8 maggio 2007

Aggiornamento della rassegna stampa dell'8 maggio 2007 (1)


Vedi anche:

Rassegna stampa dell'8 maggio 2007

Le Guardie Svizzere preparano il pane per Papa Benedetto...


Il dovere di opporci

di Riccardo Di Segni*

*Rabbino Capo di Roma

(Questo articolo sarà pubblicato nel prossimo numero della rivista Shalom che ci ha concesso gentilmente l’anticipazione)


C’è uno strano silenzio dei diversi esponenti dell’ebraismo italiano su un tema che è stato tanto dibattuto in Italia negli ultimi mesi, quello dei Dico, la legge sulle convivenze che è stata presentata e poi rallentata nel suo iter parlamentare. Anche Shalom, che nello scorso mese ha pubblicato alcuni articoli dell’argomento, ha dato delle spiegazioni, ma non ha riportato dichiarazioni e pronunciamenti ufficiali, né poteva farlo perché fino a quel momento non c’erano stati. Un silenzio che contrasta da una parte con il fortissimo intervento della Chiesa Cattolica su questo tema e dall’altra con la ormai abituale loquacità ebraica su tanti temi disparati, dalla politica alla bioetica.

Come gli ebrei italiani intervengano su temi di politica italiana o mediorientale lo sappiamo tutti. Su temi caldi di bioetica, ad esempio la fecondazione artificiale oggetto di referendum lo scorso anno, o nel dibattito sull’eutanasia sollevato dal caso Welby, gli interventi ebraici ci sono stati, anche se qualcuno, forse non bene informato, ha sostenuto il contrario, insinuando persino che un presunto nostro silenzio sarebbe dovuto alla riluttanza a non condividere pubblicamente le posizioni della Chiesa; ma il silenzio non c’è stato e le posizioni ebraiche in entrambi i casi non erano sovrapponibili a quelle della Chiesa. Passando invece al dibattito sui Dico, che coinvolge più in generale i temi delle politiche dello Stato sulla famiglia, è vero e anche strano che le istituzioni ebraiche non siano finora intervenute. Forse un motivo è che sull’argomento ci sono posizioni differenti. Ma ci sono due buoni motivi perché questo silenzio debba essere rotto, anche se l’esposizione di questi motivi non troverà consenso nel pubblico prima di tutto ebraico e solleverà grosse discussioni. Ma è giusto che queste discussioni ci siano.

Il primo dei due buoni motivi è esterno, nel senso che coinvolge la responsabilità dell’ebraismo verso la società esterna, l’altro è interno, riguarda la struttura e il futuro della nostra comunità. Vediamo il primo. Uno dei temi più delicati e controversi nella proposta di legge sui Dico è il riconoscimento giuridico delle convivenze tra persone anche dello stesso sesso; non è certo il matrimonio omosessuale accettato formalmente in altri Paesi, ma in ogni caso è una prima forma di riconoscimento legale di unioni omosessuali. Nel dibattito su questo tema entrano in gioco elementi di principio dei fondamenti della società moderna, la questione della laicità dello Stato, le libertà individuali, l’interferenza dei principi religiosi eccetera.

Che cosa ha da dire in proposito la tradizione ebraica? Una posizione politica abituale tra gli ebrei e spesso condivisa anche tra i più osservanti è quella di non intervenire nelle scelte di libertà che lo Stato fa per i suoi cittadini, riservando solo alla coscienza individuale il diritto e dovere di fare scelte rigorose personali su argomenti nei quali la legge dello Stato concede spazi permissivi e di libertà. Ma questa non è una regola che può valere sempre: secondo la Torà gli ebrei devono osservare 613 regole, ma questo non vuol dire che i non ebrei non debbano avere alcuna regola, perché in realtà le hanno anche loro, inquadrate in sette capitoli fondamentali (i cosiddetti precetti Noachidi); ed è nostro dovere come ebrei indurre i non ebrei a rispettare le loro regole. Come questo si possa realizzare è difficile dirlo, certo è che non possiamo rimanere indifferenti al superamento di determinati limiti, acconsentendo per esempio che la legge dello Stato ammetta l’omicidio, il furto, l’incesto. L’argomento di cui ora si dibatte rientra per certi suoi aspetti (non le convivenze in generale, quanto specificamente le coppie omosessuali maschili) in limiti ritenuti insuperabili. Il problema non sembra neppure tanto nuovo, come testimonia un passaggio del Talmud Babilonese (Chulin 92b) nel quale si dice che tra i pochi limiti che le nazioni del mondo non hanno superato c’è quello che non hanno ancora consentito di scrivere la Ketubbà ai maschi, anche se non stanno certo attenti a rispettare il divieto delle pratiche omosessuali; la Ketubbà è il contratto nuziale nel quale lo sposo si impegna con la sposa; «scrivere la Ketubbà ai maschi» significa sancire l’omosessualità con un regime di garanzie giuridiche ed economiche.

