13 luglio 2007

Dal libro-intervista "Rapporto sulla fede": "Un teologo che non ami l'arte, la poesia, la musica, la natura, può essere pericoloso.


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Cardinal Ratzinger, vogliamo parlare un poco di liturgia, di riforma liturgica? È un problema tra i più dibattuti e spinosi, è uno dei cavalli di battaglia della anacronistica reazione anti-conciliare, dell'integrismo patetico alla Lefebvre, il vescovo in rivolta proprio a causa di certi aggiornamenti liturgici in cui crede di sentire odore di zolfo, di eresia...

Mi ferma subito per precisare: "Davanti a certi modi concreti di riforma liturgica e, soprattutto, davanti alle posizioni di certi liturgisti, l'arca del disagio è più ampia di quella dell'integrismo anticonciliare. Detto in altre parole: non tutti coloro che esprimono un tale disagio devono per questo essere necessariamente degli integristi".

Vuol forse dire che il sospetto, magari la protesta per certo liturgismo post-conciliare sarebbero legittimi anche in un cattolico lontano dal tradizionalismo estremo? In un cattolico, cioè, non malato di nostalgia ma disposto ad accettare interamente il Vaticano II?

"Dietro ai modi diversi di concepire la liturgia - risponde - ci sono, come di consueto, modi diversi di concepire la Chiesa, dunque Dio e i rapporti dell'uomo con Lui. Il discorso liturgico non è marginale: è stato proprio il Concilio a ricordarci che qui siamo nel cuore della fede cristiana".

I gravosi compiti romani impediscono a Joseph Ratzinger (per motivi di tempo ma anche di opportunità) di continuare come vorrebbe la pubblicazione di articoli scientifici e di libri. Ma, a conferma dell'importanza che dà all'argomento liturgico, una delle poche opere che ha pubblicato in questi anni è Das Fest des Glaubens, La Festa della Fede. Si tratta appunto di una raccolta di brevi saggi sulla liturgia e su un certo "aggiornamento" di fronte al quale si dichiarava perplesso già dieci anni dopo la conclusione del Vaticano II.

Tiro fuori dalla borsa quel ritaglio del 1975 e leggo: "L'apertura della liturgia alle lingue popolari era fondata e giustificata: anche il Concilio di Trento l'aveva avuta presente, almeno a livello di possibilità. Sarebbe poi falso dire, con certi integristi, che la creazione di nuovi canoni per la Messa contraddice la Tradizione della Chiesa. Tuttavia, resta da vedere sino a che punto le singole tappe della riforma liturgica dopo il Vaticano II siano state veri miglioramenti o non, piuttosto, banalizzazioni; sino a che punto siano state pastoralmente sagge o non, al contrario, sconsiderate".

Continuo a leggere da quell'intervento di Joseph Ratzinger, allora professore di teologia ma già prestigioso membro della Pontificia Commissione Teologica Internazionale: "Anche con la semplificazione e la formulazione meglio comprensibile della liturgia, è chiaro che deve essere salvaguardato il mistero dell'azione di Dio nella Chiesa; e, perciò, la fissazione della sostanza liturgica intangibile per i sacerdoti e le comunità, come pure il suo carattere pienamente ecclesiale". "Pertanto - esortava il professor Ratzinger - ci si deve opporre, più decisamente di quanto sia stato fatto finora, all'appiattimento razionalistico, ai discorsi approssimativi, all'infantilismo pastorale che degradano la liturgia cattolica al rango di circolo di villaggio e la vogliono abbassare a un livello fumettistico. Anche le riforme già eseguite, specialmente riguardo al rituale, devono essere riesaminate sotto questi punti di vista".

Mi ascolta, con l'attenzione e la pazienza consuete, mentre gli rileggo queste sue parole. Sono passati dieci anni da allora, l'autore di una simile messa in guardia non è più un semplice studioso, è il custode dell'ortodossia stessa della Chiesa.

Il Ratzinger di oggi, Prefetto della fede, si riconosce ancora in questo brano?

"Interamente - non esita a rispondermi -. Anzi, da quando scrivevo queste righe altri aspetti che sarebbero stati da salvaguardare sono stati accantonati, molte ricchezze superstiti sono state dilapidate. Allora, nel 1975, molti colleghi teologi si dissero scandalizzati, o almeno sorpresi, dalla mia denuncia. Adesso, anche tra loro, sono numerosi quelli che mi hanno dato ragione, almeno parzialmente". Si sarebbero cioè verificati ulteriori equivoci e fraintendimenti che giustificherebbero ancor più le parole severe di sei anni dopo, nel libro recente che citavamo: "Certa liturgia post-conciliare, fattasi opaca o noiosa per il suo gusto del banale e del mediocre, tale da dare i brividi...".

La lingua, per esempio ...

Per lui, proprio nel campo liturgico - sia negli studi degli specialisti che in certe applicazioni concrete - si constaterebbe "uno degli esempi più vistosi di contrasto tra ciò che dice il testo autentico del Vaticano II e il modo con cui è stato poi recepito e applicato".

Esempio sin troppo famoso, si sa (ed esposto al rischio di strumentalizzazioni), è quello dell'impiego del latino, sul quale il testo conciliare è esplicito: "L'uso della lingua latina, salvo diritti particolari, sia conservato nei riti latini" (Sacrosanctum Concilium, n. 36). Più avanti, i Padri raccomandano: "Si abbia ( ... ) cura che i fedeli sappiano recitare e cantare insieme, anche in lingua latina, le parti dell'Ordinario della Messa che spettano ad essi" (n. 54). Più avanti ancora, nello stesso documento: "Secondo la secolare tradizione del rito latino, per i chierici sia conservata nell'Ufficio divino la lingua latina " (n. 101).

