20 novembre 2007
Beatificazione di Rosmini: il commento di Mons. Fisichella
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«Un santo che unisce carità e intelligenza»
Fisichella: Rosmini fu sempre fedele alla Chiesa La beatificazione riconosce il suo servizio appassionato
DI LORENZO ROSOLI
Confessa di essersi «emozionato », domenica a Novara, durante il rito di beatificazione. «Mentre si alzava il velo sul ritratto di Rosmini ho percepito un sorriso, del tutto indescrivibile, sul suo volto. Forse un sorriso di soddisfazione perché finalmente veniva riconosciuta la sua buona volontà di servire la Chiesa. Questa, non altro, è stata la sua vita». In tale cammino di «riconoscimento» del volto autentico dell’autore delle Cinque piaghe della santa Chiesa, il vescovo ausiliare di Roma, Rino Fisichella, ha avuto un ruolo importante: quello di «ponente». «Nella prassi della Congregazione delle cause dei santi – spiega il rettore della Lateranense – l’ultimo passaggio prima di arrivare al Papa è la riunione plenaria della Congregazione, dove vi sono quindici cardinali e vescovi che debbono votare sia le virtù sia – in un momento diverso – il miracolo. Ogni causa viene presentata da un relatore, il ponente ».
Quale profilo di santità identifica Rosmini in modo peculiare?
In primo luogo la sua vita posta interamente alla luce dell’obbedienza alla volontà di Dio. In secondo luogo: quando Rosmini riceve la vocazione al sacerdozio, dice: Dio mi aprì gli occhi su molte cose, e io conobbi che non vi era altra sapienza se non in Dio. Ciò è peculiare per capire non solo la santità ma anche la profondità del suo pensiero: egli riconosce che c’è un primato della grazia nella nostra vita, che tutta la saggezza umana alla fine deve sfociare nella sapienza di Dio.
In Rosmini il riferimento alla carità è centrale...
Una carità che declina su tre piani. Prima di tutto la carità spirituale: la vita teologale, quell’amore che deve plasmare l’intera esistenza del cristiano. Vi è poi la sua bella interpretazione della carità intellettuale: da un lato Rosmini volle promuovere l’intelligenza della rivelazione e della fede, all’interno della Chiesa – quindi sostenne la formazione del clero, la cui insufficiente educazione aveva additato fra le «piaghe» della Chiesa; dall’altro divenne lui stesso segno concreto di dialogo con la cultura del tempo – si pensi a nomi come Tommaseo e Manzoni. Vi è infine la carità temporale. Rosmini non ha fondato solo l’Istituto della Carità ma anche le Suore della Provvidenza, come a dire che la carità deve sapersi aprire a quella dimensione più profonda, originaria d’ogni amore, che è l’amore di Dio provvidente.
Lei era a Novara, domenica. Quali sentimenti ha vissuto?
Di grande emozione: mentre il velo scopriva il ritratto di Rosmini, mi pareva di vedere un sorriso. Di rivincita? Lui non era l’uomo delle rivincite. Ma la sua vita testimonia una santità che si esprime nella parresia, nel parlare chiaro e forte. Una santità attuale: in tempi di politically correct come i nostri, ci ricorda che l’amore si manifesta dicendo la verità. Certamente nella carità, come insegna san Paolo.
Rosmini: non solo intellettuale, ma prima di tutto sacerdote. Che cos’ha da dire ai preti di oggi?
A quanti sono ministri del mistero ricorda come debbano indagare sempre più in profondità il mistero del quale vivono, e farsi segno eloquente del mistero che va incontro a ogni persona.
E a quanti – laici in primis – sono impegnati nella vita sociale?
Ricorda di essere ministri della carità nel suo triplice ordine: cioè di vivere della carità spirituale e di praticare senza timori la carità intellettuale, senza limitarsi a essere dispensatori della carità temporale. Rosmini – ce lo rammenta Giovanni Paolo II nella Fides et ratio – è stato inoltre l’autore di un sistema filosofico di così altro profilo da saper affascinare anche il filosofo di oggi e chi non condivide la nostra fede. Il suo talento intellettuale si è prestato anche al servizio della politica.
Se Rosmini potesse tornare a chinarsi sulle ferite e le speranze della Chiesa, se potesse aggiornare la sua opera più celebre, quali nomi darebbe oggi alle «piaghe»?
Non voglio essere blasfemo, ma credo che oggi come al suo tempo – probabilmente – prenderebbe in considerazione la «piaga» dell’insufficiente educazione del clero. Alcune «piaghe » d’allora sono state superate, ma altre – grazie alla sua lucidità e profondità – saprebbe individuarle, e non so se gli basterebbe il numero di cinque... Attenzione, però: solo chi ama davvero la Chiesa, fino in fondo – come Rosmini – è in grado di scrivere pagine che dall’interno possano far comprendere i limiti degli uomini di Chiesa.
Dove e come visse, Rosmini, la sua «obbedienza alla volontà di Dio»?
Soprattutto nella fedeltà alla Chiesa. Anche di fronte alle prospettive di carriera ecclesiastica, volle rimanere fedele alla missione che Pio VIII gli aveva affidato di servire la Chiesa col suo lavoro intellettuale.
Qual è l’eredità più viva, preziosa, che le ha lasciato questo incarico di «ponente » nella causa di Rosmini?
Ringrazio il Signore e i superiori di avermi assegnato questa causa. Si è finalmente riconciliata la santità e l’intelligenza di un sacerdote con quel cammino di sviluppo dell’intelligenza che la Chiesa ha sempre avuto del mistero in cui crede. Rosmini inoltre mi ha fatto capire una cosa molto semplice: che la fede è la cosa più grande. Che tutto quel che facciamo, è solo per amore della Chiesa, per fedeltà alla chiamata del Signore. Soltanto lì stanno la gioia e la consolazione.
Il vescovo e rettore della Lateranense è stato «ponente» della causa del Roveretano «Solo chi ama davvero il popolo di Dio può additarne le piaghe e prestarsi a curarle»
© Copyright Avvenire, 20 novembre 2007
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