Insomma, anche se questo atteggiamento potrà essere considerato poco politically correct secondo la sensibilità attuale, non dobbiamo ignorare che secondo la nostra tradizione la società che sta per compiere queste scelte supera abbondantemente limiti illeciti e nostro dovere è opporsi a queste scelte, non rimanere indifferenti. Ovviamente gli unici nostri strumenti sono quelli della democrazia: la parola, il voto, ma non possiamo fare a meno di usarli. L’obiezione fondamentale è che in questo modo andiamo contro il libero diritto alle scelte individuali; ma su temi di «frontiera» come questi, che non sono affatto condivisi da ampie maggioranze, c’è anche il diritto (e il dovere) al dissenso; e non esistono mai diritti illimitati e alla definizione del limite si è chiamati collettivamente a decidere. Il secondo motivo per il quale il dibattito in corso non ci deve lasciare indifferenti riguarda le tematiche generali della famiglia. Questa legge è l’espressione di un mutamento radicale nelle strutture della società contemporanea, nella quale il tradizionale istituto della famiglia non rappresenta più il modello assolutamente prevalente di organizzazione. La società cambia e la legge ne deve tenere conto.

Quindi non avrebbe senso accanirsi contro una legge che cerca di dare qualche tutela e sicurezza, nonché di garantire delle forme di solidarietà verso i deboli che nella nostra tradizione sono di importanza essenziale. Quindi, salvo la riserva principale espressa sopra, se il problema è la difesa dei deboli dobbiamo essere favorevoli; ma bisogna vedere se questo è veramente il problema, e se la legge proposta sia in grado di risolverlo. Ma il problema per noi è un altro, perché il dibattito generale in corso ha deformato le prospettive, riducendo la questione all’opposizione tra i difensori delle libertà civili e i difensori (come la Chiesa Cattolica) del modello tradizionale di famiglia. È un dibattito appassionante, ma se ci si ferma a queste due polarità si rischia di ignorare quello che deve essere il vero problema per noi e che sta all’origine della legge e che, a parte questa legge, ci coinvolge come ebrei italiani in un modo devastante, anche se sembra che non ce ne siamo ancora accorti: la società ebraica italiana (come nel resto del mondo occidentale) ha fatto suoi i modelli di organizzazione della società non ebraica, anzi molto spesso li ha anticipati, ma il prezzo che ha pagato e sta pagando per questa sua scelta collettiva è l’evoluzione verso la drastica contrazione numerica, in alcuni luoghi quasi l’estinzione. Basta guardare i dati della tabella, che mostrano quanti eravamo trenta anni fa e quanti siamo ora.

In alcune Comunità c’è stata una riduzione percentuale fino al 45%. Solo Roma sembra essersi un po’ salvata dal «ciclone» demografico, ma i risultati attesi a medio termine non sono incoraggianti. Le cause del disastro sono molteplici: ci si sposa di meno e molto più tardi, si fanno molti meno figli (anche perché ci si sposa tardi), i vincoli matrimoniali sono molto instabili (separazioni, divorzi), la popolazione generale invecchia e il numero dei morti ogni anno supera quello dei nati. A questo si aggiunge il problema dei matrimoni misti (quando ci sono, molto spesso sono solo convivenze); senza entrare nel merito delle problematiche religiose, è innegabile dal punto di vista sociale che queste unioni sono il segno di un rapporto debole con l’ebraismo e che da due partner, uno non ebreo e l’altro debolmente legato all’ebraismo, nella grande maggioranza dei casi la discendenza sarà ancora più debolmente legata all’ebraismo e a ben poco servirà, in termini ebraici, la conversione formale richiesta da un genitore. Questo è ciò che per noi significa modificazione (o crisi) del modello tradizionale della famiglia. Forse la società circostante si può permettere (fino a un certo punto) di rimodellarsi secondo le modificate condizioni economiche e sociali. Noi no. E allora deve essere chiaro che se facciamo del dibattito sui Dico una bella questione di diritti civili non abbiamo ancora capito niente dei nostri veri problemi. È urgente una presa di coscienza di tutti e della leadership in particolare e l’inizio di una politica seria sul tema della famiglia.