Scopo del colloquio col card. Ratzinger, dicevamo all'inizio, non era certo mettere in rilievo il nostro punto di vista, bensì riferire quello dell'intervistato.

Tuttavia, personalmente - per quanto poco importi - troviamo un po' grottesco l'atteggiamento da "vedovi" e "orfani" di chi rimpiange un passato tramontato per sempre e non siamo affatto nostalgici di una liturgia in latino che abbiamo conosciuto solo nel suo ultimo, estenuato periodo di vita. Tuttavia, leggendo i documenti conciliari si può capire ciò che vuol dire il card. Ratzinger: è un fatto oggettivo che, anche solo limitandosi all'uso della lingua liturgica, balza agli occhi il contrasto tra i testi del Vaticano II e le successive applicazioni concrete.

Non si tratta di recriminare ma di sapere, da una voce autorevole, come mai questo gap si sia verificato.

Lo vedo scuotere il capo: "Che vuole, anche questo è tra i casi di una sfasatura - purtroppo frequente in questi anni - tra il dettato del Concilio, la struttura autentica della Chiesa e del suo culto, le vere esigenze pastorali del momento e le risposte concrete di certi settori clericali. Eppure la lingua liturgica non era affatto un aspetto secondario. All'origine della frattura tra Occidente latino e Oriente greco c'è anche una questione di incomprensione linguistica. È probabile che la scomparsa della lingua liturgica comune possa rafforzare le spinte centrifughe tra le varie aree cattoliche".
Aggiunge però subito: "Per spiegare il rapido e quasi totale abbandono dell'antica lingua liturgica comune bisogna in verità anche rifarsi a un mutamento culturale dell'istruzione pubblica in Occidente. Come professore, ancora all'inizio degli anni Sessanta potevo permettermi di leggere un testo latino a giovani provenienti dalle scuole secondarie tedesche. Oggi questo non è più possibile".

"Pluralismo, ma per tutti"

A proposito di latino: nei giorni del nostro colloquio non era ancora conosciuta la decisione del Papa che (con lettera in data 3 ottobre 1984, a firma del Pro-Prefetto della Congregazione per il culto divino) concedeva il discusso " indulto " a quei preti che volessero celebrare la messa usando il messale romano, in latino appunto, del 1962. e, cioè, la possibilità di un ritorno (seppure ben delimitato) alla liturgia pre-conciliare; purché, si dice nella lettera, "consti con chiarezza, anche pubblicamente, che questi sacerdoti e i rispettivi fedeli in nessun modo condividano le posizioni di coloro che mettono in dubbio la legittimità e l'esattezza dottrinale del Messale Romano promulgato dal Papa Paolo VI nel 1970"; e purché la celebrazione secondo il vecchio rito "avvenga nelle chiese e negli oratori indicati dal vescovo, non però nelle chiese parrocchiali, a meno che l'ordinario del luogo lo abbia concesso, in casi straordinari". Malgrado questi limiti e le severe avvertenze ("in nessun modo la concessione dell'indulto dovrà essere usata in modo da recare pregiudizio all'osservanza fedele della riforma liturgica"), la decisione del Papa ha suscitato polemiche.

La perplessità è stata anche nostra, ma dobbiamo riferire quanto il card. Ratzinger ci aveva detto a Bressanone: pur senza parlarci della misura - che era evidentemente già stata decisa e della quale di certo era al corrente - ci aveva accennato a una possibilità del genere. Questo " indulto per lui, non sarebbe stato da vedere in una linea di " restaurazione " ma, al contrario, nel clima di quel " legittimo pluralismo" sul quale il Vaticano II e i suoi esegeti hanno tanto insistito.

Infatti, precisando di parlare " a titolo personale ", il cardinale ci aveva detto: "Prima di Trento, la Chiesa ammetteva nel suo seno una diversità di riti e di liturgie. I Padri tridentini imposero a tutta la Chiesa la liturgia della città di Roma, salvaguardando, tra le liturgie occidentali, solo quelle che avessero più di due secoli di vita. È il caso, ad esempio, del rito ambrosiano della diocesi di Milano.
Se potesse servire a nutrire la religiosità di qualche credente, a rispettare la pietas di certi settori cattolici, sarei personalmente favorevole al ritorno alla situazione antica, cioè a un certo pluralismo liturgico. Purché, naturalmente, venisse riconfermato il carattere ordinario dei riti riformati e venisse indicato chiaramente l'ambito e il modo di qualche caso straordinario di concessione della liturgia preconciliare". Più che un auspicio il suo, visto che poco più di un mese dopo doveva realizzarsi.

Lui stesso, del resto, nel suo Das Fest des Glaubens aveva ricordato che "anche in campo liturgico, dire cattolicità non significa dire uniformità", denunciando che, "invece, il pluralismo postconciliare si è dimostrato stranamente uniformante, quasi coercitivo, non consentendo più livelli diversi di espressione di fede pur all'interno dello stesso quadro rituale".

