16 giugno 2007

Aggiornamento della rassegna stampa del 16 giugno 2007 (1)


Vedi anche:

Rassegna stampa del 16 giugno 2007

Papa Ratzinger concede udienza al Prof. Alberigo







La morte di Alberigo Fanti: «La città lo ricordi per la sua spinta ideale»

di RITA BARTOLOMEI

COSA mancherà di lui, del professor Giuseppe Alberigo? «Quello che già non c’è — riflette amaramente Guido Fanti —. Allora si era capaci di avere un rapporto tra persone di orientamento diverso, contando sugli ideali forti. Senza le contrapposizioni, nella ricerca di quel che si chiamava ‘il bene comune’». E’ stata un’amicizia durata una vita, quella tra il professore e l’ex sindaco. Quasi coetanei — Fanti ha un anno in più — si erano conosciuti all’inizio della loro esperienza. Uno era consigliere comunale, l’altro aveva mollato un lavoro molto ben remunerato nella sanità, in Lombardia, la sua terra, per seguire Dossetti e ricominciare da zero come ricercatore.
Nel ’52 la nascita dell’istituto di Scienze religiose «che ho cercato di valorizzare da sindaco», ricorda Fanti. Sorride, ripensando alla sede di San Vitale. «A destra — spiega — c’era la sezione Casoni del Pci, quella che poi si è spostata in via Belle Arti. A sinistra l’istituto di Dossetti e Alberigo. Diventò la base per la campagna elettorale del ’56». Allora maturò il legame.

L’ULTIMA volta hanno parlato ancora di Dossetti. E’ stato per il convegno di dicembre. Alberigo aveva invitato a parlare l’amico Fanti. Titolo dell’intervento: «Il peso di Dossetti sull’orientamento e sulla prassi del Pci». Nella bella casa di via Zamboni, tra tante foto, libri e ricordi, l’ex sindaco conserva anche una lettera che gli scrisse Dossetti, pronto a lasciare Bologna dopo la rimozione del cardinal Lercaro. Come un testamento spirituale. «Dossetti — ricorda Fanti — mi indicò il nuovo interlocutore. Per qualsiasi problema, mi scrisse, avrei potuto rivolgermi al professor Alberigo. Che rappresentava perfettamente il suo pensiero». Lui, ateo, ha parlato per tutta la vita con l’insigne studioso cattolico dei Concilii. «La città deve ricordarlo come merita — chiede —. Non solo per il lavoro portato avanti nel chiuso dell’istituto ma per quello che da lì è stato trasmesso. Non sono credente, ma questo nel rapporto con Alberigo non è mai stato un problema. Contava il sostegno dei grandi ideali. Abbiamo sempre cercato di trovare i punti in comune sul terreno del fare». Ricorda «tutta la fase di avvicinamento tra amministrazione e Curia. Contrasti feroci che vennero superati con Dossetti e poi con Alberigo. H continuato ad essere il mio punto di riferimento anche dopo, quando ho lasciato l’incarico di sindaco per fare il presidente della Regione e poi il parlamentare. E’ stata una fortuna avere un compagno di strada così. Uno che dava tutto se stesso e non si tirava mai indietro. Rifiutò solo incarichi politici. Ma perché diceva che il suo mestiere era un altro, era fare ricerca».

Quotidiano nazionale (Bologna), 16 giugno 2007


«Il gran rifiuto a Napolitano»