Il Giornale, 8 maggio 2007


Dopo il Papa, anche il rabbino condanna i Dico

di Francesca Angeli

Scontro nel governo fra i ministri Bindi e Mastella sull’opportunità o meno di scendere in piazza per il Family day. Ma anche scontro fra la comunità ebraica e le associazioni omosessuali per la forte presa di posizione del rabbino capo della comunità ebraica di Roma, che ha detto no al riconoscimento delle coppie omosessuali e no ai Dico.

Si avvicina il giorno della manifestazione a favore della famiglia promossa dalle associazioni cattoliche, il Family day, e la polemica politica, trasversale a maggioranza e opposizione, si allarga e coinvolge società civile, comunità religiose, associazioni e movimenti. Il confronto più aspro si consuma tra il massimo rappresentante religioso della comunità ebraica romana e il mondo omosessuale. Riccardo Di Segni interviene con un articolo sulla rivista Shalom dove evidenzia il suo stupore per il silenzio degli ebrei sui Dico. Un silenzio che Di Segni ritiene necessario interrompere anche se, precisa, sa già che una simile presa di posizione susciterà critiche. Il rabbino specifica che il silenzio sinora mantenuto sul tema dagli esponenti ebraici italiani «contrasta da una parte con il fortissimo intervento della Chiesa cattolica su questo tema e dall’altra con la ormai abituale loquacità ebraica su tanti temi disparati, dalla politica alla bioetica». Se è vero che, osserva Di Segni, il ddl Dico «non è certo il matrimonio omosessuale accettato formalmente in altri Paesi» è però «in ogni caso una prima forma di riconoscimento legale di unioni omosessuali». Di Segni sa che la sua opinione verrà giudicata poco politically correct, ma certo non se la sente di ignorare che «secondo la nostra tradizione la società che sta per compiere queste scelte supera abbondantemente limiti illeciti e nostro dovere è opporsi a queste scelte, non rimanere indifferenti». Il primo a replicare è il presidente onorario dell’Arcigay, il diessino Franco Grillini, deputato Ds. «Razzismo anti-omosessuale, inaccettabile», è l’accusa di Grillini che aggiunge sprezzante: «Hanno dimenticato che insieme agli ebrei, nei campi di sterminio nazisti, c’erano anche degli omosessuali». Grillini si appella ai membri della comunità ebraica romana chiedendo loro di dissociarsi dalla presa di posizione del rabbino e di non partecipare al Family day. Per il presidente nazionale di Arcigay Sergio Lo Giudice «siamo alla Santa Alleanza omofobica».

Intanto prosegue la polemica dentro al governo fra i ministri pro o contro la piazza. Ancora una volta è il ministro della Famiglia, Rosy Bindi, che ha firmato il ddl sui Dico insieme con la collega titolare delle Pari opportunità, Barbara Pollastrini, a chiedere al Guardasigilli, Clemente Mastella, di non prendere parte al Family day perché, dice, «un ministro in piazza è una contraddizione in termini». Mastella però conferma «io sarò puntuale alle 15 in piazza». Ma la Bindi apre un fronte di polemica anche con le associazioni omosessuali, offese perché il ministro non le ha invitate alla Conferenza nazionale sulla famiglia che si terrà a Firenze.

Tenta di calmare gli animi il segretario Ds Piero Fassino che spiega che le forze che guardano al futuro del Partito democratico non sono ostili al Family day anche se non possono condividere ovviamente il no ai Dico. E pure il leader della Margherita, Francesco Rutelli, non ritiene il Family day «nemico» del centrosinistra. La senatrice Dl Paola Binetti è convinta che il Family day sarà un successo e auspica che non ci siano strumentalizzazioni. «Non sarà una piazza di destra né di sinistra ma bipartisan. Non sarà cattolica né laica», dice la Binetti.