Uno spazio per il Sacro

Per tornare al discorso generale: che rimprovera il Prefetto a certa liturgia d'oggi? (o, forse, non proprio di oggi visto
che, come osserva, "sembra stiano attenuandosi certi abusi degli anni postconciliari: mi pare che ci sia in giro una nuova presa di coscienza, che alcuni stiano accorgendosi di avere corso troppo e troppo in fretta". "Ma - aggiunge ­ questo nuovo equilibrio è per ora di élite, riguarda alcune cerchie di specialisti mentre l'ondata messa in moto proprio da costoro arriva adesso alla base. Così, può succedere che qualche prete, qualche laico si entusiasmino in ritardo e giudichino d'avanguardia ciò che gli esperti sostenevano ieri, mentre oggi questi specialisti si attestano su posizioni diverse, magari più tradizionali").

Comunque sia, ciò che per Ratzinger va ritrovato in pieno è "il carattere predeterminato, non arbitrario, " imperturbabile -, " impassibile " del culto liturgico". "Ci sono stati anni - ricorda - in cui i fedeli, preparandosi ad assistere a un rito, alla messa stessa, si chiedevano in che modo, in quel giorno, si sarebbe scatenata la " creatività " del celebrante...". Il che, ricorda, contrastava oltretutto con il monito insolitamente severo, solenne del Concilio: "Che nessun altro, assolutamente (al di fuori della Santa Sede e della gerarchia episcopale, n.d.r.); che nessuno, anche se sacerdote, osi di sua iniziativa aggiungere, togliere o mutare alcunché in materia liturgica" (Sacrosanctum Concilium n. 22).

Aggiunge: "La liturgia non è uno show, uno spettacolo che abbisogni di registi geniali e di attori di talento. La liturgia non vive di sorprese " simpatiche ", di trovate " accattivanti ", ma di ripetizioni solenni. Non deve esprimere l'attualità e il suo effimero ma il mistero del Sacro. Molti hanno pensato e detto che la liturgia debba essere "fatta" da tutta la comunità, per essere davvero sua. È una visione che ha condotto a misurarne il " successo " in termini di efficacia spettacolare, di intrattenimento. In questo modo è andato però disperso il proprium liturgico che non deriva da ciò che noi facciamo, ma dal fatto che qui accade Qualcosa che noi tutti insieme non possiamo proprio fare. Nella liturgia opera una forza, un potere che nemmeno la Chiesa tutta intera può conferirsi: ciò che vi si manifesta è lo assolutamente Altro che, attraverso la comunità (che non ne è dunque padrona ma serva, mero strumento) giunge sino a noi".

Continua: "Per il cattolico, la liturgia è la Patria comune, è la fonte stessa della sua identità: anche per questo deve essere " predeterminata ", " imperturbabile ", perché attraverso il rito si manifesta la Santità di Dio. Invece, la rivolta contro quella che è stata chiamata " la vecchia rigidità rubricistica ", accusata di togliere " creatività ", ha coinvolto anche la liturgia nel vortice del " fai-da-te ", banalizzandola perché l'ha resa conforme alla nostra mediocre misura".

C'è poi un altro ordine di problemi sul quale Ratzinger vuole richiamare l'attenzione: "Il Concilio ci ha giustamente ricordato che liturgia significa anche actio, azione, e ha chiesto che ai fedeli sia assicurata una actuosa participatio, una partecipazione attiva".

Mi sembra ottima cosa, dico.

"Certo - conferma -. è un concetto sacrosanto che però, nelle interpretazioni postconciliari, ha subìto una restrizione fatale. Sorse cioè l'impressione che si avesse una " partecipazione attiva " solo dove ci fosse un'attività esteriore, verificabile: discorsi, parole, canti, omelie, letture, stringer di mani... Ma si è dimenticato che il Concilio mette nella actuosa participatio anche il silenzio, che permette una partecipazione davvero profonda, personale, concedendoci l'ascolto interiore della Parola del Signore. Ora, di questo silenzio non è restata traccia in certi riti".
Suoni e arte per l'Eterno

E qui si aggancia un suo discorso sulla musica sacra, quella musica tradizionale dell'Occidente cattolico alla quale il Vaticano Il non ha certo misurato le lodi, esortando non solo a salvare ma a incrementare "con la massima diligenza" questo che chiama "il tesoro della Chiesa"; e, dunque, dell'umanità intera. Invece?

"Invece, molti liturgisti hanno messo da parte quel tesoro, dichiarandolo " accessibile a pochi ", l'hanno accantonato in nome della " comprensibilità per tutti e in ogni momento " della liturgia postconciliare. Dunque, non più " musica sacra" - relegata, semmai, per occasioni speciali, nelle cattedrali - ma solo " musica d'uso", canzonette, facili melodie, cose correnti".

Anche qui il Cardinale ha facile gioco nel mostrare l'allontanamento teorico e pratico dal Concilio "secondo il quale, oltretutto, la musica sacra è essa stessa liturgia, non ne è un semplice abbellimento accessorio". E, secondo lui, sarebbe anche facile mostrare come "l'abbandono della bellezza" si sia dimostrata, alla prova dei fatti, un motivo di "sconfitta pastorale".

