14 giugno 2007

Il Papa ad Assisi: speciale di "Avvenire"


Vedi anche:

I sequestri dei missionari? Di serie B...non sono giornalisti!

Il Papa firma i francobolli emessi per il suo compleanno

L'aggressione laicista? Un dono per la Chiesa

"Gesu' di Nazaret": la presentazione a Lodi

Rassegna stampa del 14 giugno 2007

La scommessa culturale di Benedetto XVI

I media? Una belva selvaggia, parola di Tony Blair

I media vaticani che vorrei (di Raffaella)


IL FATTO

Nel suo quinto viaggio in Italia il Papa andrà nella città resa celebre dal Poverello, in occasione degli 800 anni della sua conversione. Tra il santo e la sede del papato un rapporto fecondo. Che ripercorre le relazioni tra carisma e istituzione

Sotto il segno di Francesco

Domenica la visita di Benedetto XVI ad Assisi Nel 1939 Pio XII proclama il santo Patrono primario d’Italia. Alla vigilia dell’apertura del Concilio, nel 1962, il viaggio in treno di Giovanni XXIII Giovanni Paolo II ci è venuto sei volte

Di Gian Maria Vian

È sotto il segno di Francesco - il «secondo Cristo» (alter Christus), perfetto imitatore di Gesù - che si può collocare il rapporto tra Assisi e il papato, di cui l'imminente visita di Benedetto XVI rappresenta la tappa più recente. Il municipio romano di Asisium - centro fiorente, come mostrano i resti monumentali - ha origini cristiane discusse. Secondo lo storico protestante Adolf von Harnack la diocesi sarebbe precedente all'età costantiniana, ma i documenti su martiri e vescovi locali - Vittorino, Savino e lo stesso Rufino, patrono e protettore della città - non precedeono l'undicesimo secolo, mentre il primo vescovo di cui si abbia notizia storica sicura fu - a metà del sesto secolo, dopo la distruzione portata da Totila - Avenzio, legato degli ostrogoti presso l'imperatore Giustiniano. E appunto all'undicesimo secolo risale la ricostruzione, voluta dal vescovo Ugo, della primitiva chiesetta di San Rufino, rifatta un secolo più tardi da Giovanni da Gubbio.
Ricostruire e restaurare chiese, ricostruire e restaurare la Chiesa: questa doppia prospettiva segna anche l'avvio del cammino di Francesco (1181/1182-1226). Protetto dal vescovo Guido II, amico fedele, il figlio del ricco mercante Pietro Bernardone restaura con le sue mani la chiesetta di San Damiano in rovina. Lontano, il papa di Roma - uno dei più grandi della storia, Innocenzo III - vede in sogno un uomo che puntella la Chiesa di Cristo, anch'essa a rischio di crollo. Il significato della visione (meno di un secolo dopo raffigurata in modo straordinario da Giotto proprio ad Assisi) appare chiaro al romano pontefice quando nel 1210 riceve frater Franciscus, lo sposo di Madonna Povertà, e i suoi primi compagni: di costoro non esita a riconoscere, sia pure non formalmente, la scelta fissata in una prima regola, imponendo loro la tonsura.
Porziuncola e indulgenza. Inizia così il rapporto, lungo ormai quasi otto secoli e fecondo, tra Assisi e il papato, tra il caris ma francescano e l'istituzione papale al suo apogeo medievale. E solo pochi anni più tardi, nel 1216, Onorio III lega alla piccola cappella di Santa Maria degli Angeli - la Porziuncola, carissima a Francesco e attorno alla quale si riuniscono periodicamente i suoi compagni - la celebre indulgenza (il «perdono di Assisi»). Che viene concessa a quanti ogni anno visitino il 2 agosto la loro parrocchia o altra chiesa designata. Ed è lo stesso pontefice ad approvare nel 1223 l'ordine francescano, secondo un testo (la Regula bullata) dettato da Francesco e scritto con l'aiuto decisivo di un altro grande amico, il cardinale Ugolino dei conti di Segni, nipote di Innocenzo III ed esperto giurista, ancora una volta unendo l'istituzione al carisma.
