4 maggio 2007
La bellezza della liturgia, la possibile liberalizzazione del Messale antico...
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Parla Malcolm Ranjith, il custode del Concilio voluto da Ratzinger: due messali in un'unica Chiesa
di Paolo Rodari
Se ne parla da mesi. Ma quando e se effettivamente Benedetto XVI renderà noto il Motu proprio che concederà ai sacerdoti che lo desiderano di celebrare - senza il previo consenso del vescovo - la messa con l’antico rito, quello di san Pio V, non è dato saperlo.
Di certo si sa che una parte della Chiesa, legata soprattutto ad alcuni esponenti dell’episcopato francese, non vede di buon occhio il ritorno della messa che il popolo chiama “in latino”, perché si darebbe troppo spago alle comunità tradizionaliste le quali, soprattutto Oltralpe, sono molto diffuse.
Altra cosa dagli scismatici lefebvriani i quali, tuttavia, sovente vengono a torto paragonati a coloro che nella Chiesa desiderano accostarsi all’eucaristia seguendo l’antico messale.
Eppure, lo dice al Riformista Albert Malcolm Ranjith (segretario della congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti), i due riti (quello attuale e quello antico di san Pio V) «possono benissimo coesistere» anche perché, come disse Ratzinger, «i due messali sono messali della Chiesa».
Era il 10 dicembre del 2005 quando Benedetto XVI, dopo la nomina avvenuta a circa un mese dalla sua elezione a pontefice dell’allora monsignore (oggi cardinale) William Joseph Levada quale suo successore alla guida del “ministero” vaticano che si occupa di custodire la dottrina della fede cattolica, decise di rendere pubblico il secondo tassello della sua morbida rivoluzione, ovvero un secondo nome da inserire all’interno della curia romana. Si trattava del nuovo segretario del “ministero” che si dedica di liturgia, e cioè il cingalese Albert Malcolm Ranjith, fino a quel momento a capo della diplomazia vaticana in Indonesia e Timor Orientale. Una nomina che mostrò il sommo interesse del papa per la liturgia, aspetto fondamentale per la Chiesa se è vero - come è vero - che lex orandi è lex credendi: ciò che si prega è ciò che si crede, né più né meno.
Ranjith venne evidentemente ritenuto dal papa l’uomo giusto al posto giusto, perché capace di coniugare le esigenze universali della Chiesa con quelle particolari avendo ampiamente dimostrato - negli anni in cui ha lavorato in Sri Lanka, in Vaticano come segretario aggiunto della congregazione per l’evangelizzazione dei popoli e in Indonesia quale nunzio apostolico - cosa significhi insegnare correttamente la liturgia alle culture diverse, anche le più lontane dal cattolicesimo.
Dopo gli anni d’oro dei grandi teologi maestri di liturgia (Guardini, Moglia, Lercaro, Schuster, papa Pio XII con i suoi scritti Mediator Dei e Mysticis Corporis), la Chiesa ha sovente subíto l’avvento di superficiali sperimentatori che, pur magari in buona fede, hanno messo in pratica veri e propri abusi che con la millenaria tradizione liturgica della Chiesa hanno avuto ben poco a che vedere.
E monsignor Ranjith è stato portato dal papa a Roma proprio per guardarli questi abusi e, nel tempo, sanarli.
È un lavoro che, per forza di cose, s’interseca con quello più ampio e allo stesso modo importante che va sotto il nome di corretta esegesi del concilio Vaticano II: perché è la corretta ermeneutica della riforma liturgica inaugurata dal concilio che nella seconda metà del secolo scorso è stata in parte disattesa o, comunque, non fino in fondo compresa.