Dice: "è divenuto sempre più percepibile il pauroso impoverimento che si manifesta dove si scaccia la bellezza e ci si assoggetta solo all'utile. L'esperienza ha mostrato come il ripiegamento sull'unica categoria del "comprensibile a tutti" non ha reso le liturgie davvero più comprensibili, più aperte, ma solo più povere. Liturgia " semplice " non significa misera o a buon mercato: c'è la semplicità che viene dal banale e quella che deriva dalla ricchezza spirituale, culturale, storica".
"Anche qui continua - si è messa da parte la grande musica della Chiesa in nome della" partecipazione attiva ": ma questa " partecipazione " non può forse significare anche il percepire con lo spirito, con i sensi? Non c'è proprio nulla di " attivo " nell'ascoltare, nell'intuire, nel commuoversi? Non c'è qui un rimpicciolire l'uomo, un ridurlo alla sola espressione orale, proprio quando sappiamo che ciò che vi è in noi di razionalmente cosciente ed emerge alla superficie è soltanto la punta di un iceberg rispetto a ciò che è la nostra totalità? Chiedersi questo non significa certo opporsi allo sforzo per far cantare tutto il popolo, opporsi alla " musica d'uso ": significa opporsi a un esclusivismo (solo quella musica) che non è giustificato né dal Concilio né dalle necessità pastorali".

Questo discorso sulla musica sacra - intesa anche come simbolo di presenza della bellezza " gratuita " nella Chiesa - sta particolarmente a cuore a Joseph Ratzinger che vi ha dedicato pagine vibranti: "Una Chiesa che si riduca solo a fare della musica " corrente " cade nell'inetto e diviene essa stessa inetta. La Chiesa ha il dovere di essere anche " città della gloria ", luogo dove sono raccolte e portate all'orecchio di Dio le voci più profonde dell'umanità. La Chiesa non può appagarsi del solo ordinario, del solo usuale: deve ridestare la voce del Cosmo, glorificando il Creatore e svelando al Cosmo stesso la sua magnificenza, rendendolo bello, abitabile, umano".

Anche qui, però, come già per il latino, mi parla di una "mutazione culturale", anzi, quasi di una "mutazione
antropologica" soprattutto nei giovani, "il cui senso acustico è stato corrotto, degenerato, a partire dagli anni Sessanta, dalla musica rock e da altri prodotti simili". Tanto che (accenna qui anche a sue esperienze pastorali, in Germania) sarebbe oggi "difficile far ascoltare o, peggio, far cantare a molti giovani anche gli antichi corali della tradizione tedesca".

Il riconoscimento delle difficoltà obiettive non gli impedisce una appassionata difesa non solo della musica, ma dell'arte cristiana in generale e della sua funzione di rivelatrice della verità: "L'unica, vera apologia del cristianesimo può ridursi a due argomenti: i santi che la Chiesa ha espresso e l'arte che è germinata nel suo grembo. Il Signore è reso credibile dalla magnificenza della santità e da quella dell'arte esplose dentro la comunità credente, più che dalle astute scappatoie che l'apologetica ha elaborato per giustificare i lati oscuri di cui purtroppo abbondano le vicende umane della Chiesa. Se la Chiesa deve continuare a convertire, dunque a umanizzare il mondo, come può rinunciare nella sua liturgia alla bellezza, che è unita in modo inestricabile all'amore e insieme allo splendore della Resurrezione? No, i cristiani non devono accontentarsi facilmente, devono continuare a fare della loro Chiesa un focolare del bello - dunque del vero - senza il quale il mondo diventa il primo girone dell'inferno".

Mi parla di un teologo famoso, uno dei leaders del pensiero post-conciliare che gli confessava senza problemi di sentirsi un "barbaro". Commenta: "Un teologo che non ami l'arte, la poesia, la musica, la natura, può essere pericoloso. Questa cecità e sordità al bello non è secondaria, si riflette necessariamente anche nella sua teologia".

Solennità, non trionfalismo

Ancora in questa linea, Ratzinger non è affatto persuaso della validità di certe accuse di " trionfalismo -, nel nome delle quali si sarebbe gettato via con eccessiva facilità molto dell'antica solennità liturgica: "Non è affatto trionfalismo la solennità del culto con cui la Chiesa esprime la bellezza di Dio, la gioia della fede, la vittoria della verità e della luce sull'errore e sulle tenebre. La ricchezza liturgica non è ricchezza di una qualche casta sacerdotale; è ricchezza di tutti, anche dei poveri, che infatti la desiderano e non se ne scandalizzano affatto. Tutta la storia della pietà popolare mostra che anche i più miseri sono sempre stati disposti istintivamente e spontaneamente a privarsi persino del necessario pur di rendere onore con la bellezza, senza alcuna tirchieria, al loro Signore e Dio".

Si rifà, come esempio, a ciò che ha appreso in uno degli ultimi suoi viaggi in Nord America: "Le autorità della Chiesa anglicana di New York avevano deciso di sospendere i lavori della nuova cattedrale. La giudicavano troppo fastosa, quasi un insulto al popolo, tra il quale avevano deciso di distribuire la somma già stanziata. Ebbene, sono stati i poveri stessi a rifiutare quel denaro e a imporre la ripresa dei lavori, non capendo questa strana idea di misurare il culto a Dio, di rinunciare alla solennità e alla bellezza quando si è al suo cospetto".

Sotto l'accusa del cardinale sarebbero dunque certi intellettuali cristiani, certo loro schematismo aristocratico, elitario, staccato da ciò che il "popolo di Dio" davvero crede e desidera: "Per un certo modernismo neo-clericale il problema della gente sarebbe il sentirsi oppressa dai " tabù sacrali ". Ma questo, semmai, è il problema loro, di clericali in crisi. Il dramma dei nostri contemporanei è, al contrario, il vivere in un mondo sempre più di una profanità senza speranza. L'esigenza vera oggi diffusa non è quella di una liturgia secolarizzata, ma, al contrario, di un nuovo incontro con il Sacro, attraverso un culto che faccia riconoscere la presenza dell'Eterno".

