, Benedetto ha espresso il suo messaggio spirituale. Ha demitizzato i termini di «strutture» come indicatori di realtà esteriori sia capitalistiche che marxistiche, facendo di queste ultime oggetto della specifica condanna e dichiarando che quello che il Cristianesimo annuncia si trova prima e oltre le strutture, incapaci in quanto strutture di contenere la radicalità dello spirito e della vita. Egli ha parlato alla Chiesa brasiliana come se ciò che era intercorso tra Medellín del ’68 ed Aparecide del 2007 fosse un periodo ormai chiuso e un terreno che non dava più frutti. Si vedrà nella conferenza di Aparecide come la Chiesa brasiliana risponderà a questo riassestamento sulle basi più proprie della tradizione cattolica.
La Stampa, 22 maggio 2007
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