7 maggio 2007

Barabba...chi era costui?


Vedi anche:

"GESU' DI NAZARET"

Aggiornamento della rassegna stampa del 7 maggio 2007 (1)

Rassegna stampa del 7 maggio 2007

Nel suo "Gesu' di Nazaret" Benedetto XVI dedica un brano a Barabba, molto interessante.
Piu' tardi riportero' per intero le parole di Joseph Ratzinger, ma ora anticipo l'argomento con un inserto de "Il Foglio" di sabato scorso.

Raffaella


LA PASSIONE DI BARABBA

La rivoluzione di un “sovversivo armato”. Ecco perché Ratzinger ha detto che il brigante del Vangelo era un “combattente della resistenza”

di Maurizio Stefanini

E’dalla scelta tra Cristo e Barabba che inizia la contrapposizione tra stato di diritto e jihad? Ovviamente Benedetto XVI non la butta così in politica. Anzi, a essere precisi, non la butta neanche in teologia, nel suo ultimo libro dedicato a Gesù. E’ libera ricerca e non atto di magistero, spiega.
“Perciò ognuno è libero di contraddirmi”.
Ma appunto in queso senso anche e soprattutto ai laici può interessare l’idea di riscoprire Barabba per farne in qualche modo una chiave per comprendere l’essenza stessa del messaggio di Gesù. “Barabba era un uomo che aveva partecipato a una sommossa e – in questo contesto – era inoltre accusato di omicidio. Quando Matteo dice che era un prigioniero famoso, ciò indica che egli era stato uno dei combattenti più in vista della resistenza, probabilmente il vero capo di quella rivolta”. Insomma, è la tentazione di opporsi a un potere ingiusto ricercando a propria volta un potere che finirà invariabilmente per essere ingiusto a sua volta. Il che non vuol dire che non si può lottare per un’ideale politico. Ma non mettendoci in mezzo il Padre Eterno, e tenendo conto del fatto che questo ideale sarà sempre terreno e fallibile, perché il regno di Dio “non è di questo mondo”: “la lotta per la libertà della chiesa, la lotta perché il regno di Gesù non può essere identificato con alcuna struttura politica, deve essere condotta in tutti i secoli”. Barabba infatti era a sua volta “una figura messianica.
La scelta tra Gesù e Barabba non è casuale: due figure messianiche, due forme di messianesimo a confronto”. “Un Messia che capeggia una lotta” versus “questo misterioso Gesù che annuncia come via alla vita il perdere se stessi”. “Come stupirsi”, chiosa il Papa, “che le masse abbiano preferito Barabba?”. In realtà, e sia pure in modo più o meno contorto, la storia dell’occidente si è poi incamminata sulla strada di Cristo. Anche e soprattutto i laici; anche e soprattutto il pensiero in apparenza debole alla Karl Popper, che diffida dei Messia costruttori del Paradiso in Terra. Ma la tentazione di Barabba è sempre incombente: dalla Sharia ai giacobini; da Marx e alla Teologia della Liberazione.
Fino all’avvento dell’Anticristo: e “l’Anticristo che è in noi” definiva Benedetto Croce il fantasma del totalitarismo.
Ma chi era questo Barabba? Un figlio di papà! Sembra quasi un ossimoro per un linguaggio popolare in cui, specie a Milano, un “Barabba” e un “figlio di papà” sono due figure pressoché opposte. Invece, nient’altro che questo signfica Bar-abbâ in aramaico: “figlio del padre”. Che poi in sé non vorrebbe dire niente, dal momento che in tutte le lingue l’onomastica prende poi una strada che l’allontana anche di molto dal suo significato letterale: insomma, il fondatore di Emergency può essere denigrato in molti modi, ma non certo attaccandosi al suo cognome per definire sua moglie “Donna di Strada”; né sarebbe giusto ridicolizzare una nazionale campione del mondo perché in mano a dei Buffon e a dei Pirlo… Ma su Barabba figlio di papà si potrà forse tornare in seguito. Lasciamo invece un attimo la parola ai testimoni. Matteo 27, 21: “Chi dei due volete che lasci libero? La folla rispose: - Barabba”. Luca 22, 18: “Ma tutti insieme si misero a gridare: - A morte quest’uomo! Vogliamo libero Barabba!”. Giovanni 18, 39-40: “Voi però avete l’abitudine che a Pasqua si metta in libertà un condannato. Volete che io vi liberi il re dei Giudei? Ma quelli si misero di nuovo a gridare e a dire: No, non lui, vogliamo Barabba!”.
