22 aprile 2008
Benedetto XVI nel cuore degli americani (bellissimo commento di Bobbio)
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Il Papa nel cuore degli americani
Alberto Bobbio
Quando domenica pomeriggio tutti, ma proprio tutti, i canali televisivi americani si sono messi a trasmettere in diretta la Messa dal Yankee Stadium di New York si è capito, negli Stati Uniti e nel resto del mondo, che la missione americana di Benedetto XVI è stata un successo.
Nei grandi store scintillanti di Times Square, sui maxischermi di Broadway, la strada che taglia da Nord a Sud Manhattan, tra pubblicità di gran fascino, andava in diretta il Papa, spettacolo incredibile e assolutamente sorprendente per l'America.
Per quattro giorni gli americani lo hanno osservato, anzi si può dire che lo abbiano annusato, come fanno i cani del Fbi, in questo Paese ossessionato dalla sicurezza, dove i poliziotti al guinzaglio mettono il naso ovunque alla ricerca di esplosivi.
Si sapeva che la missione non era facile. Nella nazione della televisione, dove i confronti tra i candidati spostano più voti che i contenuti dei programmi, dove una lacrima di Hillary o un braccio alzato di Obama, danneggiano o aggiustano consensi, il Papa venuto dall'Europa alla fine ha bucato i teleschermi. E questo conta negli Stati Uniti. È il segno di un sentimento che corre tra la gente e che le tivù hanno sveltamente raccolto, perché lo hanno capito. Fino alla scorsa settimana Joseph Ratzinger era un uomo quasi sconosciuto alla maggior parte degli americani. I grandi giornali raramente hanno messo in prima pagina Benedetto XVI in questi tre anni di pontificato: troppo difficile, troppo complicati i suoi discorsi, troppo intrecciati a una filosofia e a una teologia che affonda le sue radici nell'Europa e ancor prima nella cultura greca.
Gli americani sono diversi e hanno faticato a comprendere il carisma narrativo di Papa Benedetto, che in questi anni ha evocato verbi e sillabe, più che visioni e scie di emozione. Agli americani piaceva di più Wojtyla, perché baciava la terra appena sceso dall'aereo, perché faceva la ola con i ragazzi, perché si buttava in mezzo alle folle. Piaceva. Ma fino a domenica. Il severo «New York Times» ha cercato di serrare le fila dell'opinione pubblica fino all'ultimo: «Rispetto per Benedetto, ma c'è ancora amore per Giovanni Paolo II». È vero e nessuno lo nega. Ma potrebbe sembrare perfino poco rispettoso l'esercizio dei laici e troppo misurati giornali americani. Adesso il Papa è Benedetto, l'intellettuale, il teologo, l'uomo che usa con sapienza le parole.
E sarebbe ora di smetterla di confrontare sempre tutto con il suo predecessore.
Guardando la folla della Quinta Strada e misurando gli indici d'ascolto forse si riesce a trovare un'altra misura. Benedetto non è piaciuto perché ha fatto i gesti di Wojtyla.
E Benedetto, in realtà, non ha stupito gli americani e neppure li ha sbalorditi. Ha catturato invece cuori e menti.
Nel Paese dove sta andando in scena la campagna elettorale più lunga della sua storia, Ratzinger è venuto a scuotere certezze e a dire che la libertà deve essere meglio usata. E se Bush ha cercato di tirare dalla sua parte il Papa, salutandolo alla Casa Bianca con un discorso zeppo di citazioni del Pontefice sul relativismo e sul secolarismo, quasi chiamandosi fuori da ogni responsabilità circa un uso scivoloso della modernità e circa una pratica disinvolta sui diritti umani che lascia altrettante lacune negli Stati Uniti e nel mondo, Benedetto XVI non ha fatto sconti al presidente e non ha affatto promosso il modello dell'american dream, del sogno americano, spalmato ogni dove. Ratzinger, invece, ha squadernato le inquietudini di molti cittadini americani, intrappolati nella recessione. A quell'America che sta riflettendo su stessa e sulla sua posizione morale nei confronti del resto del mondo, il Papa ha offerto elementi credibili di riflessione anche nel discorso alle Nazioni Unite. Perché il concetto della «responsabilità di proteggere», mirabilmente spiegato al Palazzo di Vetro, non vale solo per una grande organizzazione internazionale, ma anche per ogni nazione che siede in essa. Stati Uniti compresi. C'è poi un altro elemento che dovrà far riflettere i cittadini dello Stato dove la giurisprudenza e il ruolo degli avvocati sfiorano livelli di paranoia, come raccontano bene tanti ottimi film e tanti avvincenti romanzi. E cioè che i diritti umani non sono frutto delle decisioni dei legislatori, ma trovano la loro giustificazione nel diritto naturale. E anche questo lo ha detto all'Onu. Si può dire che le parole del Papa, messe in fila, delineano i tratti di una «nuova frontiera» sulla quale ha chiamato gli americani a confrontarsi. I candidati a nuovi inquilini della Casa Bianca usano moltissimo il verbo cambiare. Lo fa anche McCain, il repubblicano che ha già sbaraglio i suoi competitori di partito nella grande corsa. Lo fanno Hillary e Obama, la prima perché infila la parola in ogni frase e il secondo perché incarna il cambiamento in molti gesti e nel colore delle pelle. Ebbene, la grammatica e la sintassi del cambiamento Benedetto XVI le ha offerte nei suoi discorsi. Basta saper leggere.
Infine c'è la Chiesa. Quella americana è provata dallo scandalo dell'ignominia dei preti pedofili. La ferita è ancora aperta e il Papa lo ha detto con chiarezza, evocando «purificazione».
Ma non è andato in America a dire «vergognatevi». Ha detto: «Io mi vergogno». E anche questo ha catturato i cuori degli americani, gente che attribuisce molto valore alla responsabilità personale.
Il Papa sicuramente non ne ha in relazione allo scandalo. Eppure il fatto di mettere se stesso davanti a tutti e a tutto significa caricarsi sulle spalle il pesante fardello di Cristo. Gli accenni personali, l'uso della prima persona, l'ammissione della sua fragilità di uomo, «povero successore di Pietro», hanno profondamente impressionato gli americani.
Benedetto XVI è riuscito alla fine a costruire un capolavoro: ha parlato, ha riso con i giovani, ha proposto una straordinaria lezione all'Onu, ha sollecitato cambiamenti di vita. Ha alzato dappertutto il grande libro del Vangelo, di un Dio pubblico con il quale misurare la storia, la propria vita e il proprio impegno. Ratzinger vuol bene agli americani, è amico degli Stati Uniti. E un amico all'amico non tace nulla e parla chiaro.
Lo ha fatto anche con il silenzio di Ground zero, scendendo a pregare nell'abisso della cattiveria dell'uomo, per invocare la riconciliazione.
Ha capito cosa l'America voleva sentirsi dire, ma anche cosa l'America non aveva il coraggio di ascoltare. Per questo ha avuto successo.
© Copyright Eco di Bergamo, 22 aprile 2008
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