Non è ancora quarantacinquenne frater Franciscus - e da due anni reca impressi su di sé, in modo misterioso, i segni della passione di Cristo ricevuti sul «sasso» della Verna - quando la sera del 3 ottobre 1226, nudo sulla nuda terra, nei pressi della Porziuncola, accoglie «sora nostra morte corporale, da la quale nullu homo vivente pò skappare». Trascorrono ventidue mesi ed ecco da Perugia (dove risiede allora la corte pontificia) tornare ad Assisi, ma in altra veste, il cardinale Ugolino, da un anno papa Gregorio IX. Ed è proprio l'amico fedele di Francesco a proclamarlo santo nella sua città, con la bolla Mira circa nos del 19 luglio 1228, fissandone la festa al 4 ottobre.
Sessant'anni più tardi, nel 1288, un seguace di Francesco viene eletto papa: è il cardinale Girolamo d'Ascoli, che prende il nome di Niccolò IV, primo di una serie di pontefici francescani che comprende, all'inizio del Rinascimento, i due della Rovere (zio e nipote) i cui nomi sono legati al consolidamento dello Stato della Chiesa e alla Cappella Sistina - Sisto IV e Giulio II - e un secolo più tardi Sisto V (1585-1590), fino all'ultimo, Clemente XIV (1769-1774).
L'epopea narrata da Giotto. Da oltre quattro secoli ad Assisi s'innalza la chiesa di San Francesco: qui il corpo del figlio di Pietro Bernardone è traslato nel 1230 (in un luogo di cui con il tempo si perde la memoria e che viene ritrovato nel 1818), mentre nel 1253 Innocenzo IV consacra l'edificio dove l'epopea francescana, narrata con i colori di Giotto, s'intreccia anche visivamente con la storia del papato. Nel 1367 la città, dopo un secolo e mezzo di lotte con Perugia, sceglie il governo temporale dei papi, continuo tra il pontificato di Paolo III (1534-1549) e il 1860, quando lo Stato pontificio viene ridotto più o meno entro i confini dell'attuale Lazio.
Una relazione speciale. Nell'ultimo ventennio dell'Ottocento, il rinnovamento degli studi - opera, tra gli altri, del pastore protestante Paul Sabatier e del poeta Giulio Salvadori - e quindi i centenari francescani del 1881 e del 1926 rilanciano la figura del santo e, di conseguenza, anche la relazione speciale tra Assisi e il papato. Nel 1909 Pio X dichiara San Francesco basilica papale, nel '16 Benedetto XV sceglie il santo come patrono dell'Azione Cattolica e nel '39 il neoeletto Pio XII lo proclama patrono primario d'Italia. Il 4 ottobre 1958 l'arcivescovo di Milano Giovanni Battista Montini guida il pellegrinaggio lombardo alla tomba del santo e pronuncia un'omelia nella quale inserisce una preghiera che ne sottolinea la modernità: «Francesco, aiutaci a purificare i beni economici dal loro triste potere di perdere Dio, di perdere le nostre anime, di perdere la carità dei nostri concittadini». Quattro anni dopo, il 4 ottobre 1962, alla vigilia dell'apertura del concilio Vaticano II, è Giovanni XXIII a recarsi, in treno, a Loreto e Assisi.
Ma il papa che più spesso ha voluto tornare ad Assisi è stato Giovanni Paolo II: per la prima volta già nel 1978, poi nel 1982, nel 1986, nel 1993, nel 1998 e, infine, nel 2002, quando il 24 gennaio- a cinque mesi dall'attentato dell'11 settembre 2001 - volle un secondo incontro interreligioso contro le guerre e il terrorismo dopo la preghiera per la pace, ormai entrata nella storia, tenuta il 27 ottobre 1986. Nel segno di Francesco, che apre la lista dei santi della carità di Cristo nella conclusione dell'enciclica programmatica di Benedetto XVI «Deus caritas est».

Avvenire, 14 giugno 2007


Il Papa ad Assisi il 17

La visita nei luoghi di san Francesco, la preghiera sulla tomba del Poverello e l'incontro coi giovani a Santa Maria degli Angeli. Sono i principali appuntamenti del viaggio apostolico di Benedetto XVI ad Assisi, il 17 giugno. Il programma per ora prevede che il Papa arrivi ad Assisi in elicottero; prima tappa al santuario di Rivotorto. Quindi il Pontefice visiterà San Damiano, dove avvenne la conversione del Poverello, poi pregherà sulla tomba di Francesco. A seguire la messa nella piazza della Basilica inferiore, dove sarà recitato anche l'Angelus. Dopo pranzo il saluto alle Clarisse cappuccine tedesche, prima di visitare la cattedrale di San Rufino. La giornata si concluderà con la visita a Santa Maria degli Angeli e l'incontro con i giovani nel piazzale della Basilica.

