23 aprile 2008
Messa del Papa allo Yenkee Stadium: il Bronx in silenzio davanti ai megaschermi (Molinari)
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Il Bronx in silenzio davanti ai megaschermi
DA NEW YORK
ELENA MOLINARI
Jenny Kingman è stupita dal silenzio. «Mi aspettavo una confusione enorme. È incredibile quanto zitte possano stare 60 mila persone accalcate in un posto solo».
Kingman è in ginocchio su una coperta all’esterno dello stadio Yankee, nel cuore del Bronx. È venuta da New London, in Connecticut, sperando di riuscire a trovare all’ultimo momento un biglietto per la Messa del Papa. Non ce l’ha fatta, ma non rimpiange la levataccia alle 4 del mattino o il viaggio di quasi tre ore. Sta seguendo la preghiera del Papa su un megaschermo montato all’esterno del campo sportivo, non lontano dai due camion gialli di sabbia che bloccano la 161ª strada. Dagli spalti non si leva suono. Poi, improvvisamente, il coro intona il Credo e migliaia di voci si uniscono al canto. «È magico, è unico – sorride Kingman –. Che parole come queste si riversino così belle e così forti nel Bronx. Viene da ringraziare Dio».
Saranno stati meno fortunati, ma i senza biglietto non sono meno entusiasti dei fedeli all’interno. Sono qualche centinaio, e hanno trasformato gli spiazzi tutt’attorno lo stadio in un colorito assedio. Prima della Messa hanno cantato, suonato le chitarre, improvvisato danze con foulard gialli e bianchi. Ora seguono attentamente le parole di Benedetto XVI. «Anche chi passasse a un chilometro da qui non potrebbe ignorare quello che sta succedendo oggi allo stadio: la gioia, la preghiera», aggiunge Dinora Cruz, di Jersey City. È venuta con la figlia adolescente, Maria, perché non voleva che perdesse l’opportunità di sentire dal vivo la voce del Papa. «Quando ero una ragazzina della sua età vidi Giovanni Paolo II in Uruguay, il mio Paese natale – racconta – e non me ne sono mai dimenticata. È un incontro che mi ha tenuta salda nella fede, anche durante le difficoltà dei primi anni a New York. Oggi sono qui per lei». A casa ha altri sei bambini, e quello che porterà a loro e al marito Francisco è l’invito del Papa ad avere coraggio, «a non perdersi mai d’animo».
Durante l’omelia persino i venditori ambulanti con le magliette da venti dollari e il «Savior seat» («cuscino salvatore ») da 25 hanno smesso di strillare. Un paio di volte il silenzio è rotto da un forte «Viva el Papa» in spagnolo, seguito da un breve applauso.
«Non ho mai visto lo stadio così affollato e così bello», sussurra alla moglie Philip Giordano, un avvocato di Greenwich, in Connecticut. Poi spiega a voce più alta: «Da anni faccio l’abbonamento alla stagione di baseball, è la prima volta che non riesco a entrare. Ma non potevo mancare». Quello che lo ha colpito di più? «I giovani.
Eravamo qui mentre la folla entrava, e abbiamo visto passare almeno dieci gruppi di universitari. Sa quelli che uno vede nei bar? Erano qui, di mattina presto, allegri, entusiasti. Anche noi abbiamo due figli all’università, lontano da qui, e mi ha rassicurato pensare che il futuro della Chiesa è nelle loro mani».
Uno di loro, Ken, è venuto dalla Pennsylvania con la fidanzata e un paio di amici. Nessuno aveva i biglietti, ma considera l’esperienza «storica » ugualmente. «Mi piace la musica che hanno scelto per l’occasione – dice – ho riconosciuto alcuni inni, e sentire cantare in latino è davvero bellissimo. Dovremmo farlo più spesso. Mi piacerebbe sapere le parole». Unica rimostranza di Ken? Essendo di Boston e un fan della squadra di baseball dei Red Sox, è convinto che gli Yankee quest’anno vinceranno il campionato, dopo aver avuto il Papa «in casa». «E un vantaggio troppo forte. Non è giusto!», scherza.
Ken e i suoi amici sono in jeans e maglioni felpati. Bill Taverner e sua moglie Wendy invece non hanno rinunciato alle giacche e ai cappelli. «È quello che ci mettiamo per andare a Messa – spiega il 68enne pensionato di East Brunswick, in New Jersey – e questa è una Messa speciale! » Taverner non è dispiaciuto di non essere riuscito ad entrare. «Abbiamo estratto a sorte in parrocchia, non ci sono stati favoritismi». Spera solo di riuscire a vedere il Papa all’uscita dallo stadio.
E infatti alla fine della Messa, mentre dal bacino dello stadio straripano le note dell’Inno alla gioia di Beethoven, Taverner si mette in posizione. Quando la papamobile gli passa vicino e Benedetto XVI muove la mano nella sua direzione, sorride come un bambino.
© Copyright Avvenire, 22 aprile 2008
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