Paolo Pombeni rievoca il suo ‘professore’ e il dopo Concilio

HA CONTINUATO a chiamarlo «professore» per tutta la vita, dandogli del ‘lei’, anche quando era ormai un collega, a Scienze politiche. Paolo Pombeni, il politologo, incontrò Giuseppe Alberigo a vent’anni. Ricorda: «Ero un giovane militante del dissenso cattolico, venivo dal Trentino». Deciso a fare a tutti i costi quell’esame di Storia della Chiesa con lui, «anche se ero iscritto a Giurisprudenza. Passò la riforma, ci riuscii. Eravamo in due, in classe. Il suo corso affollato era l’altro, quello di Storia moderna. Questo era per appassionati. Lezioni molto hard, Alberigo era bravissimo come docente. Aveva grande cultura e capacità comunicativa. Molto rigoroso, mai stato un gigione. Era già il mio punto di riferimento. Il perché lo avrei studiato dopo. Il professore rappresentava questo centro bolognese che aveva fatto il Concilio. Il foyer intellettuale che aveva sostenuto l’ufficio studi di Dossetti, uno dei grandi registi occulti del Vaticano II. E proprio là, nei corridoi del Concilio, aveva conosciuto un giovanissimo Ratzinger».
POMBENI è cresciuto, a fianco di Alberigo. Con lui si è laureato, «una tesi di pura teologia. Anche se nel frattempo la mia militanza cattolica era diventata più passiva». Poi, borsista all’università, ha lavorato anche come ricercatore volontario all’istituto di Scienze religiose. Ricorda il gran rifiuto del prof quando Giorgio Napolitano, dirigente del Pci, gli propose di candidarsi al Senato come indipendente. «Ci chiamò tutti a casa sua — racconta Pombeni —. Aveva il culto del gruppo. A volte questo è stato anche un problema, per lui. Era un dramma se qualcuno si staccava. Quel giorno, ci chiese: cosa devo fare? Fui tra i pochi a dirgli: accetti. Allora propose al Pci di candidarlo nel collegio Bergamo 1, blindato per la Dc. Insomma voleva essere sicuro di perdere. Il partito gli rispose: non possiamo. Finì lì. Non ha mai voluto incarichi politici. Credo che ricordasse bene la lezione di Delio Cantimori, di cui era stato assistente. L’intellettuale, diceva, non doveva mettersi a far politica perché rischiava di perdersi».
NELL’80 le strade si separarono. Alberigo ‘rifondò’ l’istituto. Poi, tre anni fa, chiese a Pombeni di entrare nel consiglio scientifico della sua creatura, «ed ero quasi imbarazzato, perché non è la mia specialità». Eppure proprio all’inizio della sua carriera, da borsista, il politologo aveva studiato carte inedite dossettiane, trasmesse da Roma ad Alberigo, trovando «per caso», alla fine, tra le fotografie «un documento dattiloscritto di dieci pagine. Erano gli atti della prima assemblea di Civitas humana, la corrente di sinistra cristiana fondata da Dossetti nel ’46».

PER POMBENI, Alberigo ha avuto anche il merito di «rimettere le scienze religiose nel circuito delle università pubbliche. E ha tirato su un gruppo notevolissimo di ricercatori, guidando un centro che rappresenta un’eccellenza riconosciuta in tutto il mondo. Ha saputo rilanciare il problema della collegialità come momento fondamentale nel governo della Chiesa. Certo che ha perso anche tante battaglie. Ma non l’ho mai visto depresso. Era un uomo sereno».
Rita Bartolomei

Quotidiano nazionale (Bologna), 16 giugno 2007


Don Nicolini: «Le ultime ore con lui»

«PINO mi era tanto caro. Gli ho dato l’estrema unzione, qualche giorno fa. Angelina, sua moglie, mi ha detto: ho capito perché ha aspettato fino a questo momento, per andarsene. Ha aspettato madre Agnese. E’ la superiora della Piccola famiglia, la comunità fondata da Dossetti. Le ultime ore all’ospedale sono passate così, nella preghiera». Don Giovanni Nicolini, l’anima della chiesa dossettiana, concelebrerà il funerale del professor Giuseppe Alberigo, lunedì pomeriggio nella basilica dei santi Bartolomeo e Gaetano. Lombardi, entrambi. Un’amicizia nata quarant’anni fa, quando il padre arrivò a Bologna e a casa si preoccupavano: ma ti fanno dire Messa?
Don Nicolini ricorda il «contributo incommensurabile», che considera «ancora non percepito del tutto», dato dalla Chiesa di Bologna alla storia del Concilio Vaticano II, anche attraverso l’istituto per le Scienze religiose. «All’inizio — rammenta don Giovanni — sembrò un progetto fuori dal tempo. Il centro di documentazione iniziò la sua attività con la decisione di studiare la storia dei concilii della Chiesa. Così, quando iniziò il Vaticano II, Bologna era già partita. La struttura della proposta conciliare è partita da qui». Alberigo spesso andava a Messa alla Dozza, la domenica, con la moglie. «Si stava insieme, si chiacchierava», racconta don Giovanni. Che poi ripensa all’udienza privata concessa da papa Ratzinger, a marzo. Il professore donò al pontefice l’edizione critica dei Decreti dei concilii ecumenici. Tra i due, testimonia don Nicolini, «c’era un rapporto di stima e amicizia».
ri. ba.