Marco (15,11) invece racconta che “i capi dei sacerdoti cominciarono a mettere in agitazione la folla perché chiedesse la liberazione di Barabba”. Per “non scontentare la folla” (15,15) “lasciò libero Barabba e invece fece frustare a sangue Gesù”.
Con il che, dopo questa fuggevole ma memorabile comparsata, Barabba scompare per sempre dalle Scritture, per entrare invece nel mondo del mito, dell’interiezione popolare e dei dibattiti teologici. Una tradizione, ad esempio, ci dice che il giorno in cui fu rilasciato se ne andò sul Calvario a guardare quel Gesù che doveva essere crocifisso al posto suo.
Un’altra, che fu ucciso nell’organizzare un’altra rivolta contro i romani.
Com’è però che nelle Scritture ci era entrato? Matteo (27,16) dice semplicemente che “a quel tempo era in prigione un certo Barabba, un carcerato famoso”. Sul perché di questa fama, nessun chiarimento. E pure Giovanni (18, 19) è in apparenza sbrigativo: “Questo Barabba era un bandito”.
Attenzione però: “Banditi” erano definiti anche i partigiani italiani durante la Resistenza. Ci lo ricorda il film di Lizzani “Achtung! Banditi!”; ce lo ricorda la canzone sull’aria di un vecchio “Inno a Oberdan”: “Che importa se ci chiaman banditi/ che importa se ci dicon ribelli…”. E anche i tory e whig prima di diventare partiti politici al Parlamento di Westminster furono appellativi rispettivamente dei fuorilegge irlandesi e scozzesi. “Brigantaggio” e “briganti” sono i termini storicamente legati alla guerriglia antiunitaria nel Mezzogiorno d’Italia dopo il 1860, e fatti oggi propri anche da quella storiografia revisionista che la rivaluta. Insomma, il testo greco di Giovanni usa “lïstïs”: un termine oggi legato a qualche nome di dinosauro (l’ornitoleste è letteralmente l’“uccello ladro”), ma che allora i romani indicavano per i ribelli al loro dominio.
Appunto, achtung banditen!
E del “Figlio di Papà” Barabba, infatti, Marco (15,7) spiega che “in quel tempo era in prigione un certo Barabba che, insieme con altri ribelli, aveva ucciso un uomo durante una rivolta”.
E pure Luca (23,19) concorda: “Barabba era in prigione perché aveva preso parte a una sommossa del popolo in città e aveva ucciso un uomo”. Tant’è che la Contemporary English Version della Bibbia lo ha definito tranquillamente: “terrorist”. E’ il tipo di concessioni alla moda della modernità che dà sui nervi a molti tradizionalisti, e si può dunque capire perché il Barabba del tradizionalista Mel Gibson nella “Passione di Cristo”, interpretato da un ghignante Pietro Sarubbi, sia definito sbrigativamente “un assassino”: quasi a rimarcare la miseria di un’umanità che ha preferito un volgare delinquente al Salvatore, allo stesso modo del cameo in cui lo stesso Gibson pianta un chiodo nella mano del Crocefisso.
Poi, è vero, dopo quel ruolo Sarubbi si è convertito, raccontando pure di quell’esperienza nel libro “La Passione di Barabba”. “Barabba è come un cane inferocito, ma una volta è stato cucciolo anche lui: e incontrando il figlio di Dio si salva”, gli avrebbe detto Gibson per consolarlo di non aver potuto fare san Pietro. “Voglio che il tuo sguardo sia quello di chi vede per la prima volta Gesù”. E lui racconta: “Ho fatto come mi ha detto e quando ho incrociato i suoi occhi ho sentito una corrente elettrica, era come se guardassi davvero Gesù. In tanti anni di carriera una cosa così non mi era mai successa”.
