21 novembre 2007

La rivoluzione delle staminali adulte: esperimenti senza embrioni


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Gli scienziati

La rivoluzione delle staminali così le cellule "ringiovaniscono"

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Due ricerche in Usa e Giappone. In futuro serviranno a studiare malattie e nuove terapie

MARIO REGGIO

ROMA - Cellule adulte di pelle umana "riprogrammate" inserendo nel Dna pochissimi geni che, come per incanto, tornano "bambine". Senza ricorrere alla clonazione e senza distruggere embrioni. La sperimentazione è stata conclusa da due équipe di ricercatori, uno statunitense e l´altro giapponese, che hanno lavorato in modo indipendente ed impiegato tecniche diverse anche se simili. I risultati sono stati pubblicati rispettivamente sulle edizioni online di "Science" e "Cell". Per comprendere la portata dei risultati delle ricerche basta registrare la presa di posizione del presidente degli Stati Uniti: «La Casa Bianca accoglie con grande favore i risultati dello studio innovativo - ha dichiarato Dana Perino, portavoce di George W. Bush - il presidente incoraggia l´avanzamento della ricerca all´interno dell´etica quando si evitano tecniche che distruggono la vita». Gli esperimenti sono stati condotti rispettivamente da Shinya Yamanaka, dell´Università di Kyoto, e da James Thomson, dell´università del Wisconsin-Madison. Il risultato era stato in parte anticipato sabato scorso dal pioniere delle ricerche sulla clonazione, Ian Wilmut, che commentando i nuovi risultati aveva dichiarato di voler abbandonare la via della clonazione terapeutica.
I due studi si basano su ricette simili ma non identiche. In entrambi i casi sono partiti da cellule di pelle umana, o fibroblasti, e hanno modificato il loro patrimonio genetico introducendo nel Dna quattro geni che sono attivi esclusivamente durante lo sviluppo embrionale.
Riaccendendo questi geni le cellule hanno cominciato a «dimenticare» il loro programma e a funzionare come cellule embrionali. Sono diventate cioè molto simili alle cellule staminali di un embrione, anche se non identiche, e potenzialmente pluripotenti, ossia capaci di dare origine a diversi tipi di cellule adulte. Gli stessi autori delle ricerche avvertono però che è presto per dire che non ci sarà più bisogno di studiare le cellule staminali embrionali. E´ infatti necessario un continuo confronto fra queste e le staminali ottenute per riprogrammazione prima di poter stabilire che i due tipi di cellule possono essere equivalenti in un futuro uso terapeutico. «Le cellule create in laboratorio fanno esattamente ciò che le staminali embrionali sono capaci di fare», ha osservato Thomson. «Forse - ha aggiunto - sono clinicamente ancora più rilevanti di quelle embrionali, perchè non dovrebbero dare problemi di rigetto». Ottimista, Yamanaka, sul futuro della ricerca: «ora dovremmo essere capaci di generare cellule staminali umane e ottenere vari tipi di cellule, ad esempio cardiache, epatiche, neurali. Queste saranno estremamente utili per studiare le malattie, testare farmaci e, in futuro, aprire la via a terapie cellulari su misura». Il mondo scientifico italiano plaude ai risultati delle ricerche. «Sono risultati che nascono da una ricerca molto solida», commenta Elena Cattaneo, direttrice del Laboratorio cellule staminali dell´Università di Milano. «La ricerca sulle staminali embrionali resta indispensabile», afferma Giuseppe Novelli, docente di Genetica a Tor Vergata, «senza di loro non sarebbero stati raggiunti questi risultati».

