21 giugno 2007
Aggiornamento della rassegna stampa del 21 giugno 2007 (1)
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Rassegna stampa del 21 giugno 2007
SOCIETÀ E CULTURA
inchiesta 170 novità al giorno, il 40% dei titoli che vende una sola copia, Milano e Roma che smerciano da sole quanto un terzo dell’Italia... Nella crisi di sovrabbondanza dell’editoria «laica», le librerie religiose segnano una controtendenza guadagnando nuovo pubblico e quote di mercato inusuali
Prende quota il libro cattolico
La produzione cristiana ha fatto un balzo in avanti, non tanto in termini di quantità (siamo sempre intorno alle 3.000-3.500 uscite all’anno, che pur non sono poche, pubblicate da 500 sigle) quanto per qualità e ampiezza d’orizzonti. Cadono anche certi «muri» che impedivano la collaborazione tra le case confessionali
Di Giuliano Vigini
Quelli dell'editoria sono fenomeni complessi e devo per forza di cose riassumere schematicamente i punti che ritengo utili a capire la fase che stiamo attraversando.
Il primo punto che vorrei sottolineare è la tendenza del mercato a concentrarsi su un numero sempre più esiguo di titoli, di case editrici - a cominciare dal gruppo Mondadori, che detiene la quota maggiore del mercato (26,6% a valore) - e in aree commerciali sempre più limitate: bastano infatti Milano e Roma, con il 32,8% dei ricavi complessivi nel canale libreria, a fare il 20% in più di tutto il Sud messo insieme (12,7%).
Questo mercato, inoltre - ed è il secondo punto -, fa sempre più leva sulle novità come motore del proprio sviluppo. Fenomeno che si potrebbe anche considerare fisiologico, se non fosse che questa iperproduzione - quantificabile in non meno di 170 libri al giorno tra novità, nuove edizioni e ristampe - determina invece un enorme spreco, non essendo il pubblico in grado di assorbire neppure una minima parte di quello che esce, e che del resto non arriva neppure a conoscere. Ci si trova in sostanza come in una fabbrica che, anziché riuscire ad aumentare il numero di esemplari di ciò che già produce, è costretta ad attivare nuove catene di montaggio per immettere sul mercato altri prodotti che sembrano più necessari, attuali o adatti in un determinato momento. Così l'offerta, decisamente sovrabbondante per il nostro mercato e per il sistema complessivo in cui si colloca, alimenta poi un imponente riflusso.
D'altra parte, questo fenomeno è in parte riconducibile anche alla drastica diminuzione del tempo di permanenza in libreria. Esistono indubbiamente problemi di spazio, così come per tutti c'è la necessità di ridurre il rischio di un'eccessiva giacenza, e dunque un immobilizzo di capitali. Così i librai - oltre ad acquistare meno titoli e soprattutto meno copie a titolo - si vedono costretti a una rotazione sempre più rapida, che oggi si può calcolare, dopo il lancio, in u n lasso di tempo dai 40 ai 60 giorni, a meno che non si tratti di opere pubblicate da grandi editori o da sigle di prestigio. Questa uscita semidefinitiva dalla libreria è, di fatto, il viale del tramonto di un libro. Non a caso ogni anno escono di scena - generalmente perché non sufficientemente venduti - una media di 40.000 titoli, pur continuando a restarne in commercio, almeno sulla carta, oltre 600.000.
Emerge da qui un terzo aspetto problematico del mercato attuale: da un lato la tendenza a radicalizzarsi; dall'altro ad evaporare in fretta. Tant'è vero che, in libreria, i titoli che raggiungono nell'arco di un anno le 20.000 copie di vendita non sono mai più di 170-180 e che ben il 38-40% dei libri si vende in una sola copia. Per effetto di questa situazione, l'editoria marcia sempre più a due velocità, su due distinti binari.
In questa cornice generale s'innesta il discorso specifico dell'editoria religiosa. Che cosa è cambiato o si è accentuato in particolare negli ultimi anni? Direi innanzitutto che comincia, se non proprio a cadere, a incrinarsi il muro di separatezza che fino a qualche anno fa tendeva a isolare l'editoria religiosa, soprattutto quella d'impronta cattolica e cristiana in genere, dal resto dell'editoria, confinandola nella dimensione confessionale. Anche se a fatica e pur con qualche resistenza residua, stanno in sostanza allentandosi non pochi pregiudizi o preclusioni. Per almeno tre ordini di motivi.
