24 luglio 2007

SVOLTA STORICA: IL CAPO DELLA CHIESA PATRIOTTICA CINESE: ASPETTO IL PAPA A PECHINO


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Riportiamo l'intervista a Liu Bainian, il capo della Chiesa patriottica cinese. Si tratta di un'apertura importantissima al Papa ed e' il primo, ufficiale, commento alla lettera che Benedetto XVI ha inviato alla Chiesa cinese il 30 giugno scorso.
L'intervista presenta molte ombre e molte omissioni ma e' il primo, concreto, gesto di distensione dopo anni e anni di rottura fra Cina e Vaticano. Ringrazio Repubblica per il prezioso lavoro svolto nel silenzio, nel disinteresse e nella sottovalutazione della portata storica del Pontificato ratzingeriano da parte degli altri mezzi di comunicazione di massa
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Raffaella


L´INTERVISTA

Parla Liu Bainian, che guida i cattolici organizzati dal regime

Il capo della Chiesa cinese "Aspetto il Papa a Pechino"

FEDERICO RAMPINI
PECHINO

«Io spero con tutte le mie forze di poter vedere un giorno il Papa qui a Pechino, a celebrare la messa per noi cinesi. I cattolici italiani non possono immaginare quanto desiderio abbiamo di vederlo. Attraverso la Repubblica vorrei rivolgere al Santo Padre un saluto speciale: sappia che preghiamo sempre per lui, e perché il Signore ci dia la grazia di accoglierlo tra noi».


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A pronunciare queste parole non è uno dei cattolici cinesi della Chiesa "sommersa", rimasta sempre fedele al Papa e perciò perseguitata da decenni. È Liu Bainian, 74 anni, la massima autorità dell´Associazione patriottica dei cattolici. È il più potente esponente dell´altra Chiesa, quella obbediente al governo e protagonista dello "scisma cinese" dopo la rivoluzione comunista. Liu è considerato il nemico numero uno del Vaticano. È odiato dai cattolici cinesi che vivono nell´ombra rischiando il carcere o la "rieducazione". Ma oggi è anche un uomo-cerniera da cui passano le speranze di riallacciare i rapporti tra il Vaticano e Pechino, interrotti dal 1951.

La sua decisione di concedere questa lunga intervista (tre ore) è inusuale. È evidente che ha deciso di lanciare un messaggio: la recente lettera di Benedetto XVI ai cattolici della Repubblica popolare, sottolinea pesando bene le parole, «è un grosso passo avanti».