Avvenire, 3 giugno 2007


800 anni fa la rivoluzione del poverello

Francesco
La conversione


Era il 1207 quando Gesù crocifisso in San Damiano lo invitò «a riparare la sua casa». Ma da qualche anno meditava una svolta. Il prossimo 17 giugno Benedetto XVI gli renderà omaggio ad Assisi

Il 1207 è comunemente ritenuto l'anno della conversione di Francesco d'Assisi. Ed è allora importante - soprattutto per noialtri cattolici - tornar a meditare sull'uomo che ha tanto profondamente rivoluzionato i modi d'approccio alla fede da venir definito l'alter Christus. Quando si parla di uomini o cose importanti del passato che ci sentiamo ancora vicini, è perfino banale definirli "moderni" se non addirittura "attuali". Ma il fatto è che, per Francesco e la sua "proposta cristiana", è proprio così. E' stato "moderno", anzi rivoluzionario, il suo voler seguire nudo il Cristo povero e nudo sulla croce; è attuale, e sconvolgente, il suo vederlo riflesso nei poveri, negli ammalati, negli umili, negli ultimi della terra. Quando il Signore lo attirò irresistibilmente a Sé, quando fece innamorare di Sé quel giovane vanitoso e scapestrato che sognava amori avventurosi e glorie cavalleresche, la Chiesa e la fede conobbero davvero una svolta.
Nella cristianità latina del primissimo Duecento, quando Francesco stava uscendo dalla giovinezza (un ventenne era, allora, un uomo ormai fatto), il Cristo che s'adorava era «il Cristo delle cattedrali, un giovane Dio bianco e virile; un Re, Figlio di Re», come l'ha splendidamente definito l'ateo Pierre Drieu la Rochelle magistralmente descrivendo il Cristo amato dai volontari franchisti nella guerra civile spagnola. Il cristianesimo occidentale del pieno Medioevo era tutto Antico Testamento e Apocalisse: anche se può apparire paradossale, era un cristianesimo senza Vangelo, quindi in un certo senso senza Gesù. La croce stessa era diventata, fin dai tempi di Costantino, un'insegna gloriosa e vittoriosa, un aureo e ingemmato simbolo imperiale e guerriero. Si conosceva, certo, la teologia del Christus patiens: ma era solo un preludio alla Resurrezione e alla vittoria. I crocifissi dei secoli X-XII sono vivi, gli occhi sbarrati e terribili, il volto severo e sereno, la corona imperiale sulla fronte, le vesti ligurgiche del Summus Sa cerdos indosso.

Il Gesù di Francesco, no: quello, è un Dio povero e nudo, sia nella nascita come Bambino tremante di freddo sulla mangiatoia, sia nella morte atroce su un patibolo infamante. Un Dio che, facendosi Uomo, ha deposto ogni segno di potenza: e quella è la Vera Povertà da imitare. Per noi cattolici, nella storia del cristianesimo c'è un prima di Francesco e un dopo Francesco.
Ma stabilire il momento, l'atto, le circostanze della sua conversione, è arduo. Perfino il primo biografo, Tommaso da Celano, raccontando due volte la vita di Francesco quasi all'indomani della sua canonizzazione, nel 1228, e poi a quasi un ventennio di distanza, sconvolge profondamente la versione dei fatti: il celebre miracolo del crocifisso dipinto della chiesa di San Damiano, che avrebbe parlato ordinando a Francesco di restaurare la Sua chiesa (o la Sua Chiesa?) in rovina, appartiene infatti solo alla seconda redazione della Vita celaniana. Ma quel che Francesco dice di sé, e della chiamata che sentì potente, e di come la comprese e l'accolse, è ben diverso. Lo afferma a chiare lettere, nel suo Testamento: «Nessuno mi diceva che cosa dovessi fare»: una frase nella quale si avverte ancora l'eco dello scoramento, del disorientamento; ma in cui si coglie anche il segno d'una piena consapevolezza di libertà.
Fu un processo lungo, in realtà, la sua conversione. Esso va situato grosso modo tra 1206 e 1208: ma, a voler andar più in fondo alle cose, cominciò ancora prima, quando il giovane aspirante cavaliere programmò la sua partenza per le Puglie in cerca dell'avventura crociata; e si concluse solo nel 1210, ai piedi d'Innocenzo III. Il vero seme di tutto era forse già stato nascosto nel suo animo fra 1202 e 1204, durante la prigionia in Perugia dopo la guerra perduta dagli assisani e la malattia che le tenne dietro. Quando tornò in patria, alle feste e ai banchetti spensierati, non era in realtà più lo stesso; né il fondaco paterno, né le prospettive d'un avvenire cavalleresco, gli bastavano più.