Ma è sotto accusa per lui, anche quello che definisce "l'archeologismo romantico di certi professori di liturgia, Secondo i quali tutto ciò che si è fatto dopo Gregorio 1 Magno sarebbe da eliminare come un'incrostazione, un segno di decadenza. A criterio del rinnovamento liturgico non hanno posto la domanda: "Come deve essere oggi?", ma l'altra: "Come era allora?". Si dimentica che la Chiesa è viva, che la sua liturgia non può essere pietrificata in ciò che si faceva nella città di Roma prima del Medio Evo. In realtà, la Chiesa medievale (o anche, in certi casi, la Chiesa barocca) hanno proceduto a un approfondimento liturgico che occorre vagliare con attenzione prima di eliminare. Dobbiamo rispettare anche qui la legge cattolica della sempre migliore e più profonda conoscenza del patrimonio che ci è stato affidato. Il puro arcaismo
non serve, così come non serve la pura modernizzazione".

Per Ratzinger, poi, la vita cultuale del cattolico non può essere ridotta al solo aspetto " comunitario ": deve continuare ad esserci un posto anche per la devozione privata, seppure ordinata al "pregare insieme", cioè alla liturgia.

Eucaristia: nel cuore della fede

Aggiunge poi: "La liturgia, per alcuni sembra ridursi alla sola eucaristia, vista quasi sotto l'unico aspetto del "banchetto fraterno". Ma la messa non è solamente un pasto tra amici, riuniti per commemorare l'ultima cena del Signore mediante la condivisione del pane. La messa è il sacrificio comune della Chiesa, nel quale il Signore prega con noi e per noi e a noi si partecipa. È la rinnovazione sacramentale del sacrificio di Cristo: dunque, la sua efficacia salvifica si estende a tutti gli uomini, presenti e assenti, vivi e morti. Dobbiamo riprendere coscienza che l'eucaristia non è priva di valore se non si riceve la Comunione: in questa consapevolezza, problemi drammaticamente urgenti come l'ammissione al sacramento dei divorziati risposati possono perdere molto del loro peso opprimente".

Vorrei capire meglio, dico.

"Se l'eucaristia - spiega - è vissuta solo come il banchetto di una comunità di amici, chi è escluso dalla ricezione dei Sacri Doni è davvero tagliato fuori dalla fraternità. Ma se si torna alla visione completa della messa (pasto fraterno e insieme sacrificio del Signore, che ha forza ed efficacia in sé, per chi vi si unisce nella fede), allora anche chi non mangia quel pane partecipa egualmente, nella sua misura, dei doni offerti a tutti gli altri".
All'eucaristia e al problema del suo "ministro" (che può essere solo chi sia stato ordinato in quel "sacerdozio ministeriale o gerarchico" il quale, riconferma il Concilio, "differisce essenzialmente e non solo di grado" dal "sacerdozio comune dei fedeli", Lumen Gentium, n. 10) il card. Ratzinger ha dedicato uno dei primi documenti ufficiali a sua firma della Congregazione per la fede. Nel "tentativo di staccare l'eucaristia dal legame necessario con il sacerdozio gerarchico", vede un altro aspetto di certa " banalizzazione " del mistero del Sacramento.

È lo stesso pericolo che individua nella caduta dell'adorazione davanti al tabernacolo: "Si è dimenticato - dice - che l'adorazione è un approfondimento della comunione. Non si tratta di una devozione "individualistica" ma della prosecuzione o della preparazione, del momento comunitario. Bisogna poi continuare in quella pratica, così cara al popolo (a Monaco di Baviera, quando la guidavo, vi partecipavano decine di migliaia di persone) della processione del Corpus Domini. Anche su questa gli " archeologi " della liturgia hanno da ridire, ricordando che quella processione non c'era nella Chiesa romana dei primi secoli. Ma ripeto qui quanto già dissi: al sensus fidei del popolo cattolico deve essere riconosciuta la possibilità di approfondire, di portare alla luce, secolo dopo secolo, tutte le conseguenze del patrimonio che gli è affidato".

"Non c'è solo la messa"

Aggiunge: "L'eucaristia è il nucleo centrale della nostra vita cultuale, ma perché possa esserne il centro abbisogna di un insieme completo in cui vivere. Tutte le inchieste sugli effetti della riforma liturgica mostrano che certa insistenza pastorale solo sulla messa finisce per svalutarla, perché è come situata nel vuoto, non preparata e non seguita com'è da altri atti liturgici. L'eucaristia presuppone gli altri sacramenti e ad essi rinvia. Ma l'eucaristia presuppone anche la preghiera in famiglia e la preghiera comunitaria extra-liturgica".

A cosa pensa in particolare?

"Penso a due delle più ricche e feconde preghiere della cristianità, che portano sempre e di nuovo nella grande corrente eucaristica: la Via Crucis e il Rosario. Dipende anche dal fatto che abbiamo disimparato queste preghiere se noi oggi ci troviamo esposti in modo così insidioso alle lusinghe di pratiche religiose asiatiche". Infatti, osserva, "se recitato come tradizione vuole, il Rosario porta a cullarci nel ritmo della tranquillità che ci rende docili e sereni e che dà un nome alla pace: Gesù, il frutto benedetto di Maria; Maria, che ha nascosto nella pace raccolta del suo cuore la Parola vivente e poté così diventare madre della Parola incarnata. Maria è dunque l'ideale dell'autentica vita liturgica. È la Madre della Chiesa anche perché ci addita il compito e la meta più alta del nostro culto: la gloria di Dio, da cui viene la salvezza degli uomini".

