25 novembre 2007
Card. Delly all'Osservatore Romano: la mia porpora è un onore per tutti gli iracheni senza distinzioni
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La riconoscenza del patriarca Emmanuel III Delly al Papa
Un onore per tutti gli iracheni senza distinzioni
Gianluca Biccini
"Un onore non solo per me, ma per tutto il Paese, per tutti gli iracheni senza distinzioni. Il Signore ci ha dato il dono dell'intelligenza per parlarci gli uni con gli altri, per dialogare, perché finché non c'è pace non c'è sicurezza". Così il cardinale Emmanuel III Delly ha commentato le parole di Benedetto XVI durante il Concistoro di sabato 24 novembre, in cui il patriarca di Babilonia dei Caldei ha ricevuto la porpora. Ecco l'intervista rilasciata a "L'Osservatore Romano" dal capo spirituale della comunità cattolica irachena.
Quali sono i suoi sentimenti?
Innanzitutto di gratitudine al Papa che ha dato dignità a tutto il nostro popolo. Spero inoltre che questa scelta si riveli utile per il mio Paese, per la terra dove è nato il nostro padre Abramo: è infatti mia intenzione di continuare ad essere al servizio di tutti gli iracheni, cristiani e musulmani. Credo che il Papa abbia voluto dare un segnale di riconciliazione.
Che eco ha avuto in Iraq la notizia della sua elevazione alla dignità cardinalizia?
Dopo l'annuncio di Benedetto XVI ho incontrato il presidente del consiglio, il vice presidente e il presidente della Repubblica e tutti mi hanno espresso congratulazioni.
Qual è la situazione attuale nel Paese?
Ogni giorno la popolazione deve affrontare tutta una serie di difficoltà, soprattutto a livello di comunicazioni. Ma adesso che le cose vanno lentamente migliorando, molte famiglie cominciano a tornare alle loro case ed anche le chiese stanno riaprendo al culto. Questi sono segni di speranza e i cristiani sono figli della speranza.
Senza dimenticare le vittime che sono state e che continuano ad essere tante.
Vorrei fosse chiaro che non c'è persecuzione verso i cristiani in quanto tali, ma verso il popolo iracheno, perché le autobombe ammazzano cristiani e musulmani, indifferentemente, senza guardare all'etnia o alla religione. Le sofferenze dei cristiani sono quelle dei musulmani e viceversa. Sono state distrutte non solo chiese ma anche moschee. E ciò in un Paese in cui entrambe le comunità vivono insieme da quattordici secoli. È per questa ragione che i musulmani - sunniti e sciiti - vengono da me ed io vado da loro.
Lei parla un ottimo italiano. Ha studiato a Roma?
All'Urbaniana e alla Lateranense. Qui sono stato ordinato sacerdote nel 1952 dal cardinale Pietro Fumasoni Biondi. Sono tornato per il Concilio Vaticano II, prima come perito, poi come membro.
Vescovo dal 1962, dopo quarant'anni di ministero come ausiliare del patriarca, alla fine del 2002 pensava già alla pensione?
Per raggiunti limiti di età mi ero dimesso dall'incarico, ma il Signore ha disposto diversamente. Alla fine del 2003, dopo che nel mese di marzo era stata scatentata la guerra in Iraq, Giovanni Paolo II convocò in Vaticano il Sinodo dei vescovi della Chiesa caldea. I padri in un'atmosfera serena e concorde mi scelsero come patriarca di Babilonia.
Benedetto XVI ha poi continuato a seguire con attenzione quanto accadeva in Iraq.
Nel novembre 2005 anche Benedetto XVI ha convocato a Roma un Sinodo speciale dei vescovi caldei. Nell'aprile dell'anno successivo tutto l'episcopato iracheno ha indetto due giornate di preghiera e di digiuno per invocare dal Signore il dono della pace e della concordia. Subito il Papa si è unito alla nostra iniziativa, evidenziando ancora una volta la sua attenzione nei nostri confronti.
(©L'Osservatore Romano - 25 novembre 2007)
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