Liu non ha il rango di vescovo, è un cattolico che non ha mai ricevuto l´ordinazione. E tuttavia come capo dell´Associazione patriottica è un´autorità superiore a tutti i vescovi della Chiesa ufficiale, è una sorta di presidente laico della conferenza episcopale. Consiglia il governo di Pechino sulla politica verso i fedeli e verso il Vaticano. Mi riceve nella sede della sua organizzazione, un palazzo antico restaurato con tetto a pagoda e colonnate rosse vicino al laghetto imperiale Houhai. Arriva all´appuntamento in mezze maniche come un impiegato ministeriale, mi fa accomodare in un´anticamera spoglia dove la luce al neon illumina una statua in bronzo di Gesù con le braccia aperte.
Inizia parlando della sua infanzia, perché lì secondo lui sta la chiave di tutto: «Sono nato nel 1934 a Qingdao nella provincia dello Shandong, un porto di mare aperto alle influenze straniere. Mio zio era cattolico e mi fece battezzare. Da bambino sognavo di diventare sacerdote, facevo il chierichetto, servivo messa. Nel 1948 la Chiesa dello Shandong era impegnata nella propaganda anticomunista: il vescovo chiamava i partigiani maoisti "i senza Dio", prevedeva che ci avrebbero rubato le terre, ogni proprietà, anche le mamme e le mogli. Dopo la vittoria della rivoluzione nel 1949 la Chiesa proibì ai cattolici di aderire a qualsiasi organizzazione comunista o sindacale. Io seguivo alla lettera quegli insegnamenti, mi fidavo ciecamente del vescovo di Qingdao. Ma proprio lui fu il primo a cedere, fece i nomi di tutti i cattolici clandestini, mio zio venne condannato all´ergastolo. Dopo l´espulsione dei missionari stranieri nel 1951 cominciai a vedere le cose in una luce diversa. Il Vaticano aveva benedetto le potenze coloniali, non aveva obiettato quando i tedeschi occuparono Qingdao, poi diede il benvenuto ai giapponesi e infine agli americani. Solo quando vinse l´armata partigiana cinese, la Chiesa ci disse che dovevamo odiarli». Per Liu quella pagina di storia rimane fondamentale per capire quel che è accaduto dopo. «Noi tutti abbiamo grande rispetto per la figura di Giovanni Paolo II: è stato il primo pontefice ad ammettere i peccati di cui si era resa colpevole in passato la Chiesa missionaria in Cina». Liu continua a evocare la rottura del 1951, per lui è essenziale tornare alle origini del divorzio. «Quello che forse non è chiaro a tutti gli italiani, è che noi seguiamo esattamente la stessa religione della Chiesa di Roma, siamo indipendenti solo dal punto di vista politico e per il reperimento delle nostre risorse economiche. Quando la stampa occidentale ricorda che nel 1951 la Cina ha rotto le relazioni col Vaticano, dimentica di aggiungere questo aspetto essenziale: noi abbiamo sempre continuato a dire che riconosciamo l´autorità unica del papa in materia di religione. Non c´è l´ombra di una controversia teologica, non abbiamo nulla in comune con i protestanti». Liu tira fuori da una cartella un vecchio discorso: il suo primo intervento alla fondazione dell´Associazione patriottica, esattamente cinquant´anni fa. Vuole che «gli italiani oggi possano conoscerlo», legge una citazione di quel testo del 1957. «La Santa Sede è l´unica rappresentante di Gesù in terra e come cattolici dobbiamo seguirla. Ciò che noi dobbiamo affermare è la nostra indipendenza politica ed economica, altrimenti resteremo una chiesa coloniale». Liu protegge se stesso, vuole difendersi dall´accusa di essere stato il leader dei "traditori" che hanno chinato la testa davanti al regime comunista. «Al contrario, abbiamo salvato il futuro del cattolicesimo in Cina, abbiamo cambiato la percezione che c´era dei missionari come alfieri dell´imperialismo, abbiamo dimostrato che i cattolici cinesi sono anche dei patrioti». Durante la Rivoluzione culturale, dal 1966 al 1976, anche la Chiesa filo-governativa finì vittima di persecuzioni di massa, come tutte le fedi religiose. «Per il cattolicesimo - dice Liu - fu un disastro, e del resto lo fu per lo stesso partito comunista perché molti suoi membri furono bersagliati dalle violenze. Io venni mandato a lavorare in fabbrica, poi in un campo di rieducazione forzata. Ma avevamo la fede, eravamo convinti che i credenti avrebbero un giorno ritrovato la serenità in Cina». Con la morte di Mao e l´avvento di Deng Xiaoping, ha inizio l´era delle liberalizzazioni, compresa una graduale tolleranza verso i culti religiosi. E qui Liu fa un lungo elenco di cifre che secondo lui dimostrano i suoi meriti.
«Nel 1949 i cattolici cinesi erano due milioni e mezzo, oggi sono cinque. Nel 1979 la Cina aveva 1.100 preti, la stragrande maggioranza vecchi e malati, oggi ne ha 1.800 e la loro età media è 30 anni. La Rivoluzione culturale aveva distrutto 3.600 chiese, le abbiamo tutte restaurate. In passato i preti non potevano viaggiare all´estero, oggi li mandiamo regolarmente a studiare negli Stati Uniti, in Francia, in Belgio, in Corea del Sud.
Abbiamo aperto seminari dove invitiamo come insegnanti sacerdoti italiani, spagnoli, irlandesi. Quando qualche nostro sacerdote ha avuto la tentazione di sposarsi, lo abbiamo espulso: come vede non ci siamo mai discostati dalla linea della Santa Sede. Però applichiamo il detto di Gesù: date a Cesare quel che è di Cesare, a Dio quel che è di Dio.
La lunga arringa di Liu Bainian è piena di ombre. Il capo dei cattolici filogovernativi dimentica di dire che gli "altri", i clandestini, sono più del doppio: almeno dieci milioni. Non spende una parola di solidarietà nei confronti dei tanti vescovi, sacerdoti, semplici fedeli che sono rinchiusi nei laogai, i campi di lavoro forzato, per aver commesso il solo reato di fedeltà al Papa. Molti vedono in lui un personaggio sinistro, arroccato a difesa dei privilegi che si è conquistato nel regime. Ma proprio questa sua fama, che lo ha fatto odiare dai cattolici della penombra, rende questa intervista sorprendente. Liu oggi afferra il ramoscello di ulivo teso da Benedetto XVI. «C´è una grossa differenza positiva - dice - tra la lettera che il papa ci ha inviato il 30 giugno e le posizioni precedenti. È scomparsa ogni opposizione al socialismo. Non veniamo più accusati di scisma. È la prima volta che dal papa i cinesi sentono che è possibile essere cattolici ed amare il proprio paese». È chiaro quale sia il confine invalicabile, per Liu come per il regime: «La Repubblica popolare non può accettare che la religione sia usata per interferire negli affari interni. Pechino non accetterà che si ripeta quel che la Chiesa fece in Polonia» (cioè l´appoggio al sindacato Solidarnosc che accelerò la fine del comunismo, ndr). Sulla nomina dei vescovi - se spetti a Pechino, o a Roma, o se sia possibile trovare una formula di co-decisione - Liu si dice convinto che «il problema si può risolvere, si risolverà, e spero anche presto». Mentre lancia al papa un segnale di apertura, Liu vuole regolare i conti con la propria coscienza, con il proprio passato. Ricostruisce ostinatamente le ragioni di una scelta. Insiste sul bilancio che può esibire al Vaticano. «Sono stato due volte nella Città Santa, la prima nel 1991, la seconda nel 1994 ed ebbi la grazia di poter vedere Giovanni Paolo II, rimasi commosso e ammirato. Ma quando mi alzavo la mattina presto per andare a messa restavo sgomento: le parrocchie romane erano semivuote. Ricordo che entrai in una chiesa dove c´erano sette fedeli, in un´altra quattro, in una ero il solo ad assistere alla Santa Messa. Mi veniva da piangere, di tristezza e di umiliazione. L´Italia è la patria del cattolicesimo ma è in Cina che le chiese sono piene».