«Per Benedetto XVI - spiega al Riformista Ranjith - i testi del concilio non sono qualcosa subentrato nella Chiesa ex novo, ma sono piuttosto parte dell’evoluzione teologico-pastorale continua della stessa Chiesa. Perciò parlare di una rottura con la tradizione passata è profondamente sbagliato. Il papa ha sempre mostrato, attraverso diverse iniziative pontificie e orientamenti offerti nei suoi scritti, omelie e discorsi, che la sua missione è quella di continuare la fedele implementazione di ciò che fu indicato dai lavori dello stesso concilio. Egli segue quindi la linea conciliare già intrapresa dai suoi predecessori. Come loro, anch’egli ha dovuto constatare le difficoltà scaturite dalle interpretazioni parziali date al concilio. Avendo partecipato al concilio come perito, credo che Ratzinger oggi sia rattristato per le interpretazioni parziali che, in alcuni circoli teologici e pastorali, vengono date degli orientamenti di quel grande evento ecclesiale».Non solo: «In un’intervista data a Vittorio Messori, l’allora cardinale Ratzinger diceva: “La mia diagnosi è che si tratti di un’autentica crisi che va curata e guarita… il concilio Vaticano II è una realtà da accettare in pieno… Oggi, poi, stiamo scoprendo la sua funzione ’profetica’: alcuni testi del Vaticano II al momento della loro proclamazione sembravano davvero in anticipo sui tempi che allora si vivevano. Sono venute poi rivoluzioni culturali e terremoti sociali che i Padri non potevano assolutamente prevedere ma che hanno mostrato come quelle loro risposte - allora anticipate - erano quelle che ci volevano in seguito. Ecco dunque che ritornare ai documenti è di particolare attualità: ci danno strumenti giusti per affrontare i problemi d’oggi. Siamo chiamati a ricostruire la Chiesa non malgrado, ma grazie al concilio vero”. A questo Concilio “vero”, stando ancora alla diagnosi del papa, “già durante le sedute e poi via via sempre di più nel periodo successivo si contrappose un sedicente spirito del Concilio che in realtà ne è un vero anti-spirito”. Ecco perché il papa è oggi per una vera implementazione degli orientamenti conciliari e perché sta orientando ancora più fermamente la Chiesa in questo senso».
La corretta interpretazione del Vaticano II non può che riguardare anche la liturgia. Da un po’ di mesi si parla dell’eventuale liberalizzazione dell’antico rito, quello di san Pio V, che prevede tra le altre cose la recita della messa usando la lingua latina.
Un’ipotesi, quella del “ritorno” dell’antico rito, che vede nella Chiesa molti vescovi, sacerdoti e fedeli a favore, altri contrari principalmente per il timore del crescere e del proliferare di comunità ultra tradizionaliste.
«Alcuni errori di veduta e un profondo senso di incomprensione su ciò che il concilio veramente auspicava per la Chiesa - spiega Ranjith -, hanno causato e continuano a causare in ambito liturgico molti abusi e oltraggi contro lo spirito sacro della prassi liturgica, con conseguenze drammatiche. Il papa è ben conscio di questo. La liturgia è quell’aspetto della vita ecclesiale che incide di più sulla fede e sulla prassi della fede: lex orandi, lex credendi et lex vivendi. È per queste ragioni che Benedetto XVI ha scritto tanti libri e articoli, ha parlato e continua a parlare della necessità di riscoprire un vero sensus liturgicus nella Chiesa. Partecipando ad un convegno liturgico, egli una volta disse: “Si dice che la liturgia riflette l’esperienza religiosa della comunità, e che la comunità è l’unico vero soggetto; così noi andiamo, in effetti, non solamente verso una frammentazione totale della liturgia, ma verso una distruzione della liturgia come tale, perché se la liturgia è solo il riflesso delle esperienze religiose della comunità, non comporta più la presenza del mistero. Ecco dunque il punto sul quale si deve fermamente resistere; si deve riscoprire la Chiesa - il corpo di Cristo - come il vero soggetto della liturgia. Quindi ci si deve rendere conto che con un’esegesi secolarizzata e una ermeneutica profondamente protestante e secolarizzata, non si possono trovare nel Nuovo Testamento i fondamenti della nostra fede; e che con la frammentazione della liturgia considerata come l’atto particolare delle comunità locali, si perde la Chiesa, e con la Chiesa la fede e il mistero. Si deve al contrario ritornare a un’esegesi radicata nella realtà vivente della Chiesa, della Chiesa di tutti i tempi - soprattutto della Chiesa dei Padri -, e anche quella del Medioevo. Si deve quindi anche ritrovare la realtà cultuale e il sacerdozio nel Nuovo Testamento e recuperare l’essenziale per la liturgia”. Recuperare e accentuare il vero senso ecclesiale dell’eucaristia era uno degli scopi principali del concilio e il papa insiste tanto su questo aspetto anche nell’Esortazione Apostolica Sacramentum Caritatis, un altro suo autorevole intervento a favore di una corretta interpretazione del Vaticano II, soprattutto laddove parla di liturgia».
