20 maggio 2007

Il viaggio del Papa in Brasile: le analisi di Accattoli e Vespa


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VIAGGIO APOSTOLICO IN BRASILE: SPECIALE

VIAGGIO APOSTOLICO IN BRASILE (9-14 MAGGIO 2007)


Riporto le analisi, obiettive ed acute, di Bruno Vespa e di Luigi Accattoli riguardo al viaggio di Papa Benedetto in Brasile. Vorrei ringraziare entrambi per l'intelligenza ed il coraggio anticonformista dimostrati.
Raffaella


Messaggi rivoluzionari

di Bruno Vespa

Noi giornalisti siamo gente pericolosa. Consegniamo all’opinione pubblica il ritratto di un personaggio e qualunque cosa accada non siamo disposti a discostarcene per nessuna ragione. Si prenda il caso di Luiz Inácio Lula da Silva. Il presidente del Brasile ha tutti gli elementi mediatici (e politici) del leader carismatico: ha fatto l’operaio e il sindacalista per gran parte della sua vita, ha tentato per tre volte di diventare presidente della repubblica senza riuscirci, nel 2002 ce l’ha fatta e l’anno scorso ha vinto le elezioni per la seconda volta. Bene, nel circuito mediatico-politico italiano Lula passa per un esponente di una sinistra a tutto tondo che sfiora anche posizioni radicali. Come si spiegherebbe altrimenti la profonda ammirazione che nutre per lui Fausto Bertinotti?
Poi arrivi in Brasile e scopri che Lula è portato in palmo di mano dalla finanza internazionale e dagli imprenditori stranieri perché con il suo patto per la crescita (Pac) ha assunto molte misure in favore degli investimenti esteri. Scopri che il regime fiscale per le aziende è molto più favorevole di quello italiano, e scopri pure che Lula ha stipulato con l’Eni un accordo per la produzione di etanolo che fa rizzare i capelli ai nostri ambientalisti. Scopri insomma che il doveroso salario alimentare minimo garantito alle popolazioni dell’Amazzonia è compensato da molte altre decisioni che in Italia verrebbero definite di destra.
Andiamo oltre. Il 9 maggio Benedetto XVI arriva a San Paolo, Lula va a riceverlo e quale messaggio gli affida? Rendere più stabile l’istituto del matrimonio e della famiglia, quasi fosse uno degli sponsor del Family day. Quanti in Italia sanno che Lula è cattolico? Quanti giornali hanno ripreso la sua dichiarazione che egli è personalmente contrario all’aborto, anche se deve tener conto del suo ruolo
Veniamo adesso a Benedetto XVI. Per un pontefice il primo viaggio in America Latina non è una scampagnata fuori porta per fare spot a favore della famiglia in un’ottica italiana anti Dico. È, al contrario, un enorme impegno sociale e spirituale in un continente di frontiera. Il Brasile è il paese più cattolico del mondo e il suo sviluppo economico è lento ma chiaro. Eppure, basta un giro in automobile a cinque minuti dal centro di San Paolo o di Rio de Janeiro per scoprire che le favelas non sono macchie di colore per turisti, ma luoghi drammatici di miseria e di emarginazione in cui ogni giorno volano pallottole e in cui gli autisti non amano avventurarsi nemmeno se guidano auto blindate.
Benedetto XVI non ha ignorato tutto questo. Ha fatto anzi un discorso durissimo di richiamo ai doveri della società nei confronti della miseria e dell’emarginazione. Ha invitato la Chiesa ad affiancare, a consigliare, a «formare» i politici perché siano all’altezza del compito. Ha attaccato le perversioni del capitalismo con la stessa durezza usata con il marxismo. Ha chiamato i giovani, vera ricchezza di un paese come quello, a mettersi subito alla guida di una rivoluzione sociale e morale. Ma quale giornale ha dedicato un titolo a tutto questo?
Naturalmente per il Papa la famiglia e la difesa della vita restano la base su cui costruire ogni forma di riscatto sociale. Ma togliere dal contesto generale il favore verso l’autoesclusione dall’eucaristia dei politici che votano per l’aborto, o le bacchettate ai media perché ridicolizzano il matrimonio o la verginità, significa raffigurare il Papa come un disco rotto. Si perde del tutto la continuità fra denuncia sociale e richiamo morale. In un paese come il Brasile, in cui la criminalità organizzata ha fatto negli ultimi mesi più morti della guerra in Iraq, il rispetto dell’intero ciclo vitale e il richiamo alla famiglia come nocciolo della società sono strumenti di reazione fortissimi. Lula, il rivoluzionario, l’ha capito. Noi continuiamo a far giocare il Papa nel cortile di casa.