Capitolo nono di "Rapporto sulla fede", Vittorio Messori a colloquio con il cardinale Joseph Ratzinger, Edizioni San Paolo, 1985.

22 commenti:

mariateresa ha detto...

cara Raffaella, ricordo bene questo bel libro. Tutti gli elementi fondanti di questo pontificato erano racchiusi lì ed è un libro che ha una certa età. Allora non era Prefetto da molto tempo ma le sue idee erano piuttosto chiare. E GPII ha avuto fiducia in lui per 25 anni.
Questi sono i fatti su cui alcuni evitano di ragionare.
Se si vuole ragionare.
Ricordo anche che quando è uscito il libro scoppiò un vero scandalo, sembravano diventati tutti matti, insomma una profezia di quello che sarebbe successo in questi due anni e mezzo sui media. Messori ha raccontato che per un po' dovette sparire dalla circolazione a causa delle minacce e dovette riparare in un convento.
Ecco perchè quando hanno eletto Benedetto alcuni si sono strappati i capelli dalla testa.E continuano a strapparseli.
Non dobbiamo quindi meravigliarci di quello che scrivono i giornali, cioè sempre gli stessi sui giornali.
E' un libro molto bello.

Anonimo ha detto...

Ciao Mariateresa, "Rapporto sulla fede" e' il secondo libro di Joseph Ratzinger che ho letto (il primo e' stato "La mia vita"). Allora era disponibile su internet nella versione integrale che ora non riesco piu' a rintracciare. Ricordo' che mi colpi' moltissimo la capacita' dell'allora cardinale di vedere tutto con estrema chiarezza ed onesta'. Anche adesso, leggendo raccolte di testi, come "Collaboratori della verita', 365 giorni con il Papa" sembra quasi impossibile constatare quanto il nostro Pontefice sia sempre stato lungimirante. E' estremamente probabile che coloro che, al tempo, costrinsero Messori a riparare in convento, siano gli stessi che oggi straparlano di tradimento del Concilio e di passi indietro...
R.

euge ha detto...

Cara Mariateresa hai proprio ragione. io ho il libro 365 giorni con il Papa che poi è la versione di Collaboratori della Verità ed ogni brano ed ogni commento è qualcosa di unico da cui c'è sempre da imparare e non solo !!!!!!! Purtroppo è vero ragazze quelli che si sono strappati i capelli quando lo hanno eletto Papa ( spero che rimangano paelati ), erano gli stessi che già all'epoca ne dicevano di tutti i colori ......purtoppo, sarà sempre così. Ma sapete che vi dico a parte la rabbia ed anche tanta pena per questi poveretti che non sanno cosa perdono, io sono felicissima del mio Papa che stimo, a cui voglio bene e che difendo come e quando posso, con tutte le mie forze!!!!!
Eugenia

mariateresa ha detto...

Tutti noi gli vogliamo bene, Euge.
A volte però mi chiedo, ma non so chi possa rispondermi, se è giusto che abbia sulle spalle un peso così grande e che porta in larga parte da solo, dopo 50 anni di servizio sacerdotale leale e coraggioso.
Mi sembra un po' troppo, a volte.

Anonimo ha detto...

Segnalo come l' Arcivescovo di Pisa (lo è ancora per poco, l'8 agosto p.v. compirà 75 anni e dovrà dare le dimissioni, che, speriamo siano accettate in fretta) abbia accolto, con poco amore secondo me, il motu prprio "Summorum pontificum cura".
E' un'intervista pobblicata nella edizione odierna del quotidiano IL Tirreno.
E' mia premura fare presente, anche all'ARCIvescovo, che in diocesi esistono certamente, e in buon numero, parrocchiani "residenziali", non forestieri, che chiederanno quanto concesso dal Regnante Pontefice.



«Messa in latino? Dobbiamo vigilare». Plotti: solo se la chiedono i parrocchiani, con amore e senza pretesti.

di Giovanni Parlato



Pisa. La maggior parte dei fedeli teme di entrare in chiesa e ascoltare il prete che non celebra più la messa in italiano, ma in latino.

Un ritorno all'antico di cui la gente non riesce a comprendere le ragioni. In realtà, la questione è più complessa e diversa. Ne abbiamo parlato con l'arcivescovo di Pisa, Alessandro Plotti, che è stato vice-presidente della Cei, la Conferenza episcopale italiana.

Monsignore, qual è la novità principale introdotta da papa Ratzinger?

«Torna la possibilità di celebrare la messa di san Pio V, il rito tridentino precedente il Concilio Vaticano II».

Qual è il motivo che ha spinto il papa a questa decisione?

«All'interno della chiesa cattolica esistono gruppi, come i lefebvreiani [sic], legati a questo rito. Si è voluto dare l'opportunità a questa esigua parte di cattolici di celebrare la messa secondo il rito precedente il concilio».

Quali novità introduce la possibilità di celebrare la messa secondo il rito tridentino?

«Chi, prima, voleva celebrare la messa con il rito preconciliare di Pio V doveva presentare una domanda al vescovo. Adesso non è più così. Un gruppo di parrocchiani stabilmente costituito può avanzare la richiesta direttamente al parroco. Secondo l'articolo 5 del motu proprio "Summarum [sic] Pontificum" di papa Benedetto XVI ciò può avvenire solo nel caso in cui nella parrocchia esista stabilmente un gruppo di fedeli che vuole che sia celebrata la messa secondo la liturgia pre-conciliare. Ma l'articolo aggiunge che il consenso, però, si deve armonizzare con la cura pastorale ordinaria della parrocchia».