Quanto alla liberalizzazione del rito di san Pio V, Ranjith non fa giri di parole: «Benedetto XVI - spiega -, da cardinale aveva espresso chiaramente il suo parere: “Personalmente ero dall’inizio a favore della libertà dell’uso continuo del vecchio messale, per una semplice ragione: la gente cominciava a parlare già di una rottura dalla Chiesa pre-conciliare e della formazione di modelli differenti di Chiese: una Chiesa pre-conciliare superata e una Chiesa nuova conciliare. Del resto adesso lo slogan dei lefebvristi è di affermare che ci sono due Chiese, la grande rottura essendo visibile per loro nell’esistenza di due messali che sarebbero in rottura fra di loro. Mi sembra essenziale e fondamentale riconoscere che i due messali sono messali della Chiesa, e della Chiesa che rimane sempre la stessa”. Credo che se il papa ora decidesse di permettere un più libero uso di questo messale, ciò non dovrebbe suscitare tanti problemi perché esso appartiene alla tradizione liturgica della Chiesa. Dell’unica Chiesa, anche perché, appunto, non ne esistono due. Difatti la Sacrosanctum Concilium non aveva decretato un accantonamento della messa precedente. Al contrario, aveva auspicato cambiamenti che in un certo senso dovevano crescere organicamente da forme già esistenti. E d’altronde, papa Giovanni Paolo II nell’Ecclesia Dei Adflicta del 1988, aveva chiesto ai vescovi di permettere l’uso di questo messale ai fedeli che lo volevano. La coesistenza dei due riti, tra l’altro, può aiutare sia una migliore comprensione del valore di quegli aspetti che accentuano il mistero, il sacro e il misticismo, sia l’adorazione inerente al sacrificio eucaristico e ancora quegli aspetti che aiutano la partecipazione fruttuosa e effettiva dei fedeli, come l’uso dei vernacoli, inculturazione e ciò che aiuta a far crescere il senso di fraternità e diaconia. Il papa, nel colloquio di Fontgombault, rifletteva: “Perciò, con grande sensibilità, una grande comprensione per le preoccupazioni e per le paure, in unione con i responsabili, si dovrebbe capire che questo messale è anche un messale della Chiesa e sotto l’autorità della Chiesa; che non è una cosa riservata del passato ma una realtà vivente nella Chiesa, molto rispettata nella sua identità e nella sua grandezza storica, ma anche considerata come una cosa vivente non come una cosa morta, una reliquia del passato. Tutta la liturgia della Chiesa è sempre una cosa vivente, una realtà che si trova sopra di noi, non sottomessa alla nostra volontà e alle nostre intenzioni arbitrarie”».
