21 novembre 2007

Messa tridentina: boom di richieste (di giovani) in Toscana: l'inchiesta di Repubblica


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Prima di proseguire, leggi la rettifica del Comitato Pisano San Pio V.

L´INCHIESTA

Messa in latino molti la vogliono pochi la sanno

MARIA CRISTINA CARRATU´

LA PRIMA in assoluto è stata la parrocchia dello Spirito Santo a Prato, il 14 settembre scorso, primo giorno utile indicato dal Motu Proprio di Benedetto XVI. Nella Chiesa addobbata per le grandi occasioni il parroco don Enrico Bini, paramenti dorati e spalle ai fedeli, ha esordito con il suo «In nomine Patris, et Filii, et Spiritui Sancti…».
E da lì in poi è stato tutto un pullulare. Una inedita «mappa della fede» sta prendendo forma in Toscana: quella delle chiese e delle parrocchie dove da luglio scorso, quando il Motu Proprio del Papa l´ha tolto dalla «riserva indiana» in cui era stato confinato dopo il Concilio Vaticano II, si celebra messa (o si sta per farlo) secondo l´antico rito romano, in latino e secondo la liturgia stabilita nel 1570 dalla bolla di Papa Pio V, appena modificata nei secoli successivi.
Per chi immaginava che robusti anticorpi potessero scoraggiare ritorni del genere in una regione di radicata tradizione cattolico-democratica, una vera sorpresa. Oltre a Prato, ecco San Martino a Paperino, dove col rito tridentino dice messa il giovane don Gestri, e Massa Carrara (Pieve di Offiano, parrocchia di San Matteo a Casalina), Viareggio (fra poche settimane), perfino Livorno (fra poco alla parrocchia di San Ferdinando alla Crocetta), Barberino Val d´Elsa.

© Copyright Repubblica (Firenze), 21 novembre 2007


Toscana voglia di latino la messa torna all´antico

Sorpresa: le parrocchie chiedono il vecchio rito

Crescono le comunità in cui si celebra la liturgia pre-Concilio
Eppure i vescovi non sono in linea con Benedetto XVI
Non solo anziani cultori: la novità è che piace ai giovani


MARIA CRISTINA CARRATU

A Siena sono in fermento i cavalieri della Militia Templi che fa capo al Castello della Magione, mentre a Pisa si muove (per ora però bloccato dalla Curia) il Comitato San Pio X di giovani Normalisti. E non è da meno Firenze, dove alla chiesa di San Michele e Gaetano, in piazza Antinori, si sta concordando con la Curia una celebrazione stabile. E da gennaio, i frati dell´Immacolata officeranno alla Chiesa di Ognissanti. In provincia già si celebra a Santa Maria a Cafaggiolo e alla parrocchia di Vaglia, con il prete argentino Alejandro Vita, e a San Donato in Poggio, mentre a Certaldo è in corso un braccio di ferro (vedi articolo qua sotto).
Novità nella novità, la presenza, oltre ad una cospicua area di anziani cultori del vecchio rito, di giovani. Ciò che fa gridare «al miracolo» i vecchi accoliti: «Il nostro baluardo liturgico è dunque servito a qualcosa» dice il conte Neri Capponi, presidente onorario dell´Associazione «Una Voce Italia» per la difesa della liturgia gregoriana. E´ vero che la tradizione tridentina, a Firenze, non si è mai interrotta del tutto. A San Francesco Poverino, in piazza Ss. Annunziata, la messa domenicale col rito di Pio V, concessa dagli indulti papali degli anni ‘80, è un´antica consuetudine, mentre l´Istituto di Cristo Re Sommo Sacerdote di Gricigliano (Le Sieci) è da anni riferimento internazionale della liturgia gregoriana. Ma si trattava, appunto, di enclave, eccezioni tollerate. La vera novità sono le comunità che adesso aspirano a una cittadinanza, quelle già esistenti e costrette a celebrare qua e là messe non ufficiali, e soprattutto le nuove. Come quella di San Gaetano, un´ottantina di fedeli fra cui il barone Giovanni Ricasoli Firidolfi, ma anche il presidente dei giovani giuristi cattolici Antonio Bellizzi, un consigliere comunale di Forza Italia di Vinci, e giovani laureati, impiegati, commessi, ceto medio qualunque. Non «nobiltà nera» in vena di revanche, insomma, sostiene il diacono Roberto Donati, «ma persone che semplicemente desiderano una liturgia più consona alla loro sensibilità».
E chissà che «il ritorno al rito antico non nasca proprio dalle derive di improvvisazione seguite al Concilio».
Certo è che il fermento tradizionalista sfida una linea pastorale ufficiale che, in Toscana, non sembra affatto favorevole al Motu Proprio.
Al punto che c´è chi considera rivolta anche ai vescovi toscani la denuncia della Congregazione per il culto divino, che nei giorni scorsi ha tuonato contro la «crisi di obbedienza verso il santo padre», in atto «in alcune nazioni e diocesi». Già ad aprile, durante la visita ad limina, i vescovi toscani avevano consegnato alla Congregazione un testo approvato dalla Conferenza episcopale regionale contrario all´annunciato Motu Proprio, il quale, si sosteneva, avrebbe prodotto solo «confusione» pastorale. A Pisa, l´arcivescovo Plotti ha poi diffuso una nota in cui, sebbene il Motu Proprio per la prima volta attribuisca ai parroci la facoltà di dire messa col rito antico, ricorda che il referente ultimo resta pur sempre lui. I sostenitori del rito tridentino ne sono convinti: «I vescovi temono solo di perdere potere» sostiene il conte Marcello Cristofari della Magione, «di fronte a chi ora può finalmente contestare il ‘disagio liturgico´ cresciuto nelle loro diocesi». Ma in prima istanza, ad alimentare le resistenze è certamente la salda sensibilità «conciliare» della Toscana. E il sospetto, come avverte Plotti, «che dietro il vessillo di Pio V si nasconda un atteggiamento culturale di fondo, che si esprime nella fede, ma anche politicamente». Insomma, la pericolosa idea di una Chiesa che «corrotta» dal Vaticano II, si tratterebbe ora di far rientrare nella corretta dottrina. Negando il Concilio. Che però, in Toscana, oltre che fra i vescovi, ha messo ben salde radici. Come dimostra l´episodio avvenuto giorni fa in una chiesa del Chianti. Dove, al prete che mostrava come si celebra la messa in latino, spalle all´assemblea, un fedele ha chiesto preoccupato: «Ce l´hai con noi?».

