24 aprile 2008

Una «standing ovation» dell’Assemblea delle Na­zioni Unite per l’ospite Benedetto (Mazza)


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Una «standing ovation» per l’ospite Benedetto

I rappresentanti delle Nazioni Unite, tutti in piedi, hanno salutato con un lungo, caloroso applauso la conclusione del discorso del Papa che ha firmato il libro d’oro dell’assemblea citando il profeta Isaia: «La pace sarà opera della giustizia» A introdurre il Pontefice il segretario generale dell’Onu e il presidente dell’assise, Srgjan Kerim Alla conclusione del suo intervento, il Papa ha incontrato lo staff del Palazzo di Vetro. Quindi, nella sala della meditazione, l’omaggio a chi ha perso la vita in missioni di pace

DAL NOSTRO INVIATO A NEW YORK

SALVATORE MAZZA

Sul libro d’oro, prima di firmar­lo, scrive: «Erit opus iustitiae pax» cioè «La pace sarà opera della giustizia». E nel versetto di I­saia, che ha voluto lasciare a ricordo di questo giorno, c’è tutto il senso di quanto Benedetto XVI è venuto a di­re davanti all’Assemblea delle Na­zioni Unite.
Che i diritti umani, ba­sati sulla legge naturale e sulla ugua­glianza, sono universali, indivisibili ed interdipendenti. Che su di essi poggiano le relazioni internazionali, e si dà la misura del bene comune. Ri­conoscerli e promuoverli è il passag­gio necessario per eliminare le disu­guaglianze tra Paesi e gruppi sociali, al punto che ormai le norme inter­nazionali riconoscono la «responsa­bilità di protezione» che consentire alla comunità internazionale di in­tervenire in presenza di una grave violazione.

La visita all’Onu era il passaggio for­se più atteso di questo viaggio di Be­nedetto XVI negli Usa, terzo Papa a parlare dal palco dell’Assemblea del­le Nazioni Unite, che l’ha salutato con ripetuti applausi che, all’inizio e alla fine, si sono trasformati in una
standing ovation del tutto sponta­nea. Discorso non facile, quello pro­nunciato da Papa Ratzinger, che, a parte un accenno alla povertà in A­frica, piuttosto del passare in rasse­gna le «aree di crisi», come molti commentatori soprattutto qui si a­spettavano, ha proposto una rifles­sione sul fondamento etico dei dirit­ti umani. Lo ha fatto prendendo spunto dai 60 anni della Dichiara­zione universale dei diritti dell’uo­mo, il cui merito, ha detto, è «di aver permesso a differenti culture, e­spressioni giuridiche e modelli isti­tuzionali di convergere attorno ad un nucleo fondamentale di valori e, quindi, di diritti». Un fondamento da difendere, e anzi «oggi occorre rad­doppiare gli sforzi di fronte alle pres­sioni per reinterpretare i fondamen­ti della Dichiarazione e di compro­metterne l’intima unità, così da faci­litare un allontanamento dalla pro­tezione della dignità umana per sod­disfare semplici interessi, spesso in­teressi particolari». Essa infatti «fu a­dottata come 'comune concezione da perseguire', e non può essere ap­plicata per parti staccate, secondo tendenze o scelte selettive che cor­rono semplicemente il rischio di con­traddire l’unità della persona umana e perciò l’indivisibilità dei diritti u­mani ». Quando infatti «vengono presentati semplicemente in termini di legalità – ha osservato il Pontefice – i diritti rischiano di diventare deboli propo­sizioni staccate dalla dimensione e­tica e razionale, che è il loro fonda­mento e scopo. Al contrario, la Di­chiarazione universale ha rafforzato la convinzione che il rispetto dei di­ritti umani è radicato principalmen­te nella giustizia che non cambia, sul­la quale si basa anche la forza vinco­lante delle proclamazioni interna­zionali ». Tra di essi, in primo luogo, il Papa ha ricordato la libertà di reli- gione, spesso violata, al punto da vo­ler costringere a «rinnegare Dio per poter godere dei propri diritti di cit­tadino ».
Entrato nell’aula dell’Assemblea per­correndo tutto il corridoio centrale, con accanto il segretario generale Ban Ki-moon e l’osservatore perma­nente della Santa Sede monsignor Celestino Migliore, Benedetto XVI ha preso la parola dopo i saluti del pre­sidente dell’Assemblea Srgjan Kerim, che gli ha porto anche gli auguri per il suo compleanno, e del segretario. Seduto davanti al tavolo della presi­denza, il Papa ha poi parlato in pie­di dal podio centrale, pronunciando il suo discorso in francese e inglese, lingue alle quali ha poi aggiunto lo spagnolo, l’arabo, il cinese e il russo nei saluti finali augurando ai presenti «Pace e prosperità con l’aiuto di Dio».
Nel suo discorso Benedetto XVI è partito dal sottolineare il ruolo del­l’Onu, affermando che «nel contesto delle relazioni internazionali, è ne­cessario riconoscere il superiore ruo­lo che giocano le regole e le struttu­re intrinsecamente ordinate a pro­muovere il bene comune, e pertan­to a difendere la libertà umana». Re­gole che non limitano la libertà, ma la promuovono «quando proibisco­no comportamenti e atti che opera­no contro il bene comune, ne osta­colano l’effettivo esercizio e perciò compromettono la dignità di ogni persona umana».

È da qui che nasce il principio della «responsabilità di proteggere», da cui Giovanni Paolo II derivò il concetto di intervento umanitario: «Ogni Sta­to – ha affermato in proposito il Pon­tefice – ha il dovere primario di pro­teggere la propria popolazione da violazioni gravi e continue dei dirit­ti umani, come pure dalle conse­guenze delle crisi umanitarie, pro­vocate sia dalla natura che dall’uo­mo. Se gli Stati non sono in grado di garantire simile protezione, la co­munità internazionale deve interve­nire con i mezzi giuridici previsti dal­la Carta delle Nazioni Unite e da al­tri strumenti internazionali».

Terminato il discorso, il Papa ha la­sciato la sala dell’Assemblea, dove, dopo aver salutato i dirigenti delle Nazioni Unite, è tornato per saluta­re lo staff dell’Onu, circa 3 mila per­sone fra traduttori, segretari, perso­nale amministrativo, operatori, com­missari. A loro Benedetto XVI ha e­spresso il grande apprezzamento della Chiesa per il lavoro da essi svol­to, ricordando in particolare come, solo nel 2007, ben 42 membri del per­sonale Onu abbiano perso la vita in tante parti del mondo. Quindi, prima di lasciare il Palazzo di Vetro, Papa Ratzinger ha compiuto una breve so­sta nella sala della meditazione, do­ve ha reso omaggio alle vittime del­le Nazioni Unite. Ban Ki-moon tra l’altro gli ha mostrato la bandiera del­l’Onu, che il Papa ha accarezzato, la­cerata nell’attentato al Canal Hotel di Baghdad, in cui il 19 agosto del 2003, con 21 collaboratori, perì Ser­gio Vieira de Mello, alto commissa­rio Onu per l’Iraq. Prima di entrare nella sala della meditazione Bene­detto XVI aveva assistito a un breve concerto, con giovani interpreti di tutte le razze e di tutte le nazionalità.

© Copyright Avvenire, 19 aprile 2008

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