Correlato al tema della liturgia c’è quello dell’abito sacro: in particolare, la talare che i preti dovrebbero indossare tutti i giorni non viene più indossata da nessuno, quasi fosse un abito caduto in disuso. «Il sacerdote - dice Ranjith - è chiamato ad essere un Alter Christus che vivendo pienamente in mezzo al mondo, deve essere un segno visibile delle realtà eterne alle quali siamo tutti chiamati. Difatti questa verità si dovrebbe applicare a tutti i discepoli di Cristo, anche ai laici. Ma dato il fatto della loro speciale chiamata ad unirsi a Cristo intimamente e così diventare il riflesso qui fra i loro fratelli delle realtà eterne e divine, nonostante la loro fragile natura umana, devono anche nelle apparenze esterne, diventare simbolo di quelle realtà spirituali e soprannaturali. Il Direttorio per la vita e il ministero dei presbiteri al n. 66 dice: “In una società secolarizzata e tendenzialmente materialista, dove anche i segni esterni delle realtà sacre e soprannaturali tendono a scomparire, è particolarmente sentita la necessità che il presbitero - uomo di Dio, dispensatore dei suoi misteri - sia riconoscibile agli occhi della comunità, anche per l’abito che porta, come segno inequivocabile della sua dedizione e della sua identità di detentore di un ministero pubblico. Il presbitero deve essere riconoscibile anzitutto per il suo comportamento, ma anche per il suo vestire, in modo da rendere immediatamente percepibile ad ogni fedele, anzi ad ogni uomo, la sua identità e la sua appartenenza a Dio e alla Chiesa. Per questa ragione il chierico deve portare un abito ecclesiastico decoroso secondo le norme emanate dalla conferenza episcopale e secondo le legittime consuetudini locali. Ciò significa che tale abito, quando non è quello talare, deve essere diverso dalla maniera di vestire dei laici, e conforme alla dignità e alla sacralità del ministero”. Per quanto riguarda l’abito liturgico, allora la cosa è ancora più esigente perché il sacerdote celebra i sacramenti in nome di Cristo, sacerdote, capo della Chiesa; la comunità di quelli che già qui sulla terra sono chiamati a costruirsi la città celeste di Gerusalemme, quella eterna, e il popolo dell’Alleanza Nuova. Nella Sacramentum Caritatis il papa già parla della necessità di essere fedele alle norme dell’Istruzione Generale del Messale Romano, all’Ordine delle letture della Messa e dell’uso fedele dei paramenti liturgici. I paramenti liturgici sono, anch’essi, simboli delle realtà eterne e celesti che avvengono nelle celebrazioni liturgiche della Chiesa, le quali non sono ciò che la Chiesa o i celebranti individuali inventano o hanno il potere di inventare, ma sono quelle che vengono dati a loro. Perciò tali norme secondo ogni loro particolarità devono essere sempre eseguite con un gran senso di riverenza e obbedienza».
Dagli abiti del sacerdote al canto gregoriano, che nonostante il concilio l’abbia esplicitamente mantenuto all’interno della liturgia, il suo uso si è perso un po’ ovunque. «Il papa - dice Ranjith - seguendo la direzione data dalla Sacrosanctum Concilium, indica il canto gregoriano come “il canto proprio della liturgia romana”. Vuole che, come tale, sia “stimato e realizzato”. Nella Sacramentum Caritatis torna sull’argomento auspicando che “non si trascuri la possibilità che gli stessi fedeli siano educati a conoscere le più comuni preghiere in latino, come anche a cantare in gregoriano certe parti della liturgia”. Il concilio non aveva nessun dubbio sul valore di questa eredità importante della Chiesa quando disse: “Gli si riservi il posto principale”.