© Copyright Repubblica (Firenze), 21 novembre 2007



I ragazzi insistono, ma il sacerdote per ora si rifiuta

"Parroco, diccela" "Bisogna l´impari"

Ma lui ribatte "Mi serve un po´ di preparazione: non è così facile celebrare la messa di Pio V"
Da agosto i fedeli, per lo più trentenni, fanno pressing su don Amati "Suvvia, almeno una domenica al mese"


Da una parte lui, don Pierfrancesco Amati, 55 anni, aspetto gioviale e piglio deciso, parroco della chiesa di San Tommaso e di quella dei Santi Michele e Jacopo, che formano l´unica parrocchia di Certaldo. Dall´altro Paolo Ficcadenti, 34 anni, portavoce di un gruppo di fedeli che da agosto reclama una messa in latino secondo il rito di Pio V. Che però a tutt´oggi il parroco non ha ancora concesso. Costringendoli, nonostante la materia, secondo il Motu Proprio di Benedetto XVI, sia diventata di competenza dei singoli parroci, a rivolgersi direttamente in Curia, all´arcivescovo Ennio Antonelli. Con un gesto che si configura come il primo scontro ufficiale in terra toscana riguardo allo ‘sdoganamento´, già controverso a livello nazionale, del nuovo culto.
«Non chiediamo tanto, giusto una messa fra le cinque che ogni domenica si celebrano fra le due chiese» sostiene Ficcadenti, che dice di parlare a nome di almeno una trentina di persone, «un gruppo stabile che da tempo si ritrova a pregare insieme» e che nel rito in latino «ritrova un modo per accedere meglio al senso del sacro». Giovani e meno giovani, coppie, imprenditori, impiegati, «insomma gente di tutti i tipi». Passatisti conservatori? Secondo Ficcadenti, «gente che semplicemente considera molto più affascinante quello che è antico, e si collega ai nostri antenati, di quello che è moderno e legato al progresso per il progresso. Tutto qui». Un gruppo, in ogni caso, che per consistenza e intenzioni risponde esattamente alle caratteristiche richieste dal Motu Proprio per essere presi in considerazione.
Il parroco però, finora si è rifiutato di fissare un calendario. «Altro che messa elitaria, come dice qualcuno» protesta Ficcadenti, «queste resistenze corrispondono a quelle dei vescovi, e tutte nascono dal timore che diventi questa la vera messa del popolo, il quale avverte benissimo la sciatteria del rito attuale». Don Amati però non ci sta a farsi mettere sotto accusa: «Ma no, il mio non è un no categorico. Ho solo detto che ci vuole preparazione, per capire in cosa consista il rito antico». Senza contare, ammette il parroco, «che anch´io devo imparare. Non è mica così semplice, celebrare la messa di Pio V…». Insomma, se ne riparlerà a gennaio, minimo. E in ogni caso, «cominciando con una messa al mese, non di più». Salvo verifica delle reazioni della parrocchia, tutta quanta. Se poi tutto andasse bene, «vorrà dire che il nuovo rito sarà una ricchezza in più, per tutti».
(m.c.c.)