In primo luogo, perché le case editrici del settore hanno saputo proporre, non solo titoli di argomento religioso, ma anche culturale, etico e sociale, interessanti per un pubblico più largo e quindi adatti ad essere accolti anche al di fuori del circuito religioso tradizionale. In secondo luogo, perché la stessa editoria laica ha potenziato la programmazione di testi e saggi religiosi, sia che si tratti di documentazione, analisi e contributi seri al dibattito, sia che abbiano semplicemente come obiettivo la dissacrazione, la spettacola rizzazione o la polemica. Ultimo, ma certo non secondario motivo, anche per le sue notevoli implicazioni di ordine economico, è la favorevole accoglienza - a prescindere dal successo del Gesù di Nazaret di Benedetto XVI - che hanno registrato molte opere a contenuto religioso, facendo anche da apripista ad altri testi in punti vendita non tradizionali.
Segno di questo interscambio produttivo e commerciale che si è intensificato negli ultimi anni è anche una maggiore mobilità di teologi, biblisti, storici ed esperti di cose religiose in genere da case editrici confessionali a editrici laiche, le quali possono contare in genere su un pubblico più ampio e diversificato, su un numero maggiore di canali e punti vendita, su un più forte impatto mediatico, e possono quindi «convincere» gli autori più noti a concedere loro alcuni titoli, naturalmente anche con qualche vantaggio economico in più.
Sempre per restare in tema di offerta editoriale, vorrei sottolineare come la produzione abbia fatto decisamente un balzo in avanti negli ultimi anni. Non tanto in termini di quantità di titoli - siamo sempre intorno alle 3.000-3.500 novità all'anno (che pur non sono poche), pubblicate da una miriade di sigle editoriali (a contarle tutte sono più di 500) -, quanto piuttosto in termini di livello qualitativo e di ampiezza di orizzonti. Infatti, si è molto più tempestivi nel tradurre opere fondamentali nei vari campi, così come a sviluppare approfondite riflessioni su alcune grandi questioni del dibattito culturale (come la questione antropologica, ad esempio); sui temi «eticamente sensibili» (bioetica, eutanasia, testamento biologico, famiglia, immigrazione, diritti fondamentali, eccetera); su aspetti, fatti e protagonisti della storia religiosa e civile del Novecento; sugli eventi in presa diretta con l'attualità.
Vedo insomma un'editoria attenta, motivata e reattiva, capace di farsi trovare pronta ai «crocevia», sia dello studio e della ricerca che del dibattito e de ll'attualità. Impegno che trova riscontro anche a livello di mercato, visto che la crescita dell'editoria religiosa - almeno nel canale principale che è la libreria - è superiore a quella che si registra per l'editoria di varia nel suo complesso (2,5% contro l'1%) . Tenuto conto della rilevanza che sta assumendo la riflessione sulla figura di Gesù Cristo - anche per la forte sollecitazione del libro del Papa - e sulla Parola di Dio - al centro del Sinodo dei vescovi del prossimo anno (5-26 ottobre 2008) -, le prospettive di tutta l'editoria religiosa, specialmente quella di contenuto biblico, ma anche teologico e storico, dovrebbero essere piuttosto incoraggianti. Se poi aggiungiamo a questi due temi assolutamente centrali la prossima pubblicazione dell'ormai attesissima nuova traduzione ufficiale della Bibbia Cei - che, come già in passato, è destinata a provocare un completo giro di boa nella produzione e nel mercato -, si può pensare a un futuro del settore particolarmente ricco di progettualità e soddisfazioni.
Questo ottimismo nasce anche dalla constatazione dell'impegno di riorganizzazione e rinnovamento in atto in varie case editrici. Si notano infatti programmi articolati di ristrutturazione interna e coordinamento delle attività; di ammodernamento delle librerie e ripensamento della loro filosofia di gestione; di penetrazione in nuovi canali e sfruttamento di nuove modalità di vendita. Un altro positivo segno del cambio di passo che si sta verificando nell'editoria religiosa è la nascita del Consorzio per l'Editoria Cattolica (Cec): un progetto per sviluppare servizi unificati di informazione e orientamento bibliografico col portale www.rebeccalibri.it.