Il Giornale, 8 maggio 2007


CINQUE GIORNI DALLA MANIFESTAZIONE CATTOLICA SI APRE UNA NUOVA POLEMICA CON LA COMUNITA’ ISRAELITICA SUI DIRITTI DEI CONVIVENTI

Il rabbino di Roma: no ai Dico

MARIA GRAZIA BRUZZONE

ROMA
Con l’avvicinarsi del Family Day si inasprisce la polemica politica all’interno dell’Unione sul significato della mega-manifestazione di piazza San Giovanni a favore della famiglia e sulla partecipazione. Polemica resa più aspra dal polarizzarsi degli schieramenti interni al centrosinistra - da un lato il Pd, dall’altro la sinistra che ha cominciato un percorso di riunificazione. E rinfocolata ieri dall’intervento del rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni, che «rompe il silenzio» della comunità ebraica sul tema delle convivenze omosessuali, il cui riconoscimento legale previsto dai Dico rientrerebbe «in limiti ritenuti insuperabili» dalla tradizione ebraica.
Di Segni è attaccato aspramente da alcuni esponenti della comunità ebraica romana e dalle associazioni dei gay, già irritati con Rosy Bindi che li ha esclusi dalla prossima Conferenza sulla famiglia promossa da Ds e Margherita e non li ha invitati nemmeno al convegno-laboratorio di ieri in cui per la prima volta il futuro Pd si è cimentato a discutere sui concreti provvedimenti a favore della famiglia che dovrà presto prendere il governo. Una novità questa sottolineata dalla presenza di Piero Fassino e Francesco Rutelli accanto alla ministra della Famiglia, davanti a una folta platea in cui spiccavano i teodem Paola Binetti e Luigi Bobba.
Inevitabile qualche battuta sull’imminente Family Day verso il quale i due leader hanno toni sfumati e concilianti. «Non è un nemico del centrosinistra, il congresso della Margherita lo ha già ritenuto utile e positivo, ne ascolteremo le proposte» osserva Rutelli. E Fassino: «Preferisco pensare che non sia una manifestazione contro i Dico, ma una giornata in cui uomini e donne manifestano in modo positivo per chiedere alla politica di essere più attenta ai temi della famiglia». Famiglia che, secondo il segretario Ds «non è incompatibile coi diritti dei conviventi» così che «con loro - i partecipanti al Family Day - si può dialogare. Siamo attenti, ma questo non significa condividere». Col segretario Ds non mancano di polemizzare il socialista Roberto Villetti («Le acrobazie di Fassino non nascondono che il Family Day è contro i Dico, come sostengono i suoi promotori») e il verde Paolo Bonelli («Fassino ha inaugurato la politica di equidistanza verso coloro che non vogliono riconoscere i diritti a chi vuole convivere»).
Coinvolta in polemiche è anche Rosy Bindi. Col collega della Giustizia, che il ministro della Famiglia invita ancora una volta a non partecipare alla manifestazione di sabato («E’ una contraddizione in termini»). Mastella non desiste. «Se Rosy domenica mi invita a pranzo io ci vado, ma sabato sono impegnato col Family Day», risponde. A prendersela con la ministra è anche il presidente onorario dell’Arcigay Franco Grillini. Indignato (come del resto Gay Left) per i mancati inviti delle associazioni omosessuali, motivate da Bindi col fatto che «i destinatari della legge non sono legittimati a partecipare alla conferenza». «Sono le coppie che decidono se la loro è, o meno, una famiglia, non certo Rosy Bindi, Ratzinger o il Family Day», afferma l’ex deputato Ds passato con la Sinistra democratica di Mussi e c., che se la prende col Pd. Così come fa dal Prc Wladimir Luxuria, osservando: «Noi continuiamo ostinatamente a considerarci una famiglia in quanto nucleo di affettività. Non credo che l’orientamento sessuale sia la giusta patente per definire ciò che è famiglia da ciò che non lo è. Resta da chiedersi quanto spazio avrà ancora la nostra dignità relazionale nel futuro Pd».
Ma Grillini e Arcigay - e non solo loro - prendono di mira soprattutto il rabbino Di Segni, che ricorda come un passaggio del Talmud Babilonese dica che «uno dei pochi limiti che le nazioni non hanno mai superato è consentire la Ketubbà (il contratto nuziale) ai maschi» ed esorta a fare «una politica seria sulla famiglia» contro la denatalità. «Razzismo anti-omosessuale inaccettabile» lo bolla Grillini, che ironizza: «Forse hanno dimenticato che insieme agli ebrei nei campi di sterminio nazisti c’erano anche gli omosessuali». Una battuta così pesante da stimolare la controreplica di Riccardo Pacifici. Il portavoce della comunità ebraica romana sottolinea come il rabbino abbia solo sottolineato la posizione della dottrina rispetto alla pratica dell’omosessualità. E ricorda che la Comunità come istituzione si astiene rigorosamente dall’aderire a manifestazioni come il Family Day. Una giornata che l’Arcigay vede come «una festa delle discriminazione», prendendosela con «lo scellerato fronte delle gerarchie cattolica, ebraica e islamica» che ha proibito il Gay Pride a Gerusalemme e ispirato il divieto di Mosca. Più ragionata la critica del deputato Ds Emanuele Fiano, già della comunità ebraica milanese, che considera quello di Di Segni un pur legittimo «intervento politico» e non lo condivide in quanto «schiera di fatto la Comunità ebraica italiana, senza che ne abbia discusso al suo interno» mentre il contratto ebraico di matrimonio «nulla ha a che fare coi Dico».

