16 giugno 2007

Rassegna stampa del 16 giugno 2007


Vedi anche:

Papa Ratzinger concede udienza al Prof. Alberigo

Aggiornamento della rassegna stampa del 28 maggio 2007 (1)

(nella foto il Papa con il prof. Alberigo durante l'udienza privata di febbraio)

Cari amici, iniziamo la lettura della vasta rassegna stampa odierna con gli articoli e gli editoriali relativi alla scomparsa del Prof. Alberigo. Ho inserito alcuni link ad articoli che trattano del rapporto fra Alberigo, il Papa e la Chiesa.
Raffaella


ALBERIGO La leggenda del Papa progressista

di Andrea Tornielli

È morto a Bologna lo storico Giuseppe Alberigo. Aveva 81 anni e dirigeva la cosiddetta «officina bolognese» che, sotto la guida di Giuseppe Dossetti, ha orientato negli ultimi decenni molta della storiografia dedicata al Concilio ecumenico Vaticano II.

Nella vita di Alberigo, all’epoca poco più che trentenne, irrompe l’evento del Concilio, convocato da un Papa anziano che tutti credevano di transizione, Giovanni XXIII. Il giovane assistente universitario, destinato a prendere le redini del futuro Istituto per le scienze religiose di Bologna, è uno stretto collaboratore del cardinale Giacomo Lercaro, arcivescovo della città felsinea. È grazie al porporato che Dossetti, già deputato alla Costituente e vicesegretario della Dc, fattosi nel frattempo monaco, partecipa al Concilio - in qualità di segretario dei quattro cardinali moderatori, uno dei quali è lo stesso Lercaro - e Alberigo lo segue, collaborando alla piccola task force progressista. Il ruolo propositivo e influente di Dossetti e del suo gruppo è destinato a non durare molto, perché il nuovo Papa, Paolo VI, non apprezza particolarmente i suoi contributi e le proposte di regolamento dei lavori dell’assise in quanto, accettandoli, c’era il rischio di «trasformare il Concilio in un’assemblea parlamentare». Ma non c’è dubbio che proprio la linea interpretativa portata avanti dall’«officina bolognese» di Dossetti e Alberigo, che vede nel Vaticano II un evento epocale di rottura nella storia della Chiesa, una specie di Costituente mai chiusa, risulta vincente dal punto di vista accademico e più in generale culturale e mediatico.

Alberigo coordina un grande e approfondito lavoro storico sul Concilio Vaticano II, una storia in cinque corposi volumi, ma promuove e dirige molte altre pubblicazioni sulla storia recente della Chiesa. Si deve a lui, e alla sua scuola, la creazione del mito di Giovanni XXIII come campione del progressismo cattolico. Alberigo dimentica i tanti aspetti tradizionali dell’anziano pontefice bergamasco, il quale era sì un coraggioso innovatore, ma non certamente un rivoluzionario. Dai volumi dello storico e della sua scuola, che partecipa attivamente alla stesura della Positio per la beatificazione di Papa Roncalli, esce dunque una figura di Giovanni XXIII non sempre corrispondente alla realtà dei fatti, dei documenti, delle decisioni prese.

La simpatia per Roncalli si accompagna a una certa diffidenza per il suo successore (sotto molti punti di vista, invece, più moderno e riformatore): dai volumi sulla storia del Concilio, infatti, emerge un Paolo VI amletico e vittima della «minoranza conservatrice», condizionato dalla Curia romana. È certo che Dossetti e Alberigo, per il conclave del giugno 1963 che si celebra alla morte di Papa Giovanni, avessero riposto tutte le loro speranze nella candidatura di Lercaro. Ma è Montini a essere eletto. La scuola bolognese imputa a Paolo VI di avere in qualche modo affossato le spinte e le aperture del Concilio, di avergli tarpato le ali, di essersi chiuso sotto la spinta predominante dell’ala conservatrice della Curia. Emerge qui, in questa interpretazione, un altro degli assiomi che attraversano il lavoro storico di Alberigo e dei suoi collaboratori: la dialettica Papa-Curia vede sempre con occhio negativo la seconda, dipinta come elemento frenante. Finendo, nel caso di Paolo VI, per dipingere il Pontefice come debole, quando invece è ben documentato come la difesa costante del depositum fidei di fronte a certe proposte dell’ala progressista conciliare, e poi contro le sbavature e gli abusi della tempesta post-conciliare, fossero iniziative personali di Papa Montini.