Avvenire, 21 giugno 2007
LA FEDE NEL MIRINO
I vescovi caldei contrari all’ipotesi di costituire un’enclave protetta nel Nord del Paese: «Chiusi in gabbia diventeremmo ancor più una preda»
Iraq, cristiani ancora sotto attacco
Due assassinati a Mosul, rapiti otto studenti e professori
Il Patriarca Delli: «L’Onu e l’Ue difendano i nostri diritti»Un commando ferma bus diretto all’università e prende in ostaggio i passeggeri: per ora nessun contatto
Di Luca Geronico
Dal Vaticano l'appello accorato e disperato del patriarca di Baghdad: chiede preghiere a tutti i cristiani, al mondo il risveglio delle coscienze e gesti concreti per difendere il suo popolo, per difendere tutti gli iracheni. Dall'Iraq, poco importa se meditata o casuale, la replica è puntuale nei tempi e agghiacciante nei modi: cinque studenti e tre professori che viaggiavano sugli scuolabus della comunità cristiana di Mosul sono stati rapiti da uomini armati. Stavano rientrando al loro villaggio dopo aver fatto un esame all'università. L'ultimo episodio di una persecuzione che la Chiesa caldea una settimana fa aveva definito «genocidio». Martedì, sempre a Mosul, altri due caldei sono stati uccisi in un agguato.
L'angoscia e la solitudine dei cristiani d'Iraq è tutta nelle parole di Emmanuel Delli: «Ho chiesto a tutti di pregare per noi e di fare qualcosa che faccia risvegliare la coscienza del mondo chiedendo alle Conferenze episcopali di tutto il mondo di fare qualcosa per gli iracheni. Questo, insieme alla preghiera e al risveglio delle coscienze, per difendere i diritti umani dei loro confratelli in Iraq», dichiara a Radio vaticana.
L'anziano leader spirituale dei cattolici iracheni, in questi giorni a Roma per la Riunione delle opere di aiuto alle chiese orientali (Roaco), abbandona l'abituale basso profilo politico dei suoi interventi. Un segno inequivocabile, pure questo, del precipitare della crisi umanitaria che riguarda tutta la popolazione civile indipendentemente dall'appartenenza etnica o religiosa. «Questo è il mio grido, che rivolgo a tutto il mondo, a tutte le istituzioni, all'Onu, all'Ue, al Consiglio di sicurezza, alla Fao, affinché anche loro gridino al mondo che gli iracheni devono vedere i loro diritti rispettati, tutti, musulmani e cristiani. Ora in Iraq - questa l'amara conclusione di monsignor Delli - i diritti umani non sono rispettati».
Nessuna giustificazione quindi per i terroristi che «usano la religione per i lo ro scopi» e che interpella gli stessi leader musulmani a cui il patriarca caldeo chiede di «protestare contro il fondamentalismo e il terrorismo che danneggiano l'immagine dell'islam».
L'intervento nello stesso giorno della bocciatura ufficiale da parte dell'episcopato iracheno dell'idea di una enclave cristiana nella piana di Ninive. Il progetto, sostenuto dal segretario di Stato americano Condoleezza Rice in virtù dell'impianto federalista della nuova costituzione, è stato pure discusso nel recente incontro fra il presidente George Bush e Benedetto XVI. «Una divisione etnico-confessionale dell'Iraq non ha senso. I cristiani sono dappertutto in Iraq come lo sono i sunniti e gli sciiti», afferma una nota dello stesso Emmanuel Delli distribuita all'agenzia Sir. Se le comunità cristiane sono in fuga, specialmente nel nord del Paese, «bisogna aiutarli e dare loro i mezzi necessari per vivere, in attesa che, un giorno, possano rientrare nello loro case, riprendersi le loro terre e proprietà che hanno dovuto lasciare».