Quotidiano nazionale (Bologna), 16 giugno 2007


Addio a Giuseppe Alberigo il partigiano del Concilio
Storico della Chiesa, si batté a fianco di Dossetti

di ACHILLE SCALABRIN

E’ MORTO l’ultimo ‘partigiano del Concilio’, protagonista laico di una stagione che ha segnato il volto della Chiesa e del mondo. Giuseppe Alberigo, storico della Chiesa di fama internazionale, si è spento a Bologna all’età di 81 anni, dopo aver dedicato gli ultimi quaranta alla ‘difesa’ di un evento la cui importanza si va sempre più confondendo nelle nebbie.
Nel capoluogo emiliano era giunto - questo giovane lombardo di belle speranze, allievo di Delio Cantimori e di Hubert Jedin - richiamato soprattutto dalla presenza di Giuseppe Dossetti, sulla cui scia muoverà il suo percorso intellettuale, fino a diventarne il più fedele allievo e aiuto. E’ a fianco del ‘padre costituente’ quando questi nel ’53 dà vita nella Bologna comunista all’Istituto per le scienze religiose, l’‘alta scuola dei dotti’ alla quale il futuro monaco di Monte Sole affida le sopravvissute speranze di rinnovamento culturale del cattolicesimo italiano. E’ a fianco a don Dossetti quando nel ’63 questi viene nominato segretario dei quattro moderatori del Vaticano II - il bolognese card. Lercaro, Agagianian, Dopfner, Suenens -, al cui lavoro contribuirà con proposte e stimoli determinanti, provenienti dall’«officina bolognese». Ed è «lo spirito del Concilio» che impronterà la vita e l’opera di questo intellettuale dolce e intransigente, al punto di sfidare, con ragionamenti di matrice evangelica, la Curia romana e ogni sua manovra di ridimensionamento di quell’evento storico.

LA NECESSITÀ di un rinnovamento della Chiesa è ben chiara ad Alberigo già negli anni Cinquanta, quando nell’Istituto di via San Vitale 114 (di cui è stato la guida onnipresente) metterà le sue energie al servizio di un dibattito storico e culturale che vedrà via via coinvolti tra gli altri, e sotto la supervisione di Dossetti, Delio Cantimori, Augusto Del Noce, Paolo Prodi, Gabriella Zarri. Il papato di Pio XII è quanto di più lontano possano desiderare. Rivelerà lo stesso Alberigo molti anni dopo in un’intervista che nel ’53 un monaco benedettino «pio e assai famoso», in quei giorni ospite a casa sua, lo invita a pregare per la morte del papa - avvenuta cinque anni dopo - con queste parole: «Ora il Santo Padre è un peso per la Chiesa, preghiamo perché il Signore se lo prenda presto». Le speranze occupano l’animo di questi cattolici inquieti con l’arrivo al Soglio pontificio di Giovanni XXIII e con l’annuncio del Vaticano II. Tra il ’58 e il ’63 il riformismo è il nuovo sigillo che segna le pagine più importanti, infrangendo resistenze e paure. I lavori si chiudono nel ’65, due anni dopo l’elezione di Paolo VI.

