23 aprile 2008

Le “americanate” di un Papa che ha incontrato il popolo e sedotto i media (Tempi)


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Le “americanate” di un Papa che ha incontrato il popolo e sedotto i media. Dalle scuse per gli scandali, agli incontri coi giovani, così Benedetto ha parlato al cuore dell’Impero

di Giacomo Maniscalco

New York

Per gli americani è arrivato a bordo dello “Shepherd One”, letteralmente “Pastore Uno”, imitazione religiosa dell’aereo presidenziale, quell’Air Force One che in giro per il mondo porta un capo di Stato come George W. Bush.
Scarpe rosse e sorriso radioso, Benedetto XVI ha inaugurato una visita piena di americanate. Nessuna traccia delle esagerazioni yankee che il termine suscita negli europei, ma gesti genuini che l’hanno avvicinato alla gente, al popolo. All’americano medio, prima ancora che alla minoranza cattolica. I canti religiosi, seguiti da inni della tradizione a stelle e strisce e quell’intervento iniziale culminato nell’affettuoso “God bless America”. Una frase che va dritta al cuore dell’America.
Eppure per i media i titoli di ogni giornata erano a senso unico, modulati sempre e soltanto sulla terribile “issue” dello scandalo degli abusi sessuali. Anche dopo i risarcimenti milionari pagati alle vittime e l’allontanamento dei preti macchiatisi di crimini orrendi, gli americani ricordano con dolore e vergogna lo scandalo dei sacerdoti pedofili esploso sei anni fa nella diocesi di Boston. L’evento senza dubbio più dannoso nella storia della chiesa cattolica americana.
Benedetto lo sapeva e non si è sottratto al calice più amaro. Ha chiesto perdono, invocato una «purificazione» all’interno della Chiesa e domandato l’intercessione della Madonna perché sozzure di questo genere non colpiscano più i ministri di Dio. Scuse commosse, dolore sincero che è arrivato al cuore della gente.

I media hanno seguito costantemente la visita e in particolare il momento delle scuse. Dai microfoni degli inviati d’assalto dei grandi network americani traspariva una sorta di reverenza, di rispetto, di gratitudine e stupore profondo verso il Papa. A poco a poco si faceva strada, anche nelle parole dei commentatori televisivi, l’idea che quell’uomo vestito di bianco non fosse il Papa reazionario e conservatore, ma un pastore venuto ad abbracciare una terra ferita.

Il 19 aprile a Yonkers (nord di New York) Benedetto ha incontrato giovani e seminaristi, accarezzato volti, stretto mani, secondo il più tradizionale eppure mai scontato copione delle visite papali. A quel popolo di 20 mila persone ha parlato della verità, dell’importanza della preghiera come «speranza in azione», del fatto che è nei giovani e nei seminaristi che la Chiesa pone la sua speranza.

La speranza, la gioia della Chiesa in quelle facce giovani, quella gioventù americana che in Europa diventa un caso quando disperata tira fuori un fucile e uccide. Disperata. A quelle migliaia di ragazzi il Papa non aveva prediche da fare, ma una speranza da portare, un compito da affidare.

Benedetto XVI è arrivato e ha parlato al cuore, con quella mite profondità che è la cifra distintiva di tutto il suo pontificato. È questo che ha colpito al cuore e adesso è appassionante vedere cosa succederà.

Sì, perché questo evidente legame del Papa con il popolo e la storia americana, non si traduce in un accordo con le decisioni politiche della Casa Bianca, né in una lista di istruzioni da seguire. Il pontefice ha fatto riferimento alla guerra in Iraq, ha accennato ai diritti dei non nati. Senza la pretesa di istituire un decalogo del buon cattolico, ma avendo bene a mente la necessità di approfondire le basi della comunità cattolica americana.
Il viaggio si è concluso allo Yankee Stadium, in un ideale pellegrinaggio sulle orme dei suoi predecessori Paolo VI e Giovanni Paolo II, che in quello stadio celebrarono la Messa. Di nuovo, al cuore di uno dei simboli dell’America e in particolare di New York, una folla festante e oceanica ad applaudire.
Pochi mesi fa il gran rifiuto all’Università La Sapienza, nel cuore della cristianità; e invece qui, nel mondo nuovo e secolarizzato, l’abbraccio genuino e sincero del popolo, di un popolo che non potrebbe nemmeno pensare di togliere la parola al Papa filosofo. Ma questa, in fondo, è la terra delle libertà.

© Copyright Tempi, 22 aprile 2008

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