© Copyright Repubblica (Firenze), 21 novembre 2007


LE OPINIONI

Carifi: "Senso del sublime"

Ai poeti piace "Aristocrazia dello spirito"

Ceronetti parla di "effetto magico della liturgia"

Due voci diverse, quella di un poeta, e quella di uno scrittore, certo non tacciabili di ‘oscurantismo´ culturale. Sempre ‘contro´, ma sempre in nome della libertà interiore. Roberto Carifi e Guido Ceronetti si dicono entrambi a favore della messa in latino, non per religiosità, dimensione a cui si dichiarano estranei, ma per motivi profondamente «spirituali». «Tutti i riti, quando sono belli, completi, pieni, esteticamente apprezzabili, trasmettono il senso del sublime» dice Carifi. E il sublime è «la massima luce sulle cose», la «luce dell´Oltre» che «tanto spesso si perde quando si resta legati alla terra». E´ vero, aggiunge il poeta pistoiese, che una liturgia come quella in latino antico «dà il senso di una aristocrazia, ma di una aristocrazia dello spirito. Che è sempre un valore». «Sono contento del ritorno del latino a messa così come avrei protestato se avessero tolto l´arabo dalle moschee» dice Ceronetti. «L´effetto magico della liturgia è fondamentale per dare vita a ciò che altrimenti resterebbe materia inerte».

© Copyright Repubblica (Firenze), 21 novembre 2007


COME CAMBIA IL RITO

Manuali e corsi speciali per rinfrescare la memoria ai sacerdoti

E alla fine: "Ite, missa est" Per chi non la sa c´è il dvd

Parole e gesti, pochi in grado di celebrarla

Nel Motu Proprio il Papa lo chiarisce: sia il messale di Pio V, parzialmente aggiornato (l´ultima volta nel 1962), ma rimasto sostanzialmente in vigore fino al 1970, sia quello di Paolo VI che lo sostituì, riformato dal Concilio Vaticano II, sono «espressioni della lex orandi (legge della preghiera) della Chiesa», che «non porteranno in alcun modo a una divisone nella lex credendi (legge della fede)». Il rito antico, però - mai abrogato, ma che ora si potrà celebrare senza più la dispensa del vescovo, sebbene ancora in via straordinaria rispetto alla normale programmazione pastorale - è molto diverso da quello delle messe in italiano. E non solo per l´uso esclusivo del latino (anche se l´italiano resterà possibile per le Letture). Innanzitutto per la diversa struttura liturgica della celebrazione. L´introitus comprende infatti numerose preghiere iniziali pronunciate dal sacerdote ai gradini dell´altare, nonché finali, di ringraziamento e di invocazione, precedute dalla lettura del prologo del Vangelo di Giovanni. Oggi eliminate. La celebrazione, poi, si svolge con il prete che volge sempre le spalle all´assemblea, come invitando il popolo ad andare verso Cristo, e a sottolineare la sua specifica funzione ministeriale, separata da quella del popolo anche visivamente dalla balaustra fra presbiterio e navata. Con la riforma conciliare l´accento è stato posto invece sulla centralità dell´assemblea, raccolta intorno alla mensa del sacrificio secondo l´idea di un «sacerdozio universale» del popolo. Nell´Offertorio, quindi, nel rito antico risalta l´aspetto sacrificale della vittima offerta a Dio (con il celebrante che recita: Suscite Sancte Pater hanc immaculatam hostiam et calicem salutaris), mentre nella messa postconciliare si delinea piuttosto uno scambio di doni, con il connesso impegno dell´uomo nella realtà terrestre (Ricevi questo pane frutto della terra e del lavoro dell´uomo…e questo calice frutto della vite e del lavoro dell´uomo…perché diventi per noi cibo di vita eterna…bevanda di salvezza). Nel rito di Pio V, inoltre, la Consacrazione è molto più sottolineata da segni di croce, con il sacerdote che mormora a bassa voce mentre i fedeli, al suono del campanello, chinano la testa in adorazione. Dopo il Pater Noster, la Comunione. Con l´ostia rigorosamente posta dal sacerdote nella bocca del fedele inginocchiato, mentre un piattino sotto il mento serve a raccogliere anche i minimi frammenti del Corpo di Cristo. La messa si conclude con l´Ite missa est, seguita dalla risposta: Deo gratias. Ma in generale, nel rito antico la voce dei fedeli quasi non si sente, relegata agli Amen, alla recitazione del Pater Noster e a pochi altri momenti. Molto più ricchi simbolicamente anche i paramenti, fra cui il velo che copre il calice.
E adesso, per i preti toscani a cui qualche gruppo di fedeli chiederà il rito in latino, si tratterà di tornare a scuola (mentre per i fedeli le edizioni Paoline hanno già diffuso il nuovo-vecchio messale in formato superconomico, a 3 euro).
Il messale di Paolo VI, infatti, in vigore finora in maniera esclusiva, ha formato intere generazioni di sacerdoti, che oggi o (i più anziani) hanno dimenticato, o (i più giovani) non conoscono affatto le formule di Pio V.
Così, per correre ai ripari, la Commissione pontifica Ecclesia Dei sta diffondendo materiale informativo, dai testi ai Dvd, ai manuali, a cui i preti potranno attingere. E c´è anche chi, come il castello della Magione a Poggibonsi, dove il culto del rito di Pio V non è mai venuto meno, offre ai preti corsi di formazione full immersion, oltre che sacerdoti già esperti in celebrazioni all´antica, disponibili ad andare dove serve.
(m.c.c.)