«Non è una soluzione idonea», ribadisce sempre al Sir il vice-patriarca caldeo Shlemon Warduni: «È necessario rivendicare la libertà religiosa e il rispetto dei cristiani, ed è illogico rinchiuderli in una gabbia. Così facendo diventeremmo ancora di più una preda». «Abbiamo tanti monumenti, tanti luoghi di culto storici, come possiamo abbandonarli per andare in un posto nuovo dove ricominciare a vivere?», si domanda il pastore caldeo. I vescovi iracheni evocano l'immagine evangelica del "sale" e della "luce", e la secolare tradizione di convivenza pacifica con i musulmani. «I cristiani sono una presenza significativa in Iraq da duemila anni - conclude monsignor Warduni -. Siamo iracheni a pieno titolo e siamo sempre rimasti fedeli al nostro Paese».
Poter restare in libertà, senza steccati reali o ideologici. Un sogno mentre a Karakoch, il villaggio cristiano a pochi chilometri da Mosul, da ieri tutta la comunità è riunita in atte sa di un cenno dai rapitori degli otto studenti. In passato i bus privati che portavano a scuola i giovani della comunità erano stati fermati dagli integralisti che con la minaccia delle armi avevano costretto le ragazze a portare il velo. «Fuggiti da Baghdad, gli integralisti di al-Qaeda ora comandano da noi. E lo Stato non fa nulla per proteggerci», commenta un sacerdote assiro originario di Mosul.
Avvenire, 21 giugno 2007
FILIPPINE
I confratelli del missionario rapito a Mindanao due settimane fa esortano chiunque sappia la verità a farsi avanti
L'appello del Pime per padre Bossi: «È necessaria chiarezza sul sequestro»
Il superiore Giovanni Sandalo: «Non temo per la sua salute, ma preoccupa la totale assenza di informazioni»
Da Bangkok Stefano Vecchia
Si fa confusa nelle Filippine la vicenda di padre Giancarlo Bossi, il missionario milanese rapito il 10 giugno nei pressi di Payao, sull’isola filippina di Mindanao.
Mentre da giorni si rincorrono le voci di un contatto con i sequestratori, avviato attraverso i buoni auspici del gruppo guerrigliero Fronte islamico di liberazione Moro, della richiesta di un riscatto, ma anche di un possibile intervento delle forze speciali che avrebbero circondato la zona in cui si trova il covo dei rapitori, il Pontificio istituto missioni estere (Pime), di cui padre Bossi fa parte, ha lanciato un appello alla chiarezza e alla verità. Nell’appello diffuso ieri, intitolato «Noi speriamo ancora», i missionari del Pime nelle Filippine invitano chiunque sappia la verità a farsi avanti.
Nel testo sono contenute alcune precisazioni sulle circostanze del rapimento: «A oggi nessuna comunicazione è giunta dai rapitori o da nessun altro che possa verificare le sue condizioni – si legge nell’appello –. Per quanto ne sappiamo, i rapitori e i loro mandanti non sono stati chiaramente identificati, tuttavia le prove puntano a un gruppo ben organizzato che potrebbe avere usato un natante pesantemente armato e ben equipaggiato e che la cattura di padre Giancarlo era stata accuratamente pianificata». Segue una serie di interrogativi sorti dalle contrastanti informazioni circolate nei giorni scorsi, in parte con ogni probabilità diffuse ad arte, in parte conseguenza della difficile situazione della regione, caratterizzata da estesa povertà, contesa tra esercito e guerriglia islamica, terra su cui convergono vasti interessi economici e non sempre chiari interessi politici. «Chi sono i rapitori e i mandanti? Chi sta dietro a questo dramma? Perché i sequestratori non dichiarano il loro scopo? Perché stanno giocando con la vita di una persona, di un responsabile religioso al servizio della popolazione in un’area remota? – si chiedono i missionari –. Qualcuno deve essere a conoscenza di questo piano». Precisando che il governo fiippino «sta usando tutte le sue risorse nelle ricerche», il testo diffuso si conclude con un appello: «Preghiamo che le persone di buona volontà abbiano il coraggio di portare alla luce la verità e di liberare la nazione da questi vergognosi atti di tensione».
Doccia fredda sulla vicenda anche da parte del superiore del Pime nelle Filippine, padre Giovanni Sandalo: «Continuano a giungermi notizie sull’imminente o addirittura già avvenuta liberazione di padre Bossi che, una volta verificate, si rivelano false. Non temo per la salute del nostro missionario, so che ha un’elevata capacità di resistenza e di sopportazione. Quello che genera apprensione è l’assenza totale di informazioni» –. E a proposito dell’ipotesi di richiesta di un riscatto, padre Sandalo conclude categorico: «Non è giunta alcuna richiesta, né a me, né all’ambasciata italiana a Manila».
