13 maggio 2007

Aggiornamento della rassegna stampa del 13 maggio 2007 (3) [family day]


Vedi anche:

Rassegna stampa del 13 maggio 2007 (family day)

IL VALORE DELLA FAMIGLIA, LE RAGIONI DEL DIALOGO

di PAOLO POMBENI

LO SVOLGERSI concomitante del “Family Day” e della festa per l’ “orgoglio laico” sono inevitabilmente sfruttate da alcuni per rinviare ad una “Italia degli steccati” di cui le persone sensate non sentono nostalgia. Ritornelli sulle “intromissioni ecclesiastiche in politica” e sulla “deriva relativista contro i valori” non portano lontano nessuno, tranne che, momentaneamente, i rispettivi corifei che solleticano umori profondi delle rispettive piazze senza tenere alcun conto, temiamo, dei prezzi che si dovranno pagare per questi integralismi.
È bene, però, subito segnalare che il clima della manifestazione del “Family Day” è apparso sereno, lontano dalle derive politiche, e rivelava la volontà dei partecipanti di non farsi strumentalizzare da chicchessia
.
La libertà per tutti di esprimere le proprie idee e di dar risalto al consenso sociale che esse incontrano è iscritta nei diritti fondamentali di ogni repubblica democratica. Questo vale, come è ovvio, anche per una grande presenza istituzionale come è quella della Chiesa Cattolica, la quale ha un proprio insegnamento da proporre, diretto non solo ai suoi “fedeli”, ma a tutti gli uomini. Del resto tutti coloro che producono cultura, e non solo religione, dirigono il loro messaggio a tutti, poiché lo ritengono “universale”. Solo alcune sette particolari restringono il loro messaggio agli “iniziati”.
Uno sguardo alto e generale ai problemi in campo potrà aiutarci tutti a non fare di questa giornata, per tanti versi importante, uno sterile strumento di polemica e di strumentalizzazione per la politica politicante: sarebbe gettar via una buona opportunità di seria riflessione.
La famiglia è un valore, sancito non solo dalla costituzione, ma vissuto dalla esperienza comune della gente. Quante volte abbiamo sentito imputare alla “crisi della famiglia” il venir meno dei legami sociali, il degrado delle relazioni civili, le molte devianze con cui ci misuriamo? Senza fare del catastrofismo mediatico, c’è molto di vero in questa percezione diffusa, e dunque agire per riportare alla considerazione di tutti il valore dell’istituto familiare è un utile contributo alla vita della collettività. Anche perché impegnarsi nel tenere insieme il “sistema famiglia” non è una passeggiata, ma un impegno intenso e faticoso: ci sono, per tacere d’altro, le complesse razioni intergenerazionali fra giovani, meno giovani e anziani; c’è il complesso problema della trasmissione dei valori e dell’educazione alle reti di solidarietà. Come sempre, solo la consapevolezza di servire un valore alto può aiutare le donne e gli uomini in questo impegnativo lavoro.
Detto questo, sarebbe però miope non considerare che la trasformazione della nostra vita sociale, comunque la si giudichi, ci mette dinnanzi a problemi nuovi, a nuove forme di gestione della vita comunitaria fra le persone. Le culture che presiedono a queste forme possono essere diverse e tutte meritano rispetto, quando si muovono per la valorizzazione e la difesa delle potenzialità della persona umana. I laici che chiedono una presa d’atto di queste differenze culturali hanno non solo il diritto di proporre il loro modello, ma anche quello di venire presi in adeguata considerazione.
Una analisi cerchiobottista, come si usa dire con parola che non ci piace? No, una riflessione seria che vorrebbe invitare tutti alla considerazione delle ragioni reciproche ed alla valorizzazione delle proposte costruttive che ciascuno ha da portare, quando non è semplicemente interessato alla “sceneggiata che scalda i cuori”.
Ci sono da una parte e dall’altra frange interne che a questo pensano per ragioni di affermazione personale e forze esterne che non si ritraggono da una disinvolta strumentalizzazione. Proprio per questo non è così lontano il pericolo di far rinascere una “Italia degli steccati” che corra alla ricerca di uno scontro finale per vedere chi ne esce vittorioso.
Sarebbe un esito disastroso, perché in un contesto del genere uscirebbero perdenti tutti. Le guerre ideologiche non hanno mai portato gran bene: più facilmente lasciano in campo macerie e ingovernabilità, distruggono le reti di dialogo e minano le strutture di solidarietà sociale diffusa. Tutte cose che non giovano certo né al rilancio dell’istituto familiare e dei suoi valori né alla promozione dei diritti delle persone che si trovano in condizioni non previste dagli ordinamenti vigenti. Per tacere delle conseguenze che simili contesti avrebbero poi sulla vita concreta delle persone (perché in quelle situazioni non c’è “benessere”), cioè su quello che poi alla fine favorisce lo sviluppo di tutte le convivenze civili.