A CAVALLO tra l’Italia contadina e quella industriale, alla vigilia del Sessantotto e dei suoi rivoluzionamenti, è dal Concilio che una schiera sempre più ampia di fedeli attinge ispirazioni e conferme. La sacramentalità della consacrazione episcopale, la collegialità, il diaconato, le nuove relazioni tra la Chiesa e il popolo ebraico, l’universalismo che si sostituisce all’eurocentrismo - idee su cui il contributo di Dossetti e dei suoi allievi è stato importante - sono lì a rendere «attuale la speranza e l’ottimismo del Vangelo». Il Vaticano II, nella lettura che ne dà Alberigo, va letto come una rottura e un nuovo inizio. Quasi un passaggio di frontiera. Ma ben presto i ‘bolognesi’ e quanti si ispirano a questa lettura, devono a malincuore rendersi conto che l’evento «si è concluso troppo presto», per usare parole di Dossetti. La possibilità di un costume nuovo, di uno spirito nuovo, di un’anima nuova nella Chiesa evapora velocemente. Prova ne è anche la «liquidazione» del card. Lercaro da parte di papa Montini, perché reo di essersi mosso contro la guerra in Vietnam e, secondo molti, di aver accettato la cittadinanza onoraria di Bologna dalle mani del sindaco comunista Fanti.

NEI CINQUE volumi in cui tra il 1995 e il 2001 Giuseppe Alberigo, con l’apporto di studiosi di varie provenienze, racchiude la «Storia del Concilio Vaticano II» (la più consultata nel mondo) c’è tutta l’interpretazione cara ai cattolici democratici e meno alla Curia romana. Non è un caso che l’opera sia stata paragonata dal card. Camillo Ruini, allora presidente della Cei, a quella di fra’ Paolo Sarpi sul Concilio di Trento, messa all’indice dei libri proibiti. E non è un caso che a fronte di oltre duecento recensioni favorevoli in tutto il mondo spicchino quattro stroncature dell’Osservatore romano.

MA L’AUTOREVOLEZZA di Alberigo è sempre stata tale da consentirgli di tenere rapporti a 360 gradi con le gerarchie cattoliche e vaticane, di sfidarle sul piano delle idee e delle interpretazioni. Ha avuto frequentazioni con quattro papi, da Roncalli a Montini, da Wojtyla a Ratzinger, ma senza paura di esprimere in pubblico i suoi dissensi. Con quest’ultimo, allora teologo di punta, collaborò ai tempi del Vaticano II ma non mancò poi di imputargli «la massima resistenza agli impulsi conciliari» quand’era a capo della Congregazione per la Dottrina della Fede. Nel marzo del 2007 il contrasto si è fatto più aspro sulle convivenze di fatto. Alberigo scongiurò la Cei di non redigere il documento di ’scomunica’ sui Dico. Parole durissime, quelle usate del professore bolognese nel suo appello, che accusava la Chiesa italiana di subire «un’immeritata involuzione», tale da far ricadere l’Italia «nella deprecata condizione di conflitto tra la condizione di credente e quella di cittadino». Insomma ai tempi del «non expedit». E supplicava (inutilmente) ai Pastori di «evitare tanta sciagura». Il cattolico conciliare Alberigo vedeva in questa Italia del XXI secolo un «residuo dello Stato Pontificio» in cui la Chiesa «si è ridotta ad essere un partito politico», e la Cei «una caserma» in cui vige «il bisogno del nemico», che dopo la caduta del comunismo è diventato «la cultura e la società laica, la modernità».

UN PUNGOLO, ecco cosa è stato questo storico della Chiesa. Uno spirito guerriero alieno alle crociate, un cattolico liberale predisposto al dialogo, dentro e fuori la comunità cristiana. All’indomani dell’11 settembre, in un’intervista ci diceva coraggiosamente quanto pericoloso fosse «vedere i rapporti con l’Islam solo come conflittuali», e rimandava ancora una volta a Giovanni XXIII per il quale «è sempre molto di più ciò che unisce da ciò che divide».
Anche per questo Alberigo lascia un vuoto che non sarà facile colmare. Tra i credenti come tra i laici.

