3 giugno 2007

Il Papa e il gentil sesso: uno che capisce le donne


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Uno che capisce le donne

E se avesse ragione Ratzinger? E se l'ethos femminile fosse davvero "capacità dell'altro"? Marina Terragni alla (ri)scoperta della "differenza"

di Corradi Marina

È uscito per Mondadori La scomparsa delle donne, di Marina Terragni, giornalista femminista, nata a Radio popolare, oggi tra le firme del Foglio. Di solito il discutere di "Maschile, femminile e altre cose del genere" non è appassionante, arenato come sembra il dibattito fra quote rosa e pari opportunità e luoghi comuni. Ma in questo libro si sente una folata d'aria fresca, perché la Terragni mette da parte gli stereotipi sulla "donna", per scrivere delle donne vere.
Colpisce l'attacco del primo capitolo: quelle due fanciulle in tailleur grigio che il venerdì sera, pendolari sul volo Roma Milano, dialogano del "privilegio" di non avere nessuno a casa che le aspetta, per poter far carriera. Quante ne abbiamo viste così, cotte di stanchezza e grigie in faccia, magari in un sussulto sospettando di finire anche noi così («Due ometti», scrive la Terragni con la malinconia di un combattente che torni da una guerra vinta e si guardi attorno: non era quella, la vittoria che voleva). Ma cosa abbiamo perduto, credendo di vincere? Quel che vediamo non è forse una omologazione triste cui ci siamo ridotti, uomini e donne, uguali, nel mito maschile della competizione e dell'efficienza? Dubbi condivisi da molte, ma taciuti in quel dire "corretto" che attanaglia buona parte delle donne che vengono da femminismo e sinistra. Come se non si potesse dire che i conti non tornano.
La Terragni ha coraggio nell'ammettere che circola fra le donne una sotterranea nostalgia del tempo perduto per se stesse, per gli affetti, per fare altro che "produrre"; o quando si sofferma sulla strana accettazione femminile di quelle tecnologie che hanno fatto della fecondità una faccenda da laboratorio. Assomiglia a tante, quando parla del desiderio di un tempo non per "fare", ma per essere, o riflette sull'affanno di quelle che lavorano e hanno figli, e impazziscono nella verbosità delle riunioni maschili, perché in quelle ore di parole superflue avrebbero portato il bambino al parco, e anche fatto un arrosto. Come a dire che c'è, la differenza. E certo alla casalinga felix non si torna, ma neanche si può insegnare alle figlie a rassegnarsi a questo supino adeguamento al pensiero maschile - di quel maschile inconsistente e un po' ridicolo cui anche l'idea di uomo si è ridotta.
D'accordo, riscoprire la "differenza". Magari, se possiamo aggiungerlo, ammettendo anche un dubbio che sfiora segretamente le quarantenni: veramente la vita che abbiamo fatto, rimandando maternità che sarebbero state di intralcio alla nostra "realizzazione" oppure affannandoci tra asili e ufficio, sempre in ritardo, comunque "inadeguate", davvero ci ha liberate? E questo ordine collettivo - che le donne lavorino! - quanto è stata ansia di riscatto femminile, e quanto strumentale a un mercato cui serviva ampliare la popolazione "attiva", per aumentare Pil, redditi e consumi? Davvero è tanto più "realizzante" fare la commessa che crescere in pace i propri figli? Forse no, ma così ci è stato fatto credere.
Poi, Marina Terragni dedica alla lettera di Ratzinger sulle donne un capitolo dal titolo audace: "Uno che forse ha capito". Quello che "ha capito" è questo Papa, quando dice che l'ethos femminile è "capacità dell'altro", accoglienza dell'altro. L'ipotesi affascina la Terragni, e però quando parla dell'aborto, fedele alla sua storia, non può che dire che l'embrione diventa vita solo quando sua madre "dice di sì". Ma se l'ethos della donna è "accoglienza dell'altro", questo decidere se l'"altro" che ti è atterrato in grembo è un nulla sulla base delle proprie pur rispettabili ragioni non è un violare se stesse che produrrà, a meno di non essere molto distratte, un non dicibile dolore? Molti dubbi sinceri in questo libro. Ma a questa amica ci piacerebbe poter dire che la nostra vera natura non ce la diamo da noi. E che liberi siamo davvero, come scrisse Romano Guardini, quando riconosciamo che siamo stati dati a noi stessi da un Altro.

Tempi num.22 del 31/05/2007

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