© Copyright Repubblica, 24 luglio 2007

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Ciao Raffaella, sono felicissimo per il servizio di Repubblica di stamattina, speriamo possa essere uno spiraglio che porti ad una maggior apertura e instaurazione di maggior dialogo! Intanto noi preghiamo! Mi tocca sempre profondamente sentire come in italia e in generale nell'Occidente le chiese siano vuote, noi che abbiamo alle nostre spalle una lunga tradizione, una lunga storia cristiana, mentre in Cina e in comunità africane o in territori del Sud America dove mancano tante delle nostre libertà, comodità, ricchezze le chiese straripano di fedeli con una fede semplice e vivace. Pare quasi che la ricchezza, il condurre una vita comoda sia in contrapposizione con Dio, con la fede. Forse che si cerca Dio solo nel bisogno? Speriamo che queste testimonianze tocchino anche noi "ricchi occidentali", ma spesso poveri dentro... So che ciò che ho detto è un luogo comune, ma purtroppo lo constato sempre più.

Detto questo, vorrei sapere se l'incontro di oggi del Papa con i sacerdoti sarà trasmesso su sat2000 o telepace. Grazie a tutti, Marco.

Anonimo ha detto...

Ciao Marco, speriamo e preghiamo perche' ci sia uno spiraglio al piu' presto. L'incontro del Papa con i sacerdoti non sara' trasmesso in diretta per lasciare piu' liberta' ai sacerdoti che potrebbero trovarsi in imbarazzo per la presenza delle telecamere. Come e' avvenuto a Les Combes e a Castel Gandolfo, la sala stampa predisporra' la trascrizione completa delle parole del Papa. L'incontro verra' comunque ripreso dal CTV, quindi dovremo fare attenzione ad Octava dies di sabato :-)