Quotidiano nazionale, 16 giugno 2007

Avevo gia' sentito la storia del monaco benedettino che invitava a pregare per la morte del grande Papa Pio XII.
Non dico nulla, soprattutto nei confronti di un religioso cosi' poco "religioso". Mi limito a citare alcune parole dell'allora cardinale Ratzinger
:

MEDITAZIONE

Che cosa può dirci la terza caduta di Gesù sotto il peso della croce? Forse ci fa pensare alla caduta dell’uomo in generale, all’allontanamento di molti da Cristo, alla deriva verso un secolarismo senza Dio. Ma non dobbiamo pensare anche a quanto Cristo debba soffrire nella sua stessa Chiesa? A quante volte si abusa del santo sacramento della sua presenza, in quale vuoto e cattiveria del cuore spesso egli entra! Quante volte celebriamo soltanto noi stessi senza neanche renderci conto di lui! Quante volte la sua Parola viene distorta e abusata! Quanta poca fede c’è in tante teorie, quante parole vuote! Quanta sporcizia c’è nella Chiesa, e proprio anche tra coloro che, nel sacerdozio, dovrebbero appartenere completamente a lui! Quanta superbia, quanta autosufficienza! Quanto poco rispettiamo il sacramento della riconciliazione, nel quale egli ci aspetta, per rialzarci dalle nostre cadute! Tutto ciò è presente nella sua passione. Il tradimento dei discepoli, la ricezione indegna del suo Corpo e del suo Sangue è certamente il più grande dolore del Redentore, quello che gli trafigge il cuore. Non ci rimane altro che rivolgergli, dal più profondo dell’animo, il grido: Kyrie, eleison – Signore, salvaci (cfr. Mt 8, 25).

PREGHIERA

Signore, spesso la tua Chiesa ci sembra una barca che sta per affondare, una barca che fa acqua da tutte le parti. E anche nel tuo campo di grano vediamo più zizzania che grano. La veste e il volto così sporchi della tua Chiesa ci sgomentano. Ma siamo noi stessi a sporcarli! Siamo noi stessi a tradirti ogni volta, dopo tutte le nostre grandi parole, i nostri grandi gesti. Abbi pietà della tua Chiesa: anche all’interno di essa, Adamo cade sempre di nuovo. Con la nostra caduta ti trasciniamo a terra, e Satana se la ride, perché spera che non riuscirai più a rialzarti da quella caduta; spera che tu, essendo stato trascinato nella caduta della tua Chiesa, rimarrai per terra sconfitto. Tu, però, ti rialzerai. Ti sei rialzato, sei risorto e puoi rialzare anche noi. Salva e santifica la tua Chiesa. Salva e santifica tutti noi.

Via Crucis, 2005, Nona stazione. Meditazione e preghiera del cardinale Joseph Ratzinger...

Quanto sono vere le parole di Papa Benedetto, quanto valgono ancora oggi, quanto valevano gia' negli anni 50...
Raffaella

6 commenti:

francesco ha detto...

cara raffaella
le parole del cardinale ratzinger certamente non si applicano al benedettino di cui accenna l'articolo, ma a chi nella chiesa desta scandalo e non favorisce l'azione della grazia
magari ci fossero persone che abbiano la franchezza del benedettino che sa riconoscere le debolezze della chiesa e le guarda con serenità
purtroppo questa franchezza evangelica oggi sembra una delle qualità che mancano e di cui invece il papa, da vero uomo del concilio, è un vero campione
secondo me ratzinger negli anni '50 avrà pensato anche lui che gli ultimi anni di pio xii erano difficili e pesanti per la vita della chiesa...
francesco

Anonimo ha detto...

Non credo proprio che il Papa possa avere pensato una cosa del genere, anzi ne sono sicura...
Pregare per la morte di qualcuno e' decisamente aberrante. Se poi queste parole vengono da un religioso...
Ciao
Raffaella

Luisa ha detto...