Ma il grintoso Stacy Keach che faceva Barabba nel Gesù di Nazareth di Franco Zeffirelli non cadeva invece in soggezione davanti al segaligno Cristo di Robert Powell. Lo incontrava prima della Passione, gli si sedeva davanti, e iniziava a chiedergli cosa ne pensava della lotta di liberazione dai romani. Ritraendosi inorridito quando il Messia iniziava a anticipare la parte più non violenta del Discorso della Montagna: “Ma io vi dico: amate anche i vostri nemici”; “non vendicatevi contro chi vi fa del male. Se uno ti dà uno schiaffo sulla guancia destra, tu presentagli anche l’altra”. Barabba se ne va invece ad ammazzare romani: salvo poi venire liberato, a rivelare la sconvolgente verità che è quello di Gesù in realtà il messaggio più sovversivo.
Ebbene: è proprio questo il Barabba che il libro “non magistrale” di Raztinger fa suo.
Naturalmente, il domandarsi che cosa abbia pensato lo stesso Barabba quando vide che l’odiato oppressore preferiva lui a quel bizzarro profeta mollaccione è quesito non risolvibile, ma intrigante. E infatti, fior di scrittori ci si sono buttati a pesce sopra. Un drammaturgo norvegese con nome da centravanti e cognome da musicista, Nordahal Grieg, pur di idee comuniste, nel suo dramma del 1927 “Barabba” riconosce come la mitezza di Cristo poteva essere più rivoluzionaria della lotta armata. Poi nel 1929 è il belga Michel de Ghelderode a immaginare quella conversione di Barabba poi fatta propria da Mel Gibson. Ma il capolavoro del genere è quel “Barabba” del 1950 che l’anno dopo dà allo svedese Par Lagerkvist il Nobel per la Letteratura.
Con un colpo a sorpresa, il bandito-ribelle si converte sì alla nuova fede, affascinato dall’esempio di Colui che è morto al posto suo. Ma ne capisce talmente poco che quando scoppia il famoso incendio di Roma sotto Nerone pensa che il momento del Giudizio Universale sia venuto, e si mette entusiasticamente a spargere le fiamme per affrettarlo.
E’ dunque per colpa sua se i cristiani sono accusati del disastro e crocefissi in massa: una sorte che condividerà, morendo da assurdo martire di un messaggio che non ha compreso.
E una sorte, l’incomprensione non il martirio, che per Lagerkvist è la stessa dell’intera cristianità.
Dieci anni dopo dal “Barabba” di Lagerkvist sarà tratto un famoso kolossal cinematografico italo-Usa. Produzione: Dino De Laurentiis. Regia di quel Richard Fleischer tra i cui 38 film che realizzò nei 37 anni tra 1948 e 1985 ci sono le “20.000 leghe sotto i mari” della Walt Disney come “I vichinghi” con Kirk Douglas e Tony Curtis, e il “Viaggio allucinante” da un romanzo di Asimov, e un film su Che Guevara, e l’opera su Pearl Harbor “Tora! Tora! Tora!”, e il porno-Zio Tom “Mandingo”, e un “Conan” con Schwarzenegger, e “Il favoloso dottor Dolittle”: personaggio eclettico come pochi! Il brigante era invece Anthony Quinn, e la sua bella Silvana Mangano. Ma malgrado la presenza dello stesso scrittore fra gli sceneggiatori la storia finiva per prendere piuttosto la piega di un “Ben Hur” o di uno “Spartacus”, tra fughe dalla schiavitù e duelli gladiatorii nell’arena. Mentre il finale martirio in croce era “genuino”, e banale: senza fraintendimenti incendiari, e autoconsegnandosi quando iniziano a prendere i suoi compagni di fede.
Quelli di San Barabba o del terrorista, però, non sono i soli due destini attorno a cui l’immaginario si è dibattuto.
Anche per quel nome su cui ora torniamo: “Figlio del Padre”. Ma non era anche Gesù “Figlio del Padre”, nel senso di “Figlio di Dio”? La scelta non fu dunque tra un Barabba e un Gesù Barabba? E qui, altro colpo di scena! Secondo alcuni antichi manoscritti in siriaco, infatti, il nome di Barabba era a sua volta quello di Gesù, rispetto a cui Barabba si pone come patronimico, o cognome, o soprannome.