Avrà effetti sul nostro territorio?

«No, nella nostra zona non credo. In Toscana, tuttavia, ci sono un paio di luoghi che potrebbero aderire al rito preconciliare. A Poggibonsi c'è una comunità dell'ordine cavalleresco dei Templari riconosciuta dall'arcivescovo di Siena cui è stato concesso l'indulto per celebrare la messa. Un'altra comunità si trova a Cicigliano [sic], vicino Firenze, dove ci sono ex lefebvreiani [sic sic] legati a questo particolare rito. In Italia, ma soprattutto in Francia e Usa, ci sono movimenti che vogliono sconfessare la nuova messa poiché è il frutto del Vaticano II, un concilio che secondo loro ha rovinato la chiesa. Sono poccole frange integraliste contrarie all'apertura della chiesa che s'incarna nel mondo».

Qual è la sua posizione?

«Ritengo che noi vescovi dobbiamo vigilare. Ho scritto una nota per i parroci della diocesi che sarà pubblicata fra quindici giorni sul bollettino diocesano».

Può anticipare il contenuto di questa nota?

«I parroci prima di dare il loro consenso devono verificare che sia una richiesta autentica d'amore e voluta da un gruppo stabile di fedeli e che tutto quanto si armonizzi con la cura ordinaria».

C'è la possibilità che gruppi di cattolici integralisti possano arrivare da fuori e richiedere a un parroco di celebrare la messa di San Pio V?

«La richiesta, come ha voluto il papa, deve provenire dai fedeli che frequentano la parrocchia. Credo che andrebbero stroncate le eventuali richieste di chi volesse celebrare una messa col rito preconciliare senza un fondamento di amore e serenità per la Chiesa, ma adducendo solo pretesti».



da Il Tirreno di venerdì 13 luglio 2007, p. 13

Anonimo ha detto...

Care Euge e Mariateresa, credo che il Papa senta l'affetto di tutti coloro che gli vogliono bene. A volte, pero', non posso fare a meno di pormi la stessa domanda di Mariateresa: e' giusto che il Papa si sobbarchi tanto lavoro? Sono convinta che il Signore lo aiuta ma anche noi dobbiamo stargli vicino con la preghiera.
R.

Anonimo ha detto...

Grazie Charette, sei stato veramente gentilissima. Se mi permetti, inserisco l'intervista direttamente nel blog.
Grazie ancora.
Raffaella

euge ha detto...

La mia convinzione del tutto personale, è che quando come nel caso del Cardinale Ratzinger ora Benedetto XVI, ricevi dal Signore un tale incarico, ricevi anche da Lui la forza per poterlo portare avanti; è chiaro però, che tantissime volte, soprattutto quando mi trovo di fronte persone che esternano tanto odio, risentimento, offese e quant'altro, mi sento impotente ad agire e mi chiedo perchè tutto addosso a Benedetto???????? Non sò rispondervi ................... ma, poi la stima, la gratitudine , la fiducia che nutro in lui, in qualche modo mi dicono che forse è giusto così e che come ho detto prima, il Signore gli da le forze necessarie per compiere ciò che deve per il bene di tutti noi, per il bene della Chiesa di Cristo!!!! Per quanto mi riguarda le mie preghiere non gli mancheranno mai .............!!!!!!!!!!!!!!!!!
Eugenia

euge ha detto...

grazie charette per la tua segnalazione tu dici che stato accolto con poco amore il Motu Proprio io direi addirittura che è stato accolto purtroppo, con indifferenza, freddezza, astio, paura ed ignoranza........ devo continuare la lista?????????????
Eugenia

Anonimo ha detto...

Mons. Plotti rimane pur sempre il mio Arcivescovo, e, quindi non si può andar giù troppo duri.
Mi preme far sapere anche, già che ci sono, che non sono una femminuccia, ma un maschio, e di gusti normali, visti i tempi è bene ribadirlo.
Il "nick" deriva da quello con cui era noto "François-Athanase de la Contrie".
Per chi vuol togliersi ulteriori curiosità basta che faccia una ricerca con google.
Saluti a tutti/e in Gesù e Maria

Luisa ha detto...

Beh aspettiamo i fatti. I preti, vescovi, dovranno ubbidire, per loro non c`è alternativa.
Metteranno i bastoni nelle ruote? Dipenderà allora dai fedeli di farsi sentire.
La sola, o forse la più grande difficoltà che io posso immaginare è che non si trovino preti in grado di celebrare la messa in latino , con il rito tridentino!
Persino il cardinale Ricard, di Bordeaux ha ammesso di dover riprendere tutto da 0 !
È incredibile come tutti questi partigiani di una maggior libertà si impennino contro la libertà data a un gruppo di fedeli , cadiamo nell`ideologia e quando la religione diventa ideologia non può scaturirne niente di buono .
Tutte queste persone avevano sepolto il latino e i fedeli amanti de rito tridentino ricoprendoli con i veli dell`oblio, credevano fossero definitivamente nei corridoi oscuri del passato e aspettavano che l`ultimo rappresentante di quella razza in via di estinzione morisse, si trovano oggi davanti l`obbligo di guardare in faccia questa realtà della Chiesa che è ancora viva, ha resistito con coraggio e non si è lasciata seppellire viva !
Ma è chiaro che spero di tutto cuore che le domande si facciano con amore, serenità,calma, solo così l`obiettivo del Santo Padre di riunire il suo gregge ha una chance di essere raggiunto.

euge ha detto...