Avvenire, 21 giugno 2007
ANNUNCI SENZA FONDAMENTO SULLA RU486
Aborto chimico: la fretta non si cura della verità
Eugenia Roccella
Con ciclica puntualità, compaiono sulle agenzie di stampa notizie sulla pillola abortiva Ru 486. Non si tratta degli aggiornamenti sulla tragica contabilità delle morti (siamo arrivati a 15), e nemmeno delle numerose testimonianze di donne che sono passate per l'aborto chimico e ne raccontano tutto il dolore e l'orrore (se ne può leggere una sull'edizione inglese della rivista Marie-Claire). Queste informazioni sui giornali italiani si cercherebbero invano; invece, a cadenza regolare, troviamo comunicati su un imminente ingresso del farmaco sul nostro mercato. Da quando, nel 2005, è cominciata la campagna per l'aborto chimico, è stato tutto un susseguirsi di annunci: la pillola arriva, sta arrivando, arriverà. Ricordiamo che la Ru 486 in Italia non è commercializzata perché l'azienda che la produce, la Exelgyn, non si è mai decisa, in 15 anni, a chiederne la registrazione nel nostro Paese, nemmeno quando il ministro della Sanità era il professor Veronesi, notoriamente favorevole al farmaco.
Nelle ultime settimane gli annunci si sono fatti più frequenti, e ieri l'Aduc, associazione di consumatori di area radicale, ha usato toni trionfalistici: l'Emea, l'ente europeo per il controllo dei farmaci, avrebbe espresso il suo parere favorevole alla pillola abortiva, e la Commissione europea l'avrebbe approvato all'unanimità. Secondo l'Aduc, già in autunno sarà possibile utilizzare la Ru 486 negli ospedali italiani.
Ma cosa è accaduto, per legittimare tali entusiastiche aspettative? Assolutamente nulla. La Francia (Stato che deteneva una robusta quota azionaria della ditta produttrice del farmaco) ha sottoposto al vaglio dell'Emea un nuovo dosaggio della pillola, che è stato accettato dal Comitato tecnico scientifico. Qualora l'Emea approvasse la decisione del Comitato, la Exelgyn potrebbe mettere in commercio dosi da 200, 400 o 600 mg in relazione all'avanzamento della gravidanza. Da quel momento la ditta francese potrebbe chiedere in Italia la registrazione dei nuovi dosaggi, esattamente come negli anni precedenti avrebbe potuto chiedere la registrazione del vecchio. Però non l'ha mai fatto. La Exelgyn, infatti, non ama sottoporre il suo prodotto a un'opinione pubblica troppo critica: è per questo che non ha mai diffuso la Ru 486 negli Usa, Paese in cui i consumatori sono fortemente tutelati, e ha scelto di regalarne il brevetto a una società americana, mettendosi al riparo da eventuali cause legali.
Dunque, nulla è cambiato, se non in peggio: il nuovo dosaggio, infatti, è ritenuto rischioso dalla Food and Drug Administration, l'ente di controllo statunitense, ed è stato bocciato persino dallo stesso inventore della pillola, il medico Emile Beaulieu, in una lettera al New England Journal of Medicine. Non solo: l'Emea vuole maggiore documentazione sulle infezioni letali da Clostridium e sulle emorragie nei casi di anemia. Se la Exelgyn si deciderà davvero a chiedere di distribuire il farmaco nel nostro Paese, qualcuno dovrà pure porsi il problema delle 15 donne morte, delle centinaia di eventi avversi denunciati, della difficoltà di mantenere l'intero processo abortivo, che può durare più di un mese, sotto controllo medico. Il Ministro della Salute, Livia Turco, dovrà porsi il problema della compatibilità del metodo chimico con la legge 194 e con le garanzie sanitarie espressamente previste per le donne che interrompono la gravidanza. È lecito adottare un metodo con cui l'espulsione dell'embrione avviene fuori dalle strutture pubbliche? Il Consiglio Superiore di Sanità ha già detto di no; ma il ministro cosa dice?
Avvenire, 21 giugno 2007
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