Il Messaggero, 13 maggio 2007


Si schiera l’esercito “bianco”:
«La politica dovrà rincorrerci»


Pochi parroci, in piazza il trionfo della associazioni cattoliche

di MARIO AJELLO

Arduejo, capo dei Neocatecumenali, ha appena finito di guidare un girotondo cantando «Beata Maria» e non è ancora salito sul palco per festeggiare, fra l’altro, una coppia-record che ha fatto 15 figli. Nessuno dei quali, per fortuna, è fra quelli - moltissimi che sono stati portati via dalla piazza perché troppo accaldati e a rischio di svenire, rovinando il presepe. Le mamme li carezzano, melodicamente, intonando la canzone di Povia che è sul palco: «I bambini fanno ooohhh....». Oh, è svenuto il pupo? No, per fortuna. «Mamma, mi compri la maglietta di Ronaldinho?», dice uno di loro passando davanti alla bancarella. «No, caro, questo è consumismo!». Se fosse lì Mastella, che è poco più in là, gliela avrebbe comprata lui la t-shirt. Perché, dice il leader Udeur, «noi siamo l’unico partito proletario. Siamo per la prole e la prole è qui».
Anche effigiata nei cartelli. Uno dei pochi un po’ ruvidi contro Prodi in questa piazza che non mostrifica il premier, tranne che in un angolo dove c’è un gruppetto venuto dal Veneto recita: «Meno cattolici adulti e più cattolici bambini». Berlusconi cerca di essere uno di questi, gli organizzatori non la prendono bene ma l’ingresso in piazza è da star: gli altoparlanti sparano una canzone che fa «Resuscitòòòò.....» e di colpo compare lui. Quindi la piazza diventa di destra? No. «Politicamente sono laici», dicono in coro don Benzi e don Santino. E aggiungono: «Ha forse visto qualcuno di loro che attacca i gay o i musulmani?». Nessuno. Questo popolo che in nulla somiglia all’immagine vecchia e stantia, sparagnina e difensivista del mondo cattolico, si mostra alieno da pose sanfediste e da ringhi clericali. In quattro ore, notati solo due cartelli con su scritto «Cristo Re» e nessuno che inneggia al «Papa Re». E ciò rende più difficile tutto, perché si tratta di una piazza inafferrabile. Specie per i politici che la rincorrono, ovviamente dividendosi. Nota il teo-con Quagliariello, senatore forzista: «Non è una piazza di destra, e infatti vedo quelli della Margherita e dell’Udeur che si muovono come lupi famelici». Di fatto, non ci sono preti che brandiscono le croci, come nel corteo spagnolo contro le nozze gay: perché Prodi non è Zapatero e «forse ci ascolterà, perché gli conviene». Allo stesso tempo però c’è la consapevolezza simile a quella della Marcia dei Quarantamila a Torino nell’80 contro l’occupazione operaia della Fiat che esiste un popolo finora invisibile che adesso vuole ruolo e visibilità e che esistono cose prima indicibili e ora invece mature per essere dette a voce alta alla politica. Una soprattutto. Evidenziata da un ragazzo (scusi lei è No Global? «No, sono scout») che alza un’immaginetta finto-sacra: quella di San Precario, idolo inventato dai movimenti di estrema sinistra. La butta un po’ in sociologhese, ma il messaggio è chiaro: «La politica deve fare uno sforzo di generosità. E visto che già tutto è precario, cerchi almeno di non rendere precaria anche la famiglia. E’ l’ultimo rifugio contro la ”liquidità sociale”, come la chiama il filosofo Bauman, che rende tutto provvisorio e slegatissimo».
Un discorso di destra? Un discorso di sinistra? Forse un discorso che sta sopra e che sta sotto la destra e la sinistra, e non è neppure di centro, ma frantuma le logiche dell’attuale quadro politico. E così questa piazza è la prima piazza che supera gli schieramenti classici, e non ne sposa acriticamente nessuno. Lo ammette anche Alemanno: «C’è di tutto qui dentro. E’ la voce dell’Italia profonda». Però di una profondità nuova e più difficile da gestire. Perché l’Esercito Bianco non odora di sacrestia, ma di gruppo di pressione molteplice, plurale, gonfio di differenze interne e variamente targato Don Giussani o Sant’Egidio ma ognuno con le sue migliaia di chitarre e con qualche suorina al seguito con cui la politica, adesso più di prima, dovrà scendere a patti. Se non vuole spingerlo nel mare pericoloso dell’anti-politica o nelle mani della Cei che potrebbe puntare su Pezzotta, portavoce di questo “Family Day”, come leader a sorpresa.
Tanto è vero che Monsignor Parmeggiani, ex segretario di Ruini, in una piazza solo in parte ruiniana, dice a Pezzotta: «Bravo, ti sei tenuto basso nelle previsioni e abbiamo fatto il pienone». Quelli attuali, di destra e di sinistra, ieri hanno fatto la loro passerella ma nessuno s’è spellato le mani per loro. La Piazza Inafferrabile parla così. «Ho votato Unione ma, dopo i Dico, non so se la rivoterò». «Io invece credo di sì», dice Aldo, uno dell’Associazione dei Papà Separati: «La disgregazione della famiglia non dipende dai Dico. Ma dalle donne che da quando si sono emancipate...». Risate fra i presenti. Ma è meglio fare i goliardi, piuttosto che fingere di credere in un’Italia divisa fra guelfi e ghibellini.