Per Charrette è chiaro che quello che ho detto è un riferimento generico!!!!!!!!!!!!!!! se però tu desideri tanto che dia le dimissioni e che queste vengano accettate, evidentemente, vuol dire che forse non ha adempiuto a pieno a ciò che doveva fare. Però io non sono di Pisa quindi la cosa mi riguarda poco!!!!!
Cara Luisa io non posso che darti ragione più di una volta ho detto e sostenuto che questi sostenitori ad oltranza del Concilio sono più ottusi dei peggiori tradizionalisti e non solo visto che considerano a priori tutti i fedeli interessati al rito tridentino, una sorta di rivoltosi senza Dio!!!!!!!!!!!!!!
E' inaccettabile ed inconcepibile!!!!!!!!!!!
Eugenia

mariateresa ha detto...

Le posizioni personali del vescovo di Pisa sono note. Poteva andar peggio.
Non è questo che spaventa.
E comunque non dimentichiamo che c'è tempo . Fino al 14 settembre. e dopo. ci vorranno un po' di anni per capire come va. Non impressionamoci,è interesse di alcuni di enfatizzare le difficoltà adesso.
Ci sono tre anni di tempo.
Che a loro piaccia o no.
Certi toni nelle interviste si fanno compatire.Perchè se sei leamente contrario lo dici, sennò è inutile che fai l'insondabile offeso.
Sono penosi. Meglio Bianchi.Che è tutto dire.

Anonimo ha detto...

Penso anche io che sia piu' ammirevole la posizione di Enzo Bianchi. E' stato leale e soprattutto ha usato argomentazioni su cui si puo' dissentire, ma il tono era sincero, onesto e mai offensivo. Non si puo' dire la stessa cosa di Melloni...
Mi pare che ci sia la volonta' di creare lo spauracchio o di "mettere le mani avanti". E' mia opinione che i Vescovi si debbano dare da fare per conoscere le eventuali difficolta' dei parroci entro il 14 settembre. Ormai la "palla" e' passata a loro e non e' rilasciando interviste che si risolvono i problemi.
R.

Anonimo ha detto...

Già cara Raffaella è ora che si mettano a lavorare e si prendano le loro responsabilità i sig.ri Vescovi

francesco ha detto...

ah!!!
queste cose le ho lette che avevo 19 anni... e come mi hanno lavorato dentro!
una lacrimuccia... ancora
per consolarvi vi invito su youtube per questo bel pezzo del mio amico/"tutorato" don andrea
http://it.youtube.com/watch?v=pbOY1-eFgFQ
salut
francesco

Luisa ha detto...

Il vescovo di Ginevra e Losanna,Mgr Genoud, ha domandato a tutti i parroci di fare una consultazione presso i fedeli, sino al 31 agosto, data alla quale si tireranno le lezioni.
Poi come al solito , molto dipenderà da come sono poste le domande, a chi, la reale diffusione presso i fedeli, non è diffficile far prova di cattiva volontà e mascherare dei risultati. Triste trattandosi di sacerdoti, ma visto le prime reazioni niente saprebbe stupirmi!
Anche se qui da noi, non corrono il rischio di dover ritornare ai loro cari studi di latino, perchè le liturgie auto-celebrative sono la norma, salvo rare e lodevoli eccezioni!
I laici hanno preso una tale parte in questa liturgia che di sacro, non ha più gran che, che sembra svolgersi "etsi Deus non daretur",che non hanno certo voglia di cambiare.
Resta da vedere se il gruppo che celebra con il rito tridentino, che si riunisce in una cripta oscura sotto una chiesa domanderà di aver diritto di salire alla luce e celebrare nella bellezza di una chiesa !

euge ha detto...

Non ero a conoscenza di questi episodi cara Luisa ..........mi sembra veramente indecoroso tutto ciò e contrario decisamente allo spirito cristiano......perchè celebrare ion una cripta buia?????? non sono mica una setta !!!!!!!! Che orrore. Non avrei mai immaginato che un Vescovo potesse permettere tutto questo!
Eugenia

Anonimo ha detto...

Veramente una cripta sarebbe già un lusso... molte volte dobbiamo adattarci a degli oratoti privati con ambienti di 5m. per 7m. dove dentro si sta in quaranta... tramezzi che ostacolano la visione, sedie invece delle panche...
Oremus pro pontifice nostro Benedicto...

Anonimo ha detto...

Cara Raffaella, sono rimasto talmente “piacevolmente sconvolto” dalla disarmante chiarezza e semplicità con cui il Santo Padre già nel 1985 esprimeva il Suo illuminato pensiero riguardo a quelle problematiche che mi stanno tanto a cuore, al punto che non ho resistito alla tentazione di inviare subito una mail ai sacerdoti della parrocchia in cui abito, con un benevolo invito a cliccare sia il link del tuo sito che questo specifico. E visto che ogni parrocchia ha la sua mail, che ne diresti se invitassimo tutti a fare altrettanto, magari invitandoli sin da ora ad organizzarsi per accogliere le eventuali richieste della messa in latino come ho già fatto io?!?

euge ha detto...

Non ho parole!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

Eugenia

Anonimo ha detto...

Ciao Gianpaolo, come ho scritto nella titolazione del blog, questo spazio e' aperto a tutti e il materiale che vi e' contenuto puo' essere utilizzato per ricerche, studi e chiarimenti. Per questo sono importantissimi i commenti di tutti noi perche' offrono a ciascuno un diverso punto di vista su cui meditare :-)
R.