“Il contrasto sarebbe ancor più stridente nelle parole di Pilato rivolte alla folla: Chi volete che vi lasci: Gesù Barabba o Gesù chiamato Cristo?”, osserva Monsignor Gianfranco Ravasi in uno scritto su Famiglia Cristiana. Ma secondo lui “questa notizia è sospetta ed è stata introdotta forse proprio per rendere più drammatico il dilemma e tragica la scelta della folla che, sobillata dai sacerdoti, esige che l’amnistia sia concessa a Barabba”, secondo quella che è la classica interpretazione cattolica. Ma altri accusano proprio la chiesa cattolica di aver soppresso quella scelta tra “Gesù Barabba e Gesù Figlio di Dio cioè Gesù Barabba”, proprio per evitare turbamenti nelle coscienze. O se non la chiesa, per lo meno qualche antico apologista: sospettatissimo è ad esempio Origene, che pure sarebbe stato dichiarato eretico. Mentre qualcun altro ancora pensa a semplici sviste di copisti senza nessuna particolare intenzione sotto: sia nel senso dell’aggiungere un “Gesù” dove non c’era; sia nel senso di togliercelo dove invece c’era.
Altrimenti, un’alternativa tra un Gesù “Figliodelpadre” cognome e un Gesù “Figlio del Padre” appellativo non è in sé particolarmente strana.
Dopotutto nei governi italiani si sono aggirati contemporaneamente un Andreotti e un Andreatta dello stesso partito che infatti gli stranieri confondevano; mentre il presidente Ronald Reagan ha avuto come ministro Donald Regan. E il sacrificio del “Figlio del Padre” al posto di un altro “Figlio del Padre” non potrebbe anche avere un preciso significato simbolico? Magari, è stato un ulteriore errore di trascrizione a alterare un originale senso traslato: del tipo, Gesù crocifisso al posto dell’uomo (”figlio del padre”, nello stesso senso in cui Shakesperare poteva scrivere “uomo nato da donna”).
Ma giocando con le ipotesi, il panorama si fa vertiginoso. Hyam Maccoby, uno studioso inglese del cristianesimo di fede ebrea ortodossa, pensava ad esempio che i due Gesù Barabba fossero in realtà la stessa persona; che gli ebrei dovevano aver chiesto a Pilato qualcosa del tipo “o ci dai Gesù o ci dai Gesù” nel senso che non accettavano alternative alla Sua liberazione; e che sarebbe stato San Paolo a alterare il racconto originario apposta per scaricare la colpa della crocifissione dai romani agli ebrei e rendere la nuova fede più accetta ai “gentili”. Benjamin Urrutia, un ecuadoriano che riesce a essere contemporaneamente antropologo, linguista, teologo e scrittore di fantascienza, non solo fonde i due nomi ma anche i due personaggi: un Gesù Barabba che fu crocifisso perché patriota ebreo come Barabba, ma non violento come Gesù. Insomma, non un Messia ma un Gandhi. E c’è perfino un libro sul Santo Graal dei tre esoteristi inglesi Michael Baigent, Richard Leigh e Henry Lincoln, secondo cui il “Figlio di Papà” lo sarebbe stato in effetti di Gesù e della Maddalena, di cui il popolo avrebbe chiesto la salvezza in nome della continuità dinastica: “è morto il re, viva il re”! Ma qui, lo si sarà già capito, siamo già entrati nel terreno scivoloso alla “Codice Da Vinci”. E infatti i tre sono di quelli che hanno querelato Dan Brown per aver plagiato le loro idee.

Il Foglio, 5 maggio 2007

2 commenti:

francesco ha detto...

un pezzo, sinceramente, delirante... mah... totalmente agli antipodi della solidità e della ricchezza del testo di benedetto xvi
forse un flusso di coscienza alla joyce?
francesco

Anonimo ha detto...

Ciao Francesco. Completamente d'accordo sul fatto che siamo agli antipodi rispetto al testo di Benedetto XVI, che riportero' piu' tardi.
Raffaella