Il Messaggero, 13 maggio 2007


«Ora dai partiti un passo indietro»

Monsignor Fisichella: la Chiesa ha consenso e fiducia degli italiani

di FRANCA GIANSOLDATI

CITTA’ DEL VATICANO - Monsignor Rino Fisichella, lei che ha seguito sin dai primi momenti la nascita del Family Day, può tracciare un bilancio?

Altamente positivo ma non trionfalista. Dalle immagini viste era un popolo che stava parlando al Paese. Uomini, donne, bambini, anziani. Un messaggio chiaro: che la famiglia è importante.

Ma c'era davvero la necessità di mostrare i muscoli?

Non abbiamo mostrato i muscoli. Si è data voce alla maggioranza silenziosa, a coloro che troppe volte non sono ascoltati. Piazza San Giovanni era propositiva e non viveva nella nostalgia del passato come, invece, accadeva in contemporanea a piazza Navona.

Anche il Papa dal Brasile continua a ripetere che la famiglia è importante e va difesa...

Non è importante solo per la Chiesa! La sfida della famiglia è importante per il mondo. Se le società vogliono guardare al futuro in modo lungimirante e fecondo occorre aiutare la famiglia. Se non si dà importanza a questo soggetto in tutti i suoi aspetti non ci sarà futuro per il mondo.

In piazza c'erano anche musulmani..

In piazza c'erano musulmani, ebrei, cattolici, laici, credenti e non credenti. Era un po' triste ascoltare tante voci pretestuose che interpretavano la manifestazione in termini negativi e contrari al vivere sociale e pacifico che è caratteristico della nostra presenza del mondo.

Anche ieri una montagna di polemiche: secondo lei il Family Day e' stato strumentalizzato dalla politica?

Purtroppo in Italia tutto è letto sotto la lente della divisione tra schieramenti politici. Ora dovrebbero riflettere tutti. La manifestazione ha fatto capire che la Chiesa ha non solo il consenso ma anche la fiducia del popolo italiano. A volte si ha il consenso ma non la fiducia dei cittadini. In questo caso li abbiamo tutti e due.

Cosa vi aspettate ora? In Parlamento sono parcheggiati i Dico..

Penso che ci si possa aspettare dai politici una maggiore lungimiranza; quell’analisi che finora è mancata. I partiti dovrebbero fare un passo indietro, essere meno litigiosi ed analizzare con pacatezza e senza ideologismi il futuro del Paese.

Il Family Day non ha finito per dividere ancora di più?

Tutt’altro. Semmai ha unito il Paese attorno a un progetto. Mi pare che siano altri i tentativi di dividere. E mi riferisco alle contro-manifestazioni che altri hanno voluto, per poi ritrovarsi in una piazza vuota e chiusa, come lo spessore culturale del progetto che stanno portando avanti.

Piazza san Giovanni era di destra o di sinistra?

Piazza san Giovanni non si lascia strumentalizzare da calcoli di partito. Piuttosto è un forte segnale politico per tutti.

Il Messaggero, 13 maggio 2007

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