© Copyright Repubblica, 21 novembre 2007


Ora non facciamoci ubriacare dal cocktail di Yamanaka

È possibile riprogrammare anche le cellule adulte umane

Anna Meldolesi

Se la buona sorte continuerà a sorridere a Shinya Yamanaka, presto i bioeticisti dovranno trovare qualcosa di nuovo di cui preoccuparsi, perché embrioni e ovociti non saranno più un problema. La battuta, suggerita da uno specialista del campo (José Cibelli), rende l'umore con cui il mondo si appresta a salutare l'ultimo successo dello scienziato giapponese, che promette di terremotare la ricerca sulle staminali. Il cocktail di quattro molecole con cui un anno fa Yamanaka era riuscito a riprogrammare le cellule adulte di topo regalando loro una super-plasticità di tipo embrionale, funziona anche con le cellule umane adulte. Lo dimostrano due lavori appena pubblicati su Cell e Science , rispettivamente dal gruppo del Sol Levante e da un team dell'Università del Wisconsin-Madison.
Il Santo Graal della medicina rigenerativa non è ancora a portata di mano, ma certo è più vicino: in futuro potremmo davvero essere in grado di produrre delle linee cellulari su misura per ogni paziente, utilizzando soltanto qualche cellula della sua epidermide.
Gli ultimi risultati sono incoraggianti. Yamanaka ha riprogrammato cellule prelevate dalla pelle del viso di una donna di 36 anni e dal tessuto connettivo di un uomo di 69 anni. In confronto il suo rivale James Thomson si è facilitato la vita, utilizzando cellule epidermiche giovanissime, appartenenti a un feto e a un neonato. Il giapponese, inoltre, ha prodotto una linea cellulare pluripotente ogni 5 mila cellule trattate, mentre l'americano ha ottenuto un'efficienza dimezzata. Thomson, in compenso, ha modificato un po' la ricetta giapponese, facendo a meno di un ingrediente potenzialmente cancerogeno.
Non c'è dubbio, dunque, che questi exploit meritino un applauso corale, che risuoni dall'Associazione Coscioni al Vaticano. Ma è veramente giunto il momento di dichiarare superato il conflitto etico-politico che ci ha contrapposto finora? Non proprio, perché come sempre accade quando si parla di scienza, la lista dei se e dei ma è lunga. Persino il profilo biografico del nuovo uomo-simbolo della medicina rigenerativa suona come un ammonimento a non sospendere anzitempo la partita e a non penalizzare le cellule embrionali sul fronte dei finanziamenti e delle regole. Yamanaka, infatti, è un pendolare intercontinentale, che da agosto fa la spola tra il Gladstone Institute di San Francisco e l'Università di Kyoto. Sulla carta il Giappone si presenta come un paese permissivo, che consente l'estrazione di cellule staminali dagli embrioni sovrannumerari e persino la clonazione a scopo di ricerca. Ma nella realtà le procedure burocratiche sono talmente onerose da ostacolare anche gli esperimenti con le linee cellulari embrionali già esistenti. Perciò negli Stati Uniti Yamanaka conduce gli esperimenti con le cellule della discordia e in patria quelli con le cellule della riconciliazione. Entrambi i filoni di ricerca confluiscono nello stesso ambizioso programma: quello per regalare alle cellule adulte tutte le qualità delle embrionali.
È bene ricordare che sia l'approccio di Yamanaka che la variante di Thomson hanno un punto debole: per veicolare nelle cellule adulte i quattro geni riprogrammatori si utilizzano dei retrovirus, che restano presenti in copie multiple nelle cellule riprogrammate. Il prossimo grande annuncio, dunque, arriverà quando i ricercatori saranno riusciti ad attivare i geni induttori di pluripotenza senza doverne inserire delle copie extra, evitando il rischio di causare mutazioni cancerogene. Nel frattempo bisognerà continuare a lavorare in parallelo con le adulte riprogrammate e le embrionali. Non a caso entrambi i lavori pubblicati su Cell e Science si chiudono con la stessa puntualizzazione: saranno necessari ulteriori studi per capire se le prime siano davvero equivalenti alle seconde dal punto di vista clinico.
Le letture politiche e giornalistiche dovrebbero tenerne conto, anche se la tentazione di festeggiare da subito l'inizio di una nuova stagione è forte. Nell'immaginario collettivo il trono lasciato vacante dal coreano Hwang, che con metodi fraudolenti aveva perseguito la clonazione terapeutica, è pronto a essere occupato da un altro asiatico. Un chirurgo ortopedico, con un passato da amante del judo e del rugby, che si è dedicato alla farmacologia classica, prima di essere conquistato dai topi knock-out (quelli del Nobel Mario Capecchi) e dalle staminali. Il caso Hwang gli ha insegnato a essere prudente, ma non gli ha tolto la capacità di far sognare. Il suo semplice cocktail molecolare ha del miracoloso, se si considera che per indurre la pluripotenza in teoria potevano essere necessarie dozzine di geni, tanti da rendere l'obiettivo concretamente irraggiungibile. E poi suona quasi come un segno del destino che a tagliare l'ultimo traguardo insieme a Yamanaka sia stato proprio Thomson, che della medicina rigenerativa è il pioniere. È stato lui che nel novembre del 1998 ha portato per la prima volta la parola «staminali» sulle prime pagine dei giornali, annunciando di aver coltivato in vitro delle cellule embrionali umane. È seguito un decennio di polemiche infuocate su quali fossero le linee di ricerca più promettenti e quali quelle eticamente lecite, polemiche che il metodo giapponese e le sue futuribili varianti potrebbero, forse, consegnare alla storia. Non c'è davvero da stupirsi se Ian Wilmut, uno dei padri di Dolly, ha deciso di salire platealmente sul carro e se altri gruppi, anche in Italia, stanno già seguendo le orme del giapponese.

© Copyright Il Riformista, 21 novembre 2007

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