© Copyright Repubblica (Firenze), 21 novembre 2007

8 commenti:

mariateresa ha detto...

cara Raffaella, diamo tempo al tempo. Sono sicura che le cose si sistemeranno in un ragionevole equilibrio. E chi ha parlato in modo sgangherato, e da una parte e dall'altra, dovrà mettersi quieto.
Io sono fiduciosa.
Io credo che in tutta questa vicenda abbia pesato anche un altro fattore , che non ha niente a che vedere con il Concilio sì o no,ma solo con la natura umana e cioè la pigrizia. Da questa serie di articoli un po' si vede.

Anonimo ha detto...

Concordo :-))

Gianpaolo1951 ha detto...

E’ triste e avvilente constatare che ci sono tanti sacerdoti che non ricordano o – peggio ancora – non conoscono il latino, la lingua madre della Chiesa.
E’ un po’ come se un professore di lettere e storia sapesse tutto dall’anno mille in poi, ma ignorasse completamente sia la cultura, che quanto è successo prima.

euge ha detto...

Concordo con te mariateresa però un piccolo sassolino dalla scarpa se mi permettete lo voglio togliere.......... tutti coloro che avevano pensato di riavvicinare i giovani snaturando anche l'attuale liturgia forse dovrebbero meditare e molto si questa notizia......... certo, si può parlare di pura curiosità ma, fino a che punto sarà tutto da verificare.
Eugenia

mariateresa ha detto...

cara euge, la componente della curiosità c'è sicuramente, del resto non mi risulta essere un peccato mortale. ma c'è anche un'altra componente, questa sì importante, e cioè la mancanza di pregiudizi e questo avviene proprio per un fatto generazionale.
e se ci fate caso i vescovi che hanno, come dire, fatto i difficili sono per larga parte della stessa generazione.
L'interesse dei giovani è confermato anche negli USA da più fonti e anche in Francia. Forse, dico forse, le attuali celebrazioni lasciano un po' di insoddisfazione in bocca. Proprio ai più giovani.

Anonimo ha detto...

Maria Cristina Carratù scrive:

"Messa in latino molti la vogliono pochi la sanno"

Ragione di più per non creare confusione in chi si sforza di apprendere.

Segno della Croce:

In nomine Patris, et Filii, et Spiritus Sancti.

Spiritui è dativo (allo Spirito).


Cesare GC

euge ha detto...

Infatti cara mariateresa io reputo la curiosità in questo caso il fattore predominante però come fai tu del resto, non mi sento di escludere una sana voglia da parte dei giovani, di una celebrazione che ti lasci qualcosa dentro. Magari proprio chi va per pura curiosità poi troverà la cosa interessante o addirittura più vicina alla sua concreta voglia di spiritualità; considera che molti come me si sono allontanati dalla chiesa anche perchè stufi di certe libertà alla faccia della liturgia. Per Giampaolo a chi lo dici per me è una vera vera vergogna che ai sacerdoti soprattutto giovani non sia insegnato il latino ma, ancora più grave trovo che non venga spiegata l'importanza di un rito che fa parte integrante della cultura della chiesa e quindi di noi fedeli
mi auguro che sia posto rimedio efficace, a questa inconcepibile manchevolezza.
Eugenia

Anonimo ha detto...

A FINE ANNI 60 HO COLLABORATO ATTIVAMENTE CON IL MIO PARROCO - NON CERTO UN PROGRESSISTA - PER IL PASSAGGIO DALLA MESSA DAL LATINO IN ITALIANO. UNA GRANDE VITTORIA!
PREGARE, STARE INSIEME E CAPITE TUTTI - E NON SOLO UN POPOLO DI ELETTI - E' STATA UNA GRANDE CONQUISTA.
NELLA DIOCESI DI FIRENZE SOLO TRE PARROCCHIE SU CIRCA 400 HANNO ADERITO.
QUESTA MI SEMBRA UN GRANDE VITTORIA DI CIVILTà E SOPRATUTTO DI FEDE.
GIUSEPPE