Si rifanno alla scuola di Alberigo coloro che arrivano a contrapporre un non meglio definito «spirito del Concilio» alla sua lettera, finendo per dimenticare ciò che nei testi del Vaticano II è scritto. Lo scorso febbraio, poche settimane prima di essere colpito dalla malattia, Alberigo ha incontrato Benedetto XVI, al quale ha presentato la sua ultima fatica, il primo dei quattro volumi che raccolgono i testi critici dei decreti conciliari della storia della Chiesa. Un’iniziativa che, come peraltro i volumi sulla storia del Vaticano II, è stata oggetto di critiche da parte dell’Osservatore Romano. Proprio Papa Ratzinger - che sarebbe intenzionato a lasciare le sue carte alla scuola bolognese - nell’importante discorso alla Curia alla vigilia del Natale 2005 ha preso le distanze dall’ermeneutica del Concilio Vaticano II affermatasi in questi anni, definendo quella «della discontinuità e della rottura» come un’interpretazione che ha «causato confusione».

Non si può però fare a meno di osservare che all’«officina bolognese», che pure ha goduto di accessi privilegiati alle carte e ai documenti, altre scuole di pensiero non sono state in grado di contrapporre altrettanto approfonditi e completi studi storici. L’erede naturale di Alberigo, continuatore della sua linea di pensiero, è lo storico Alberto Melloni, editoralista del Corriere della Sera, principale fautore dell’«ermeneutica della rottura» in particolare fra i pontificati di Pio XII e di Giovanni XXIII.

Il Giornale, 16 giugno 2007


Alberigo coscienza dei Papi

FRANCO GARELLI

La scomparsa a ottantun anni dello storico Giuseppe Alberigo, a seguito di un ictus che l’ha colpito di recente, priva certamente il mondo della cultura e del cattolicesimo italiano di un protagonista di rilievo. Il suo nome sarà sempre legato alla mitica figura di Giuseppe Dossetti, di cui è stato allievo, e alla straordinaria esperienza di studio e di riflessione laicale che è l’Istituto per le Scienze religiose di Bologna, che Alberigo ha ereditato dallo stesso Dossetti e che ha ampiamente sviluppato nel tempo, portandolo a essere un centro di ricerca scientifica di valore internazionale.

Alberigo non era un uomo facile o accomodante, e non solo per il forte temperamento che aveva. In lui il carattere deciso che permette ai leader di realizzare grandi imprese combaciava con l’idea di avere un’alta missione da compiere, ereditata dal suo maestro Dossetti. Oltre a ciò, come i grandi maestri universitari del passato, Alberigo ha sempre interpretato il suo ruolo in termini quasi sacrali, secondo uno stile austero ed esigente prima ancora con se stesso che con i suoi collaboratori.

Non mancano i riflessi di questi tratti biografici anche nella storiografia promossa da questo studioso. C’è chi parla al riguardo di una storia impegnata o «a tesi», tipica di chi - per stare ai temi cari di Alberigo - ha una forte passione per la riforma della Chiesa e cerca con il suo lavoro di costituire le basi per attuarla. Questa visione delle cose si riscontra indubbiamente nella più grande opera che Alberigo ha diretto e su cui è stato maggiormente impegnato il suo gruppo bolognese: una storia del Concilio Vaticano II in cinque volumi e tradotta in numerose lingue. Si tratta di uno dei lavori più letti e consultati sull’argomento, che individua la novità del Vaticano II nella rottura con la tradizione e nell’essere stato più un evento dello Spirito (ancorché «tradito» in seguito) che una produzione di norme e di documenti. Proprio per il suo carattere dirompente, questa interpretazione del Concilio - pur da molti accettata - è stata di recente messa in discussione dai vertici della Chiesa italiana, con il cardinal Ruini che l’ha definita come «debolissima e senza appiglio reale nel corpo della Chiesa».