La Stampa, 8 maggio 2007


ETICA E POLITICA

Family day, Bindi e Di Segni fanno infuriare gli omosessuali

Il rabbino: no ai Dico, li riconoscono. Grillini: razzista


Il ministro della famiglia annuncia l´esclusione delle associazioni gay dalla conferenza nazionale
Luzzatto: Non vedo perché temere che questa legge possa influenzare famiglia e matrimonio ebraico"


MARCO POLITI

ROMA - Giornata di rabbia per il movimento gay. Il rabbino Riccardo Di Segni scomunica le coppie omosessuali e il ministro della Famiglia Rosy Bindi le esclude dalla conferenza sulla famiglia. E così il clima all´avvicinarsi del Family Day si arroventa ancora di più.
Comincia il rabbino di Roma Di Segni, con un excursus teologico sulla rivista ebraica Shalom. Il rabbino suscita un vespaio perché afferma che i Dico sono una «prima forma di riconoscimento legale» delle unioni omosessuali, mentre il Talmud babilonese respinge i contratti nuziale tra maschi e a questo divieto sono posti «limiti ritenuti insuperabili». Dunque pollice verso non alle convivenze in genere, ma specificatamente alle coppie omosessuali maschili. «Non tutto è moralmente accettabile», sancisce Di Segni, indicando l´»omosessualità maschile».
Replica furioso l´ulivista Franco Grillini parlando di inaccettabile «razzismo anti-omosessuale». Forse, aggiunge, il rabbino ha dimenticato che nei lager nazisti accanto agli ebrei c´erano anche gli omosessuali. Altrettanto tagliente il commento di Enrico Ollari, presidente di Gaylib, associazione omosessuale di centrodestra: «In Israele è riconosciuta l´unione gay celebrata all´estero. E a Tel Aviv, oltre alle tasse e alle norme sul diritto ereditario, le coppie di fatto godono di tutti i privilegi riservati alle coppie eterosessuali». Segue la provocazione: «Il rabbino preferirebbe israelizzare l´Italia o vaticanizzare Israele?».
Ma poiché due esegeti ebrei, fanno tre opinioni, ecco intervenire l´ex presidente delle Comunità ebraiche italiane, Amos Luzzatto, con una posizione diametralmente opposta a Di Segni. «Non vedo in quale forma dobbiamo temere che questa legge possa influenzare la famiglia e il matrimonio ebraico - ha sostenuto - e nessuno pretende che siano riconosciuti nella "ketubba" ebraica matrimoni di omosessuali o altri tipi di matrimoni diversi dalla nostra tradizione».
In realtà il rabbino Di Segni nel suo articolo allarga il discorso. A sua parere l´ebraismo italiano, adeguandosi troppo ai modelli di organizzazione della società non ebraica, rischia di estinguersi. E su questo allarme certamente si aprirà una discussione tra le comunità ebraiche.
Ad alzare la temperatura delle polemiche è calata sugli ambienti gay l´affermazione lapidaria del ministro Bindi, autrice con la collega Barbara Pllastrino del disegno di legge sui Dico: «Alla conferenza nazionale sulla famiglia, che si terrà a Firenze, non ho invitato le associazioni omosessuali, ma solo quella dei genitori di persone gay». Reagisce amareggiata la diessina Anna Paola Concia del coordinamento Gayleft, contestando un accanimento anti-omosessuale: «Il ministro dice che non siamo famiglie, ma siamo rimasti gli unici in Europa a dire una cosa di questo tipo. Anche noi, invece, siamo famiglia».
Sergio Lo Giudice, presidente dell´Arcigay, dà sfogo alla sua delusione: «Siamo alla Santa Alleanza omofobica. La risoluzione del parlamento europeo dello scorso 26 aprile contro l´omofobia aveva visto giusto condannando come atti omofobici i commenti discriminatori formulati da dirigenti politici e religiosi nei confronti degli omosessuali». Grillini
Rosy Bindi si sente invece tranquilla: «So bene che questo causerà molte polemiche - ha detto - ma alla conferenza i destinatari delle legge sulle convivenze non sono legittimate a partecipare».