Panorama


Difendo il papa brasiliano - tutto quanto

di Luigi Accattoli

Essendo stato in Brasile con il papa (vedi post dal 10 al 14 maggio) affermo che è stato un viaggio importante con il quale Benedetto XVI ha riaffermato e fatta propria la scelta preferenziale per i poveri incoraggiando una “vicinanza” concreta alle loro necessità, ha onorato il martirio dell’arcivescovo Romero; ha invitato gli episcopati a far fronte agli abbandoni della Chiesa con una rinnovata evangelizzazione sottoponendo a critica la pastorale ordinaria e spronando a un rilancio missionario. Il tutto in sostanziale continuità con la predicazione latino-americana del predecessore. Come atti e gesti sono stati significativi la canonizzazione del primo santo brasiliano, Frei Antonio de Sant’Anna Galvao, conosciuto come “uomo di riconciliazione e di pace” e la visita alla Fazenda da Esperança, comunità di recupero per tossicodipendenti. In quella visita, sabato 12 a Guarantinguetà, si è visto un Benedetto straordinariamente emozionato dal prolungato colloquio con tutti i giovani presenti, portatori di storie terribili che in parte gli erano state narrate da loro stessi.
In polemica con valutazioni apparse sui media aggiungo che non ha senso parlare di fallimento della missione papale per mancanza di folle, o di un irrigidimento integralista del papa teologo che avrebbe approfittato di questa occasione per chiudere i suoi vecchi conti con la teologia della liberazione, per fare marcia indietro sul riconoscimento wojtyliano di responsabilità cattoliche nell’oppressione degli indios e per estendere la scomunica dell’aborto ai parlamentari che ne votino le leggi.
La vicinanza ai poveri Benedetto XVI l’ha così raccomandata nel discorso dell’11 maggio ai vescovi del Brasile: “La gente povera delle periferie urbane o della campagna ha bisogno di sentire la vicinanza della Chiesa, sia nell’aiuto per le necessità più urgenti, sia nella difesa dei suoi diritti e nella promozione comune di una società fondata sulla giustizia e sulla pace. I poveri sono i destinatari privilegiati del Vangelo, ed il Vescovo, formato ad immagine del Buon Pastore, deve essere particolarmente attento a offrire il balsamo divino della fede, senza trascurare il pane materiale”.
Indicando i poveri come “destinatari privilegiati del Vangelo” il papa teologo già fa sua, traducendola nel proprio linguaggio, la scelta preferenziale per i poveri” che caratterizza la storia recente della cattolicità latina americana, ma nelle cinque giornate brasiliane non è mancata la citazione esplicita di quel motto, che così è stato ripreso nel discorso di apertura della Quinta conferenza dei vescovi latino-americani tenuto domenica 13 ad Aparecida: “L’opzione preferenziale per i poveri è implicita nella fede cristologica in quel Dio che si è fatto povero per noi, per arricchirci con la sua povertà”.
Forse più ancora di queste affermazioni, valgono a smentire chi vuole leggere in maniera regressiva il viaggio brasiliano del papa le parole sul martirio dell’arcivescovo di San Salvador Oscar Arnulfo Romero dette in aereo ai giornalisti in risposta a una domanda sulla causa di beatificazione: “E’ stato certamente un grande testimone della fede, un uomo di grande virtù cristiana, che si è impegnato per la pace e contro la dittatura e che è stato ucciso durante la celebrazione della Messa. Quindi una morte veramente ‘credibile’, di testimonianza della fede”. Martire vuol dire “testimone” e dunque il papa considera Romero un martire.
Si è detto che il viaggio è stato un flop dal punto di vista delle folle, ma il papa era andato ad aprire la Quinta conferenza dell’episcopato latino-americano, non era là per radunare folle e gli 800 mila della canonizzazione di Frei Antonio a San Paolo l’11 maggio sono stati comunque una grande folla: otto volte piazza San Pietro quand’è piena!