Un grande storico, Arsenio Frugoni, ci ha insegnato che nel ricostruire un processo storico non si debbono mischiare e combinare le fonti tra loro alla ricerca di una unità complessiva dei fatti che finisce con il somigliare al mostro creato in laboratorio dal dottor Frankenstein. Memori di quel magistero, rinunziamo a dare un ordine definitivo a episodi in sé ben noti, ma la sequenza dei quali, se combinata in un modo diverso, finisce con il conferire un valore differente alla stessa conversione: il viaggio troncato a Foligno, le ultime feste con gli amici, lo spettacolo della povertà e delle malattie che fino ad allora aveva schivato con orrore quasi superstizioso («troppo amara mi era la vista dei lebbrosi»), la pietà per le sofferenze umane e la scoperta che per alleviarle sul serio ci vuol più coraggio di quello necessario in battaglia, la visita alla chiesetta diruta di San Damiano e al suo povero prete, il pellegrinaggio a Roma, lo sperpero dei beni paterni, la rinunzia ad essi e al padre stesso pronunziata solennemente dinanzi al vescovo d'Assisi. Un "uscire dal mondo" che per la verità è un irrompervi fiero e irrefrenabile, una ricerca di autenticità e di essenzialità che non sopporta compromessi.
Questo è il Cristo di Francesco, che s'incontra solo nella rinunzia a qualunque tipo di avere nel nome dell'essere; questa la Povertà intesa non solo come assenza di possesso di beni, ma soprattutto come rinunzia a qualunque forma di Potere. Altro che il Poverello sorridente che parla con le tortore e accarezza il lupo. Il cristianesimo di Francesco è duro, eroico, refrattario al compromesso. Una fede da vivere in ginocchio dinanzi a Dio, ma in piedi al cospetto del mondo. Nulla di più lontano dalla civiltà del fare, dell'avere, dell'apparire, del primeggiare. Nulla di più inattuale.

Avvenire, 3 giugno 2007


Credo che sia utile rileggere le risposte che il Papa ha dato, "a braccio", alle domande dei parroci di Albano, il 31 agosto 2006.
Ecco, in particolare, che cosa disse su San Francesco
:


Sarebbero anche utili le Scuole di Liturgia, alle quali i giovani possano accedere. Sono, d'altra parte, necessarie occasioni dove la gioventù possa mostrarsi e presentarsi. Qui, ad Albano, ho sentito, è stata fatta una rappresentazione della vita di san Francesco. Impegnarsi in questo senso vuol dire entrare nella personalità di san Francesco, del suo tempo, e così allargare la propria personalità. È soltanto un esempio, una cosa apparentemente abbastanza singolare. Può essere un'educazione ad allargare la personalità, ad entrare in un contesto di tradizione cristiana, a risvegliare la sete di conoscere meglio da dove ha attinto questo santo. Non era solo un ambientalista o un pacifista. Era soprattutto un uomo convertito. Ho letto con grande piacere che il Vescovo di Assisi, Mons. Sorrentino, proprio per ovviare a questo «abuso» della figura di san Francesco, in occasione dell'VIII centenario della sua conversione vuol indire un «Anno di conversione», per vedere qual è la vera «sfida». Forse tutti noi possiamo un po' animare la gioventù per far capire che cos'è la conversione, collegandoci anche alla figura di san Francesco, per cercare una strada che allarghi la vita. Francesco prima era quasi una specie di «play-boy». Poi, ha sentito che questo non era sufficiente. Ha sentito la voce del Signore: «Ricostruisci la mia Casa». Man mano ha capito cosa voleva dire «costruire la Casa del Signore».

6 commenti:

euge ha detto...