Rispetto all’interpretazione del concilio Vaticano II, ci sono differenze tra Benedetto XVI e Giovanni Paolo II? «Non credo - conclude Ranjith - che esistano delle differenze di interpretazione del concilio nei due papi. Sia Giovanni Paolo II che Benedetto XVI hanno partecipato ai lavori del concilio e hanno conosciuto bene la mente dei padri conciliari. Sono perciò rimasti fedeli allo spirito del concilio, quello autentico. Dico “quello autentico” perché molte cose che poi sono succedute nel suo nome non rispecchiavano questo spirito ma, come ha detto Benedetto XVI, “al vero concilio già durante le sedute e poi via via sempre di più nel periodo successivo si contrappose un sedicente spirito del concilio che in realtà ne è un vero anti-spirito”. Già papa Paolo VI si lamentava di ciò, dicendo che “il fumo di Satana era entrato nella Chiesa”. Anche Giovanni Paolo II voleva assicurare la fedele applicazione del concilio come una necessità per il rinnovamento vero della Chiesa. Perciò, non vedo tali differenze tra le due figure. Nella sostanza credo che tutti e due i pontefici vedano nel concilio degli orientamenti importanti per un risveglio di fede e testimonianza cristiana nella Chiesa».
Il Riformista, 3 maggio 2007
Francamente non vedo dove sia il problema.
Il Papa non desidera certo sostituire la Messa conciliare con quella tridentina. Semplicemente concedera' ai fedeli che lo desiderano (almeno 30) di poter assistere alla celebrazione secondo l'antico rito.
Come ho detto in altre occasioni, non si tratta di una chiusura (come il moderno Anticristo, nelle sue molteplici trasformazioni, vorrebbe farci credere), ma di una apertura verso le comunita' piu' tradizionaliste che amano la bellezza della liturgia. Dove sta il problema?
Si dice che l'episcopato francese e' in rivolta per il motu proprio papale. E perche'? Si teme di perdere i fedeli a vantaggio delle celebrazioni il latino? Ci si svegli, allora! Si abbandonino gli abusi liturgici e si pensi al nucleo della celebrazione: protagonista e' Cristo e non il sacerdote.
Caspita! Se i Francesi preferiscono la Messa tridentina ci sara' pure una ragione! Se, a Genova, la Messa preconciliare e' frequentatissima, ci sara' un motivo!
Io credo che il motu proprio sara' presto pubblicato. Quando? Beh, Papa Benedetto ci riserva sempre sorprese. Ricordate l'abolizione del Limbo? Il Papa doveva approvare la pubblicazione del testo della Commissione teologica alla fine del 2008 e invece...
E' un uomo libero, per questo "pericoloso" :-)
Raffaella
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6 commenti:
beh... da pastore e da amante della liturgia il problema più insidioso del ripristino dell'antico messale di pio v è di pura logica e di opportunità pastorale... ora nella chiesa c'è un solo messale (latino) perchè dovrebbero essercene due??? e poi perchè pio v sì e il gelasiano veronese no? qual è il criterio? soddisfare qualche manipolo di esaltati e di "ribelli" non accetta di essere in comunione con gli altri? d'altra parte l'uso di pio v è legato anche una critica teologica al messale attuale... che non è accettabile perchè una è la fede della chiesa che si esprime nella liturgia...
insomma benedetto xvi ha detto che bisogna mettere da parte i propri gusti personali quando si svolge un servizio come quello del romano pontefice... forse a ratzinger piacerebbe una "liberalizzazione" del messale di pio v, ma spero che benedetto xvi continui ad usare la saggezza pastorale mostrata finora
francesco
Ciao Francesco, deduco che non auspichi la convivenza dei due Messali. Nella diocesi di Milano abbiamo un rito diverso (quello ambrosiano) che e' diverso da quello romano. I meno attenti notano solo un particolare: lo scambio della pace si fa prima dell'offertorio e non prima della Comunione. In realta', spesso (soprattutto in Quaresima) cambia la scelta delle Letture e dello stesso Vangelo.
Perche',secondo te, non possono convivere piu' riti?
Ciao
Raffaella
Beh mi è sembrato capire che Francesco è sacerdote, allora mi stupisce ancor più che egli definisca "esaltati e ribelli" ,quei fedeli cattolici che desiderano celebrare la liturgia secondo un rito che non è mai stato soppresso e nel quale si sentono più a loro agio.
