19 aprile 2008

La responsabilità di proteggere l'uomo: il commento di Giovanni Maria Vian allo storico discorso del Papa all'Onu (Osservatore)


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Con il sostegno delle religioni

La responsabilità di proteggere l'uomo

Mai un Papa aveva parlato di fronte ai rappresentanti di tanti Paesi riuniti insieme - quasi duecento, in pratica l'intero pianeta.
Questo ha voluto Benedetto XVI, che alla vigilia dell'inizio del quarto anno di pontificato ha tenuto un discorso all'assemblea generale dell'Organizzazione delle Nazioni Unite. In una circostanza che ha sottolineato come il vescovo di Roma sempre più si rivolga al mondo, portando al culmine una tendenza accentuatasi soprattutto dopo la fine del potere temporale pontificio ed espressa storicamente con lo sviluppo tanto della proiezione mondiale della Santa Sede quanto delle relazioni diplomatiche che essa intrattiene con un numero di Paesi in continua crescita. Svolgendo in questo modo un'azione politica nel senso più alto del termine e che ha tuttavia ben chiara la necessaria e rigorosa distinzione tra la sfera religiosa e l'ambito politico tipica della tradizione cristiana.
Già Paolo VI e Giovanni Paolo II, parlando alle Nazioni Unite, avevano avuto come interlocutori i popoli della terra, a nome di una Chiesa per bocca loro dichiaratasi con umile orgoglio esperta in umanità. Il loro successore ha ripetuto questo concetto nel sessantesimo anniversario della Dichiarazione universale dei diritti umani.

Uscita dalle macerie spaventose del secondo conflitto mondiale, l'Organizzazione delle Nazioni Unite aveva infatti voluto darsi degli obiettivi ideali validi ovunque. Principi che Benedetto XVI ha riconosciuto come positivi, pur senza nascondere - in un discorso importante e meritevole di attenzione - una forte critica: questi ideali, già non coincidenti con la totalità del bene comune della famiglia umana, dipendono oggi da un consenso multilaterale in crisi perché subordinato alle decisioni di un numero ristretto di Paesi.

Vi è invece una legge naturale iscritta nel cuore di ogni essere umano, fondata sull'origine comune delle persone e che impone oggi alle Nazioni Unite di promuovere la solidarietà verso le zone più fragili del pianeta, di rispettare la vita umana, la famiglia e l'ambiente, intervenendo per proteggere le popolazioni dalla violazione dei diritti dell'uomo. Questa nuova "responsabilità di proteggere" deve riguardare tutti i diritti umani, e dunque anche quello alla libertà religiosa, soprattutto quando questa - che comprende anche la dimensione pubblica della religione e non solo il libero esercizio del culto - viene messa in pericolo da ideologie dominanti e da "posizioni religiose maggioritarie, di natura esclusiva".

Parole molto chiare e impegnative che Benedetto XVI ha voluto sintetizzare in un'altra frase della tradizione ebraica e cristiana, l'espressione latina tratta dal profeta Isaia (e ripresa già da Pio XII) che il Papa ha lasciato in ricordo della sua visita alla sede delle Nazioni Unite come lascito permanente: Erit opus iustitiae pax.

L'esperienza degli ultimi decenni dimostra infatti che gli Stati devono tornare costantemente all'ispirazione iniziale che sessant'anni fa portò alla Dichiarazione universale dei diritti umani, per evitare che essa sia piegata a interessi particolari, in definitiva non rispettosi dell'unità dell'uomo e dell'indivisibilità dei suoi diritti.
Perciò è importante una visione della vita ancorata alla dimensione religiosa; questa può infatti aiutare - insieme al dialogo tra le religioni, "che le Nazioni Unite sono chiamate a sostenere" e che Benedetto XVI ha ancora una volta incoraggiato con la visita alla sinagoga newyorkese di Park East e gli incontri di questi giorni con numerosi esponenti cristiani e di altre fedi - l'impegno comune contro la violenza, il terrorismo, la guerra, insieme alla promozione della giustizia e della pace. Un impegno difficile, certo, ma non impossibile, fondato com'è per moltissimi credenti sulla speranza di Cristo.

g. m. v.

(©L'Osservatore Romano - 20 aprile 2008)

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