Adesso voglio sperare, che si consideri la visita di Benedetto XVI per il suo valore dalla Messa, alle sue parole, all'incontro con i giovani e non si riduca come al solito da parte di certi giornalisti vaticanisti all'ennesimo e ignobile confronto tra Giovanni Paolo II e Benedetto XVI!!!!!!!!!!!!! Tra l'altro, vorrei dire a questi signori che ancora forse non lo hanno compreso, che essendo forte il legame non solo di collaborazione ed amicizia ma, di stima reciproca fra i due, magari a Giovanni Paolo II non piacerebbe affatto questo continuo insensato,ignobile ed indiscriminato confronto!!!!!!!!!
Cari vaticanisti cominciate a scrivere seriamente su Benedetto XVI sui suoi discorsi, insegnamenti e quant'altro forse finalmente, sarete considerati tali!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
Eugenia

Anonimo ha detto...

Ciao Eugenia, pensi che questa volta i vaticanisti ci stupiranno in positivo? Io non credo. Non vorrei essere costretta ad anticipare di ore i titoli dei giornali.
Resta valido il discorso di Blair sui media :-)
Raffaella

euge ha detto...

No!!!!!!!!!!!!!! assolutamente!!!!!!!!!! ma, sai la speranza è sempre l'ultima a morire

Eugenia

lapis ha detto...

Non so se il Papa pubblicherà il Motu Proprio sulla liberalizzazione della Messa in latino prima di andare ad Assisi o dopo; certo è, per come la vedo io, che questi saranno, nel debito ordine cronologico ancora da stabilirisi, i prossimi due punti di forza cui la stampa si appiglierà per criticarlo e definirlo ancora una volta un oscurantista retrogrado. Già sappiamo cosa è stato anticipato circa l'uscita del Motu Proprio: addirittura i media hanno paventato il ritorno del latino come lingua esclusiva per la liturgia, mentre sappiamo che si tratta solo di una facoltà e non di obbligo. Durante e dopo il viaggio ad Assisi non solo dovremo sorbirci il solito ritornello che "Ratzinger non è Wojtyla" perché è "tedesco" ed è "teologo", ma se il Papa oserà riproporre su San Francesco gli stessi concetti che ha già sfiorato parlando della sua figura con i parroci di Albano, anche per sottrarre il grande Santo di Assisi a interpretazioni parziali e unilaterali, scenderanno in campo politici, gruppi pacifisti no-global, girotondini, storici della scuola bolognese e relativa stampa gridando al revisionismo storico, alla "medievalizzazione" di San Francesco (che tutto sommato, nel Medio Evo ci ha proprio vissuto, partecipando anche alla prima crociata) e chiedendo a gran voce le scuse di Papa Benedetto per aver preteso di sapere meglio di loro chi è stato uno dei più esemplari uomini che la Chiesa abbia mai elevato agli onori degli altari.

euge ha detto...

Ho letto il tuo post Lapis ed i rischi sono effettivamente questi ma, noi saremo qui e non molleremo. Ogni volta che Benedetto ha scatenato un putiferio vedi Ratisbona, poi qualcuno si è dovuto ricredere ed hanno alla fine riconosciuto che ciò che disse quel giorno Benedetto aveva un fondamento. Infondo dire la verità e stare dalla parte di Dio è scomodo lo sappiamo tutti ma, è proprio per questo che tutti noi che seguiamo Benedetto salvo ripensamenti per paura od altro, saremo qui pronti a difenderlo come abbiamo fatto fino ad ora!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
Eugenia

Francesca ha detto...

Oramai siamo talmente abituate a difenderlo e ad affilare le spade per difenderlo letteralmente a "spada tratta" che se i cari vaticanisti questa volta ci stupissero penseremo davvero che si sia di fronte a effetti speciali.... per quel che mi riguarda lo ascolterò con l'attenzione e l'obbiettività che merita meditando e riflettendo poi sulle sue parole e alla fine so già che condividerò e sottolinierò ogni sua singola parola, non è colpa mia se da sempre sono d'accordo con lui.... ripensandoci bene poi e a vedere dalla quantità di gente che lo segue e accorre per ascoltarlo parlare in un silenzio di tomba visto che viviamo nel "mondo dei rumori" penso questo qualcosa voglia dire.... di sordi spaccati qui ci sono sempre e solo le stesse persone!!!!!
Per fortuna il mio udito e' sano i miei occhi vigili e il mio cuore aperto a ricevere tutto ciò che Sua Santità vorrà regalare a tutti noi che fedelmene lo ascoltiamo e sempre siamo alla sua sequela.
E poi..... da questa parte per così dire "scomoda" non so voi ma io ci sto davvero comodissima!!!!!!!
Francesca