Conosco parecchi di quegli "esaltati" e posso affermare che sono persone tranquillissime, devote, e che da parecchi anni soffrono di essere così state messe in disparte, costrette sovente a celebrare la Santa Messa in luoghi non adatti ma che si riempiono della loro fede luminosa e viva .
Quale è il loro torto ? Quello di volere celebrare la liturgia in latino e con l`altare rivolto all`oriente e non verso i fedeli?
Perchè escludere persone sinceramente devote , che non fanno male a nessuno, che celebrano con grande rispetto e amore l`Eucaristia?
Di eccessi e derive liturgiche post-conciliari ve ne sono stati di innumerevoli, eccessi e derive che hanno contribuito a svuotare le chiese a allontanare i fedeli da liturgie che assomigliavano sovente più a un`auto-celebrazione comunitaria che a un memoriale della Passione di Cristo, celebrazioni con l`uomo al centro e non Gesù Cristo, dove l`orizzontalità della croce prevaleva e purtroppo sovente ancora prevale, sulla verticalità.
Allora laddove tutto è permesso perchè bisognerebbe proibire un messale che in realtà non è mai stato soppresso se questo permette a una minoranza di celebrare con fede, amore e rispetto la Divina Liturgia?
Consiglio a tutti di leggere il libro dell`allora cardinal Ratzinger "Lo spirito della liturgia .
carissima luisa
sì che son sacerdote ed è per questo che valuto il danno pastorale che un'estensione più larga della ecclesia dei - che già mi sembra troppo - produca...
il problema non è la devozione dei fedeli, nè questa retorica degli abusi post-conciliari (dove non si vede invece la immane ricchezza della liturgia attuale della chiesa)... il problema è che le basi delle pressioni di lobby tradizionaliste nella chiesa (il "fumo di satana" di montiniana memoria???) sono estranee alla comunione ecclesiale e alla vera devozione
penso che solo la santa sede sappia dei gravi problemi che i vescovi hanno nelle loro diocesi per questi gruppi ribelli e spesso esaltati...
si abbia cura, invece, di amare la liturgia attuale della chiesa che è la sintesi sapienziale di duemila anni di cammino e non la cristallizazione un po' atrefatta di qualche momento storico (com'è il messale di pio v)
il celebro con il messale attuale (qualche volta anche in latino) ed è una fonte inesauribile di teologia e di spiritualità... ho letto quello di pio v e, sinceramente, è molto molto meno ricco e significativo...
dimenticavo raffaella---
riti diversi nella chiesa sono possibili, perchè no? ma un rito con più messali mi pare strano... e comunque ripeto perchè pio v e non la divina liturgia di crisostomo? se dobbiamo rispolverare antichi riti allora ognuno si scelga il messale che gli piace più e celebri con quello... se poi ci sono gruppi di fedeli che non hanno mai smesso di celebrare secondo pio v, allora la "sanatoria" c'è già (la ecclesia dei)
insomma io vedo gente della mia età (che non ha mai celebrato nè partecipato alla "messa di pio v") o più giovane che parla di tradizione abbandonata... io direi: "ma che ne sai?" la mia tradizione abbandonata è la ricchezza magari un po' caotica della fine dei '70 e le ultime code degli '80... quella sì, una stagione troppo frettolosamente etichettata come sperimentalismo selvaggio ecc. c'era tanto di buono, mi pare... la voglia di bibbia, ad esempio, la ricerca teologica a livello di tutti... anche il papa attuale ha non poco contribuito a questo
secondo si tratta di ripartire dai movimenti di rinnovamento ecclesiale che hanno condotto alla bellezza del vaticano II (che risplende sempre più come il concilio che sintetizza i due millenni precedenti e apre la chiesa al terzo millennio)e non dalla loro negazione
Non ci son Santi...
La verità è che i maggiori oppositori sono proprio i sacerdoti e sapete perchè? Perchè con il N.O. possono "giostrarsi come vogliono. Con il rito preconciliare si sentono "inamidati"...
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