La Chiesa ufficiale (anche quella di Bologna) ha via via sempre più guardato con cautela a uno studioso che non ha mai disgiunto il suo impegno di ricerca da quello della presenza pubblica. In momenti decisivi della storia ecclesiale italiana, Alberigo non ha mancato di far sentire alta la sua voce, richiamando i valori della laicità, del pluralismo religioso e della corresponsabilità nella Chiesa. A più riprese ha apprezzato, ad esempio, le molte aperture che hanno caratterizzato il pontificato di Giovanni Paolo II (come l’impegno per la pace, i mea culpa della Chiesa), anche se tra i punti di debolezza ha rilevato un’eccessiva personalizzazione della chiesa nella figura del Papa, l’eccesso di abbraccio con le folle, un orientamento troppo eurocentrico. Anche sul ruolo di Ratzinger nella Curia romana il suo giudizio era articolato, come quando affermava che il prelato tedesco da cardinale ha spesso contraddetto il teologo. Il sogno di Alberigo era comunque per un Papa che fosse un Padre non nel senso del paternalismo ma della «forza»; capace di interpretare una paternità spirituale profonda; che «certamente sia il custode delle certezze della fede, ma anche si senta in cammino e in ricerca». L’ultima presa di posizione pubblica di Alberigo è avvenuta sulla recente battaglia sulle coppie di fatto, per scongiurare che la presidenza della Cei imponesse ai parlamentari cattolici di rifiutare il progetto di legge sui «diritti delle convivenze».

Al di là degli aspetti controversi che sempre accompagnano una figura di rilievo, resta la grande eredità di pensiero e di strutture che Alberigo ha costruito nel tempo. L’Istituto per le Scienze religiose di Bologna è costituito da un patrimonio di risorse storiche (volumi, documenti, ricerche) senza uguali. Ma ancor più preziose sono le risorse umane e il capitale culturale che egli ha contribuito a formare, pensando ai molti studiosi che hanno frequentato l’«officina» di Bologna, anche se - come sovente accade - i più non sono rimasti. La scuola di Bologna può offrire molti spunti per meglio comprendere i non facili rapporti tra laici e cattolici e per richiamare gli intellettuali alle loro responsabilità pubbliche.

La Stampa, 16 giugno 2007


IL RICORDO

Il fine studioso grande erede di Dossetti

MICHELE SMARGIASSI

«RISPETTOSAMENTE», come sempre, aveva fatto salire la sua voce fino ai piani alti della Santa Sede ancora poche settimane fa. Con quel rispetto che non tace le proprie ragioni, dovere morale appreso dal suo maestro Dossetti, Alberigo aveva stilato assieme ad altri intellettuali cattolici l´invito ai vescovi italiani, rispettoso sì, ma fermo come una diffida, a non imporre ai parlamentari cattolici l´obbligo disciplinare di rifiutare la legge sulle coppie di fatto in Parlamento. E alla fine il documento della Cei «non è stato così ultimativo», commentava soddisfatto, e per nulla turbato dagli strali dell´Osservatore Romano.
È stata la sua ultima disobbedienza, non certo la più importante. Giuseppe Alberigo, storico della Chiesa e dei suoi concili, seguace ed erede intellettuale di don Giuseppe Dossetti, come lui animato da una volontà di riforma ecclesiale che non arretra neppure davanti agli anatemi delle gerarchie, è rimasto per decenni là dove il monaco di Monte Sole lo aveva condotto un giorno del 1953: alla guida dell´Istituto di scienze religiose che di Dossetti ora porta il nome, cenobio di preghiere e faldoni forse unico nel suo genere, di cui Alberigo è stato per un cinquantennio il segretario (ma si potrebbe dire, senza troppa ironia: il priore).
Era stata una chiamata biblica. Di quelle a cui si risponde sì, e basta. «Il nostro Abramo» era Dossetti, non ancora don, allora antagonista di De Gasperi ai vertici della Dc. S´erano conosciuti a Milano, al cenacolo di padre Agostino Gemelli, il frate-medico. A Dossetti era piaciuto il piglio di quel ragazzo innamorato degli insegnamenti di Giuseppe Lazzati. Alberigo era nato nel 1926 in un paesino del varesotto, affacciato sul lago di Lugano, ed era un giovane laureato di belle speranze della Cattolica. «Andiamo dove?». A Bologna, a fondare un centro studi. «Perché non a Roma?», pensarono ma non dissero i chiamati (tra i quali anche la moglie Angelina e Franca Magistretti, futura suor Agnese).