Chiamare franchezza evangelica il comportamento del benedettino che domanda con la preghiera la morte di un Papa mi sembra un abuso di linguaggio che mi lascia senza parole!!
O allora non ho capito niente al messaggio evangelico !
Ma se ho ben recepito il messaggio d`amore di Gesù, il comportamento del benedettino mi sembra esserne agli antipodi !
E anche se non pretendo sapere che cosa ha potuto pensare il cardinal Ratzinger negli
anni `50, mi sento abbastanza sicura per dire che un pensiero di quel genere non ha potuto nemmeno sfiorare l`uomo di Dio ch egli era ed è !

euge ha detto...

Cara Raffaella certo che trovo non solo aberrante ma, contro qualsiasi insegnamento e amore cristiano che un religioso inviti a pregare per la morte del Papa. Sono cose da far accapponare la pelle!!!!!!!!!!!!! E non si può definire di certo freschezza evangelica un tale invito ed espressione perchè se coì fosse vuol dire che del vangelo e dei suoi insiegnamenti non si è capito nulla; non si può neanche giustificare un simile comportamento neanche in un periodo pesante come quello di Pio XII a me hanno sempre insegnato a pregare e rispettare il Papa qualunque esso sia principalmente per ciò che rappresenta Poi vorrei anche far notare che sempre si è sostenuto che l'elezione di un papa chiunque esso sia vine guidata nel cocnlave dallo Spirito Santo o devo credere che è una barzelletta anche questa???????????????? Allora, qualcuno mi può spiegare come un benedettino anche famoso nella sua " freschezza evangelica" ne sa addirittura più dello Spirito Santo tanto da esortare un uomo a pregare per la morte di un papa??????????? mi sembra che qui si stia arrivando all'incomprensibile ed all'assurdo. Per me la meditazione che riporti di seguito cara Raffaella calza eccome anche per quel periodo.
Sempre con Benedetto XVI - Eugenia

francesco ha detto...

mi spiace che la difesa delle proprie idee accechi le considerazioni riguardo agli altri e porti troppo facilmente al giudizio temerario... l'espressione del padre benedettino è da intendersi all'interno di un colloquio amicale e intesa come la sottolineatura di un momento difficile e pesante della chiesa aggravato da un papa ammalato (basta pensare anche agli ultimi anni di gpii)... le espressioni dell'allora cardinale ratzinger si riferivano chiaramente ad abusi di tipo pastorale e a gravi scandali morali nel clero...
augurare poi la morte a qualcuno per un cristiano non è una cosa cattiva, anzi!!! può esprimere il desiderio che la persona non soffra più o che raggiunga al più presto la patria del cielo...
francesco

euge ha detto...

Fino a prova contraria non c'è scritto da nessuna parte che augurare la morte a qualcuno sia addirittura approvato dal punto di vista evangelico; questa mi sembra una grsossa stupidaggine visto che da sempre il cristiano in genere e la chiesa tutta sono per la difesa della vita dal suo concepimento fino alla sua naturale fine!!!!!!!!! Allora se la mettiamo su questo punto punto, la chiesa potrebbe tranquillamente accettare l'eutanasia e l'aborto ma, se andiamo a leggere l'enciclica di Giovanni Paolo II, Evangelium Vitae ci si accorge che è una difesa totale della vita umana fino alla fine!!!!!!!! Personalmente se qualcuno fosse venuto da me soprattutto se religioso e durante la malattia di Giovanni Paolo II mi avesse chiesto di pregare perchè il Papa morisse beh............ minimo mi sarei chiesta se avesse fatto la scelta giusta a farsi prete, benedettinoo quant'altro e se avesse capito fino in fondo il senso che la vita ha per il vangelo. Ribadisco al di la di ogni interpretazione che si vuol dare rigirando la frittatat a proprio comodo, che già il fatto che qualcuno preghi per la morte di un essere umano è aberrante e direi delirante!!!!!!!!!!!!!!! Molte volte ho sentito dire da qualcuno è meglio che Dio lo chiami a se ma, questo Dio non lo vuole se non sbaglio la sacralità della vita è sacrosanta altrimenti ripeto sarebbe giustificato qualsiasi soluzione che provoca artificialmente la morte di un essere umano!!!!!!!!!!!!!!
Ciao Eugenia