E’ un’incomprensione - facilmente documentabile - la presunta estensione della scomunica ai votanti leggi d’aborto, un equivoco tra domande dei giornalisti e risposte del papa, sull’aereo che ci portava in Brasile, il 9 maggio e che è stato chiarito da una dichiarazione del portavoce padre Federico Lombardi durante quello stesso volo. Una domanda errata nel merito riguardava “la scomunica data ai deputati di Città del Messico sulla questione dell’aborto”, se il papa la condividesse; il papa ha risposto come se la domanda riguardasse la scomunica per chi procura l’aborto, l’unica prevista dal Codice – ha detto infatti, in sostanza, che la condivideva perché essa “sta semplicemente nel Diritto Canonico”; il portavoce ha chiarito che “siccome non c’è di fatto una dichiarazione di scomunica da parte dei vescovi messicani, non è stata nemmeno intenzione del papa dichiarare quella scomunica”. Mi pare tutto chiaro.
E’ dettata soltanto da spirito polemico l’affermazione che il papa abbia espresso posizioni integraliste paragonabili a quelle del fondamentalismo islamico. Valgano a smentita queste parole rivolte ad Aparecida il 13 maggio ai delegati degli episcopati latino-americani: “Questo lavoro (di elaborazione di strutture sociali giuste, ndr) non è competenza immediata della Chiesa. Il rispetto di una sana laicità – compresa la pluralità delle posizioni politiche – è essenziale alla tradizione cristiana autentica”. Non è fondamentalismo il richiamo ai “principi non negoziabili” e neanche il pari monito al marxismo e al comunismo, formulato con lo stesso linguaggio con cui l’aveva proposto decine di volte Giovanni Paolo II: “Qui (nella negazione di Dio, ndr) sta precisamente il grande errore delle tendenze dominanti nell’ultimo secolo, errore distruttivo, come dimostrano i risultati tanto dei sistemi marxisti quanto di quelli capitalisti”.
Infine la questione più ardua, legata a queste parole dette dal papa ad apertura della Quinta conferenza: “L’annuncio di Gesù e del suo Vangelo non comportò, in nessun momento, un’alienazione delle culture precolombiane, né fu un’imposizione di una cultura straniera”. Sono state lette come una negazione del mea culpa di papa Wojtyla, che più volte aveva parlato della necessità di “espiare” il “peccato” dell’oppressione di cui si erano resi responsabili i colonizzatori del nuovo mondo. Ma si tratta di una lettura sbagliata. Quel peccato è ben noto a papa Ratzinger, che già da cardinale ne parlò più volte con parole chiarissime. Per esempio in Dio e il mondo (San Paolo 2001 a p. 273: “Nell’America del Sud il cristianesimo è giunto in parte sotto i fatali auspici delle spade spagnole”. In quella pagina si parla anche della Vergine di Guadalupe che ha aiutato i popoli latino-americani ad avere “una corretta comprensione del cristianesimo: ha cioè aperto loro uno squarcio sul vero volto di Dio che ci vuole salvare e non è al fianco dei distruttori della loro cultura”.
Le parole che hanno fatto scandalo vanno lette nell’insieme del paragrafo in cui sono state pronunciate, che mira a confutare la pretesa dell’indigenismo radicale che vorrebbe – dice il papa – “tornare a dare vita alle religioni precolombiane”, un’utopia la cui attuazione “non sarebbe un progresso, bensì un regresso, un’involuzione verso un momento storico ancorato nel passato”.
Una riprova convincente che il papa svolgeva un ragionamento di principio contro l’utopia del rifiuto del cristianesimo come “alienazione” e “cultura imposta” - e non intendeva negare le violenze dei colonizzatori – l’abbiamo dalla preghiera che conclude quel discorso, in cui tra l’altro si legge: “Resta, Signore, con quelli che nelle nostre società sono più vulnerabili; resta con i poveri e gli umili, con gli indigeni e gli afroamericani, che non sempre hanno trovato spazio e appoggio per esprimere la ricchezza della loro cultura e la saggezza della loro identità”. Insomma – viene a dire il papa conclusivamente - insieme alla predicazione del Vangelo ci fu violenza ed emarginazione, ma ciò non autorizza a dire che il Vangelo vada rigettato come alienazione venuta dal di fuori, perché tale non fu e tale non poteva essere.

dal blog di Luigi Accattoli