C´era, il perché: a Bologna sedeva un arcivescovo speciale, alla cui ombra Dossetti, politico e mistico almeno quanto prudente uomo d´azione, si sentiva al riparo: il cardinale Giacomo Lercaro.
I tre locali in affitto scovati dal democristiano Angelo Salizzoni al piano terra di via San Vitale li pitturarono loro stessi, per risparmiare sugli imbianchini. I libri li compravano con lo stipendio parlamentare dell´ «onorevole di Dio». Sul suo «Centro di documentazione» Dossetti aveva idee chiarissime: comunità di fede e ricerca, lavoro rigorosamente d´équipe, assoluta indipendenza da qualsiasi affiliazione sia accademica che ecclesiastica che potesse «condizionarne la libertà». La inaugurò, nell´ottobre del ‘43, una lettura collettiva del libro di Isaia. Tra gli scaffali, ritmi monastici di ora et labora, preghiere e regesti, liturgia delle ore e schedature bibliografiche. «Una scuola di dotti» la definì con ammirazione il teologo tedesco Hünermann. Eppure erano tutti laici gli abitatori dell´ «antro», come lo chiamavano per brevità. E nessuna clausura: Alberigo andò a studiare in Germania da Hubert Jedin, poi a Firenze fu assistente di Delio Cantimori, «lo storico degli eretici». Anni di «impegno totale e inebriante», «noviziato severo»: così lo stesso Alberigo, nelle memorie commosse del cinquantennale. Era l´ «Officina bolognese», di cui i comunisti diffidavano, ma che stava un po´ in cagnesco anche a qualche eminenza.
Entravano spesso nell´antro intellettuali e politici celebri, Fanfani, Segni e Andreatta, ma anche il cardinal Montini futuro papa Giovanni. Ne uscivano testi complessi di biblistica, ecclesiologia, storia. Momenti di sconcerto, quasi sbandamento, quando Dossetti si piegò alla «terribile obbedienza» verso il suo vescovo che lo voleva candidato sindaco contro il rosso Dozza, nel ‘56. Momenti esaltanti, quando nel silenzio dell´archivio esplose la notizia della convocazione del Concilio. Dossetti, che era collaboratore di Lercaro, volle Alberigo come assistente in quell´avventura. L´amicizia tra maestro e discepolo si rinsaldò per non incrinarsi più.
Di quel Concilio di speranze e delusioni Alberigo fu dunque il testimone, prima di diventarne il maggiore storiografo. I cinque volumi di studi collettivi da lui coordinati sono apprezzati in tutto il mondo. Un po´ meno in Vaticano. Troppo forte l´accento sulla «discontinuità» del Concilio Vaticano II rispetto alla storia della Chiesa per piacere a una Chiesa che non ama gli strappi. «Un Paolo Sarpi contemporaneo», l´apostrofò un irritato monsignor Ruini: Sarpi, la cui storia del Concilio di Trento finì all´Indice. «Per me è un complimento», ribatté Alberigo, tranquillo. In Vaticano aveva molti antipatizzanti, ma anche taciti sostenitori, forse più di quanti immaginava lui stesso: fu sorpreso quando, nel ‘93, venne chiamato a stendere la positio ufficiale per la causa di beatificazione di Giovanni XIII. Comunque i suoi volumoni scomodi, assieme al collega Alberto Melloni, li consegnò personalmente nelle mani di ben due papi, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Ratzinger del resto pare abbia promesso ad Alberigo di donare, dopo la morte, le sue carte al Centro Dossetti. Tra i due c´era una conoscenza antica. E una certa stima, nonostante le vedute sempre più divergenti sul governo della Chiesa. Per Alberigo, infatti, l´era del papa-monarca assoluto è tramontata senza scampo. Nell´89 firmò assieme a 63 teologi italiani il primo documento di esplicita contestazione a un papa sui modi di governo della Chiesa.
Cattolico del dissenso, si dice di lui che pure non si schierò ai tempi turbolenti del referendum sul divorzio. Però frequentava quel cenacolo politico peripatetico che era il sagrato della basilica dei Santi Bertolomeo e Gaetano, chiacchierando ogni domenica con Romano Prodi e Beniamino Andreatta. Il suo dissenso si spendeva in realtà «al piano superiore». Puntava allo svecchiamento del corpo della Chiesa «ridotta a un partito politico», farraginosa, autoritaria, «senza libertà di confronto». Nell´ultima lezione all´Università di Bologna, dove ha insegnato dal ‘67 al 2001 Storia della Chiesa, rinnovò la sua speranza in una riforma collegiale e conciliare della Chiesa. «Partigianeria», «ideologismo» sono accuse che si è smentito ripetere più volte da bocche consacrate e fogli con l´imprimatur. Dell´ «intemperante progressista», invece, se l´è preso dai nuovi atei devoti. Rispose con la sua abituale, placida saggezza: «Le solite patacche».