Repubblica, 8 maggio 2007

Come mai percepisco una certa delusione nell'amico Politi? Coraggio!


Luxuria: offesi e discriminati. Polemica sulla Conferenza di Firenze. Fassino: il Family Day? Non è contro i Dico

Bindi e famiglia, strappo sui gay

«Non li invito». Il rabbino Di Segni: omosessualità non moralmente accettabile

ROMA — «So che toccherò un punto che creerà molte polemiche...». La gelata arriva improvvisa, in una sala gremita di diessine che si spellano le mani per lei, «brava Rosy», «coraggiosa Rosy». Ma quando Francesco Rutelli e Piero Fassino sono ormai filati via, il tono della ministra dal palco del «Laboratorio delle politiche familiari» si fa più grave e in sala scende un silenzio che preannuncia tifoni. «Quello che sto per dire — stupisce Rosy Bindi — è un omaggio alla mia amica qui in prima fila». Lo sguardo dei cronisti corre alla teodem Paola Binetti, ma non è a lei che la responsabile della Famiglia sta offrendo lo sgradito omaggio. «Io so che la conferenza nazionale di Firenze avrà un problema negli inviti — va avanti la ministra cercando gli occhi di Paola Concia, lesbica dichiarata e portavoce di Gayleft — perché io non ho invitato le associazioni degli omosessuali e lo dico con molta tranquillità».
Ora le diessine non applaudono più, ora si guardano con aria interrogativa e bisbigliano tra loro. «Faccio questa scelta come segno di chiarezza — prosegue Bindi con le gote in fiamme — Le persone destinatarie dei Dico non sono legittimate a partecipare. Io questa sfida la prendo, ma dico agli organizzatori del Family day — e qui sì, gli occhi di Rosy cercano la Binetti — «non fate confusione andando a manifestare in nome della famiglia contro qualcosa che con la famiglia non ha niente a che vedere». Si chiude così il primo appuntamento unitario convocato dal Pd nel tentativo di disinnescare il Family day col lancio di un nuovo welfare: casa, asili nido, occupazione femminile, sostegno alle famiglie con figli... «I riferimenti per una legislatura» ha detto Rutelli, che ha provato a placare gli animi in vista della manifestazione di sabato: «Il Family day non è nemico del centrosinistra. Ci aspettiamo delle proposte, le ascolteremo con disponibilità e grande interesse». Anche Fassino guarderà alla piazza dei cattolici «con attenzione e senza ostilità», senza però condividerne tutti gli aspetti: «È un errore che la manifestazione si caratterizzi come una presa di posizione contro i Dico».
Ormai la polemica è scoppiata.
Vladimir Luxuria respinge le «frasi offensive» di Rosy Bindi e rivendica l'analogia tra «famiglia tradizionale e omosessuale, fonte di gioie e di dolori». Sono quasi le quattro quando la ministra, esausta, scende dal palco del «Laboratorio» e quasi si scusa con la responsabile Welfare della Quercia, Fiorenza Bassoli: «Mi dispiace di averti piantato questa grana, ma era la sede giusta». Dietro una colonna Paola Concia reagisce a caldo: «Perché questo gesto plateale contro di noi? Non invitarci alla Conferenza è sbagliato, discriminatorio e offensivo per milioni di cittadini». Mezz'ora ed ecco lo sfogo di Franco Grillini, presidente onorario di Arcigay. A lui il cartoncino d'invito al grande meeting sulla famiglia con Romano Prodi non è arrivato: «Discriminazione che non mi stupisce. Sono le coppie che decidono se la loro è famiglia o meno, non certo il ministro Bindi, Ratzinger o il Family day».
Un'ora prima, Grillini si era scagliato con «sdegno» contro le dichiarazioni «omofobe» del rabbino capo della comunità ebraica romana. Sul mensile Shalom,
Riccardo Di Segni definisce «non moralmente accettabile» l'omosessualità maschile e lamenta lo «strano silenzio» degli ebrei italiani sul tema dei Dico, che ha invece subìto il «fortissimo intervento» della Chiesa cattolica. «Penoso razzismo antiomosessuale», replica senza sconti la comunità gay.

Corriere della sera, 8 maggio 2007

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