Repubblica (Bologna), 16 giugno 2007

Anatemi delle gerarchie? Non mi pare...il prof. Alberigo ha sempre potuto dire e firmare cio' che ha voluto...
I giornalisti non potrebbero usare un linguaggio piu' opportuno?

Raffaella


Addio Alberigo, storico del Concilio Vaticano II

Marco Roncalli

È morto ieri a Bologna all'età di 81 anni. Monsignor Capovilla: sono grato per quello che ha scritto su Papa Giovanni

Si è spento ieri, a ottantuno anni, Giuseppe Alberigo, ordinario di Storia della Chiesa all'Università di Bologna dal 1967 al 2001, nonché direttore nella stessa città dell'Istituto per le scienze religiose Giovanni XXIII e della rivista Cristianesimo nella Storia .
Poco più di due mesi fa – l'11 aprile – era stato colpito da una gravissima ischemia. Con la sua morte il mondo della cultura perde uno storico di fama e un intellettuale credente dal rapporto dialettico con le gerarchie ecclesiastiche. Autore di numerose opere dedicate a periodi dal Medioevo all'età contemporanea, diverse lauree honoris causa (anche in teologia dalle Università di Monaco di Baviera, di Strasburgo e di Münster), lo storico, nato a Varese ma bolognese d'adozione, già assistente universitario di Giuseppe Dossetti e di Delio Cantimori, sarà ricordato per diversi motivi: il suo lavoro al Concilio Vaticano II, al quale partecipò fuori da San Pietro, ma immerso nell'evento insieme a Dossetti, che, perito personale del cardinale Giacomo Lercaro (uno dei quattro moderatori dell'Assemblea), l'aveva voluto accanto a sé (esperienza che l'ha segnato per tutta la vita e attraverso la quale ha continuato a leggere la storia della Chiesa, tra fede e politica). E, insieme, soprattutto, i suoi lavori sul Vaticano II, culminati nella direzione di quella poderosa Storia del Concilio Vaticano II curata da Alberto Melloni, in cinque poderosi volumi apparsi tra il 1995 e il 2001 con il Mulino (ma pure sintetizzata di recente per lo stesso editore in una Breve storia del Concilio Vaticano II utile anche per i tocchi autobiografici). Un'opera, fra ermeneutica e documentazione, che ha raccolto ampi consensi, ma anche critiche e contrappunti di ecclesiastici come Camillo Ruini e Agostino Marchetto, pronti a stemperare l'interpretazione del Concilio come elemento di profonda rottura e dalla carica rivoluzionaria e a considerarne un suo più armonico inserimento nella tradizione della Chiesa. Un tema che resta da approfondire, riconsiderando anche i ruoli dei successori di Giovanni XXIII: pontefice al quale Alberigo ha dedicato ampie ricerche (presentate più volte anche in città), contribuendo – anche con i suoi collaboratori – a preparare la positio per la causa di beatificazione (accedendo così a preziosi materiali d'archivio i cui originali appartengono alla Fondazione di Bergamo).
Alberigo, inoltre, non sarà facilmente dimenticato per il suo ruolo maieutico alla guida di quella che è stata definita l'«Officina bolognese» da lui diretta per decenni. Una fucina di ricercatori cresciuta attorno alla lezione di Dossetti e che tempo fa Peter Hünermann paragonava ad una Gelehrten-Schule. Un'alta «scuola di dotti» e come tale percepita tra la fine del pontificato giovanneo e l'inizio di quello di Paolo VI, quando una generazione di storici faceva ancora tesoro delle indicazioni di don Giuseppe De Luca, Delio Cantimori, Hubert Jedin e di altri veri maestri capaci di trasmettere un metodo oltre che fare scuola. Mentre di lì a poco l'Istituto bolognese avrebbe dilatato il suo ruolo anche a una sorta di «fronte riformatore» (l'espressione è usata da storici passati da lì), bandiera delle tesi conciliari più forti sotto il profilo ecclesiologico, pastorale, ma anche civile-sociale, approfondite con approcci di ampio respiro (fra esegesi, teologia, filosofia, patristica, politica, discipline viste anche come saperi di tipo storico). Un fronte per saldare o separare vita religiosa e civile e dal quale sono state più volte lanciate proposte dettate dalla volontà di incidere – da laici – nella vita ecclesiale, persino alla vigilia di appuntamenti come i sinodi e i conclavi (ma si può ricordare anche il recente «appello» alla Conferenza episcopale italiana al fine di evitare la pubblicazione della «Nota», impegnativa per i cattolici e poi emanata, «a riguardo della famiglia fondata sul matrimonio»). Come era già accaduto con Giovanni Paolo II, Alberigo il 7 aprile scorso è riuscito a presentare a Benedetto XVI la nuova edizione critica dei Decreti dei Concili ecumenici e generali . Alberigo avrebbe dovuto ricevere anche il titolo di Cavaliere di Gran Croce con cui il presidente Napolitano aveva deciso di onorarlo, mentre è toccato al prefetto Vincenzo Grimaldi consegnare l'onorificenza ai familiari al «Malpighi» di Bologna, l'ospedale dove ieri a mezzanotte Alberigo è mancato. Tra i numerosi messaggi di cordoglio alla famiglia e ai collaboratori di Alberigo, anche quello di monsignor Loris Capovilla che ha espresso commozione e mestizia descrivendo lo storico come «attento lettore dei segni dei tempi» ed esprimendo «gratitudine per quanto ha scritto sul beato Papa Giovanni e sulla stagione del Concilio Vaticano II, stella polare per i cattolici nel cammino del XXIsecolo». Le esequie saranno celebrate lunedì alle 15 nella chiesa di San Bartolomeo in Bologna.

L'Eco di Bergamo, 16 giugno 2007

Nessun commento: