23 aprile 2008

Laikòs, cioè che fa parte del popolo. Storia di una parola che tutti conoscono ma pochi comprendono (Osservatore Romano)


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Storia di una parola che tutti conoscono ma pochi comprendono

Laikòs
Cioè che fa parte del popolo


Nel quadro delle celebrazioni per il natale di Roma si tiene in Campidoglio, dal 21 al 23 aprile, il ventottesimo Seminario internazionale di studi storici "Da Roma alla terza Roma", promosso dall'Università di Roma La Sapienza in collaborazione con il Centro nazionale delle ricerche avente per tema: "Persona e popolo. Da Roma a Costantinopoli a Mosca". Pubblichiamo ampi stralci di una delle comunicazioni.

di Enrico dal Covolo

La storia del termine laikòs è lunga e complessa.

In ambito cristiano, essa comincia con la celebre lettera del Papa Clemente di Roma ai fedeli della Chiesa di Corinto, datata alla fine del primo secolo.
Prima di addentrarci nella trattazione di laikòs, è opportuno fornire qualche indicazione sul termine laòs, dal quale il primo deriva, trattandosi di un aggettivo che rimanda al suo sostantivo.
Dalle ricerche più attendibili e documentate risulta che laòs, di etimologia ancora incerta, è un termine antichissimo - forse già usato in età micenea, e certamente attestato in Omero, dove assume la duplice accezione di "popolazione civile" e di "esercito" .
In età classica il vocabolo cade in disuso, ma sopravvive nel senso generico di "popolazione", "gente", "folla".
In età ellenistica laòs ritorna in primo piano, e assume tre significati diversi. In Egitto, specie nei secoli terzo e secondo avanti Cristo, prevale il significato generico e popolare, comune alla grecità, a partire da Omero, di "gente comune", "massa", "popolo".
Ma c'è anche un secondo significato, più specifico, soprattutto al plurale (laòi), caratteristico dei regni ellenistici del terzo secolo avanti Cristo, che indica il popolo non ellenizzato, cioè la popolazione indigena costituita da contadini, braccianti o piccoli artigiani.

Finalmente un terzo significato comincia a farsi strada, e si diffonde in prevalenza in Egitto. Esso deriva dal precedente, e designa la massa della popolazione indigena dei contadini sudditi del re, distinta sia dalla classe sacerdotale, sia dalle poche grandi famiglie di maggiorenti, sia infine dalle autorità che governano la regione.

Nella traduzione biblica dei Settanta, laòs conosce una nuova stagione della sua storia semantica. Anche qui il vocabolo assume tre significati diversi.
Anzitutto continua l'uso popolare di "gente", "folla", in conformità con la tradizione della grecità antica. C'è poi un secondo significato di "comunità politica", dipendente da un sovrano, in cui laòs è sempre accompagnato dal genitivo di specificazione (del dio o del re).
Da questo significato deriva l'ultimo, quello più tecnico e caratteristico dei Settanta, che interessa in modo particolare la nostra ricerca.

Secondo questa accezione, il vocabolo sta a indicare Israele come il "popolo di Dio" per antonomasia, cioè il popolo che Dio ha reso "sua proprietà speciale ed esclusiva". Del resto laòs nel linguaggio del tempo, e soprattutto secondo l'uso caratteristico nell'età ellenistica, era diventato il termine più adatto per esprimere efficacemente il valore religioso e pregnante di una speciale appartenenza a Dio.

Dall'Antico Testamento laòs passa poi anche nel Nuovo Testamento e nei primi scritti dei Padri della Chiesa, specie nel suo ultimo significato di "popolo di Dio" per eccellenza.
Clemente romano si inserisce precisamente in quest'ultimo orizzonte semantico. La prova sicura è che Clemente riporta ben quattordici volte il termine laòs, e sempre in citazioni dirette - o almeno allusioni - della Bibbia dei Settanta. È dunque sorprendente il fatto che lo scritto clementino non conosca l'uso autonomo di laòs, ma soltanto quello dei Settanta.
Ci fermiamo solo su uno dei quattordici testi, quello più significativo.
Il passo in questione si trova verso la conclusione della Lettera, nel voto finale, dove Clemente si rivolge ai suoi destinatari, augurando loro: "Il Dio che tutto vede ed è Padrone degli spiriti e Signore di ogni carne, che ha scelto il Signore Gesù Cristo e noi per mezzo di lui per essere "suo popolo esclusivo e prezioso", conceda ad ogni anima che ha invocato il suo nome sublime e santo, fede, timore, pace" (64).
Nel brano citato compare un aggettivo caratteristico che affianca laòs, ed è perioùsios. Esso è un termine tecnico usato dai Settanta - settuagintalismo - e compare cinque volte nella Bibbia greca per designare Israele in quanto "popolo esclusivo di Dio", "sua proprietà scelta e preziosa". Pertanto dal brano appena citato, ma anche dalla stragrande maggioranza degli altri testi, ove compare laòs, risulta senza ombra di dubbio che per Clemente il senso del vocabolo è quello proprio della Bibbia dei Settanta, equivalente a "popolo di Dio scelto ed esclusivo". Per Clemente, infatti, la comunità dei cristiani costituisce in Gesù Cristo il nuovo popolo eletto, che gli appartiene in modo speciale, così come l'antico Israele apparteneva esclusivamente a Dio. Per Clemente romano non esiste soluzione di continuità fra l'Israele antico e il nuovo popolo di Dio, che è la Chiesa. In questa prospettiva esegetica clementina l'Antico Testamento è anche il libro della Chiesa; perciò diviene possibile applicarlo ad essa.
Mentre laòs è ben attestato nel mondo greco e in quello biblico, l'aggettivo derivato laikòs, invece, non appare nella letteratura greca, né nella Bibbia dei Settanta, e neppure nel Nuovo Testamento. Solo con Clemente romano fa la sua comparsa nella letteratura cristiana antica.
Fuori del cristianesimo, le prime tracce del termine appaiono in alcuni papiri ellenistici del terzo secolo avanti Cristo, anche se le testimonianze finora attestate sono piuttosto scarse e frammentarie: e tuttavia, sembra proprio che in questi papiri il termine laikòs abbia trovato il suo luogo di nascita.
La testimonianza più antica è quella del primo papiro di Lilla. Esso contiene una lista, ove sono censiti animali e uomini. Vi si rintraccia l'espressione laikà tethràmmena, che significa le "bestie da soma allevate dalla popolazione".
La medesima locuzione ricompare più chiara in un papiro posteriore del 120 avanti Cristo, dove un funzionario dell'amministrazione tolemaica ordina a un subalterno: "Metti immediatamente a disposizione degli addetti all'ammasso di grano tutte le bestie da soma (laikà tethràmmena) della popolazione del tuo distretto".
Un altro papiro, assai più importante, datato al 262-260 avanti Cristo, riporta l'editto di Tolomeo II concernente la riscossione delle tasse sull'acquisto degli schiavi in Siria e Fenicia. Il termine laikòs vi ricorre tre volte nelle seguenti espressioni: sòma laikòn elèutheron; sòmata laikà elèuthera; gynaiksì laikàis, per indicare gli "uomini indigeni liberi e le donne indigene" appartenenti alla popolazione locale amministrata dalla dinastia tolemaica. Allo stesso modo l'espressione laikè boethèia di un altro papiro significa "l'aiuto del popolo" a cui un debitore si obbliga per contratto a non ricorrere, per difendersi dalle legittime pretese del creditore.
Finalmente vari papiri contengono la formula tecnica laikè syntàksis, equivalente alla capitatio plebeia del Basso Impero romano, che designa la tassa imposta su ogni "capo", cioè su ogni individuo della popolazione indigena.
Da tutti gli esempi appare che laikòs assume sempre uno stesso denominatore comune, equivalente a "ciò che fa parte del laòs", ossia "ciò che appartiene alla popolazione indigena", distinta dall'amministrazione che la governa.
Pertanto da tutto il contesto non ci sembra che si possa concludere con certezza che laikòs assume nei papiri ellenistici una sua propria esistenza "autonoma" da laòs, con un suo valore specifico e categorizzante. In ogni caso, infatti, l'aggettivo laikòs rimanda inscindibilmente al sostantivo laòs, dal quale deriva.
"Al sommo sacerdote" - scrive infine Clemente romano ai Corinzi, ed è appunto questa la prima volta in cui il termine ricorre nella letteratura cristiana antica - "sono state conferite funzioni liturgiche a lui proprie, ai sacerdoti è stato preordinato un posto loro proprio, ai leviti spettano servizi propri. L'uomo laico è legato agli ordinamenti laici" (40, 5).
Una valutazione attenta dei documenti porta a escludere che il termine laikòs assuma in Clemente romano un'identità autonoma e indipendente rispetto al sostantivo dal quale deriva.
Al contrario, esso mantiene sempre una connessione inscindibile con laòs. Dipende poi dall'universo mentale di chi lo usa, dal suo ambiente culturale, sociale e religioso, determinare un significato più preciso del termine.
Per un cittadino dell'Egitto sotto l'amministrazione tolemaica o del Basso Impero romano, laikòs indica "ciò che appartiene al laòs", inteso nella sua accezione più tecnica, cioè di popolazione indigena assoggettata ai dominatori, priva di ogni privilegio, e governata dalla classe dominante dei monarchi ellenistici.
Per un giudeo invece, appartenente al mondo ebraico dell'Antico Testamento, con una concezione della società tipicamente cultuale e sacrale, "laico" esprime ciò che appartiene al laòs, ma inteso nel senso di massa comune del popolo, distinta dai sacerdoti, unici detentori delle funzioni del sacro. Pertanto esso significa "comune", "ordinario", "profano".
Clemente romano si iscrive invece in un contesto marcatamente cristiano, nel quale, ricuperando il senso di laòs proprio dei Settanta - come dimostra chiaramente l'uso esclusivo che egli ne fa lungo la sua Lettera - egli vede la comunità cristiana sulla stessa linea di continuità dell'antico popolo di Israele, come il nuovo popolo di Dio che gli appartiene in modo esclusivo. Pertanto, in questo ambito prettamente cristiano, il laikòs ànthropos della Lettera di Clemente è "l'uomo del popolo (di Dio)", distinto certamente dalla gerarchia sacerdotale, ma non da essa separato o ad essa contrapposto, perché anch'egli è abilitato ad offrire la propria liturgia stando "nel suo ordine" (41, 1). È dunque il cristiano "nativo" dell'unico popolo di Dio, che è la Chiesa, senza connotazioni ulteriori.
In conclusione, se è vero che nei papiri citati laikòs trova il suo luogo di nascita e la sua preistoria, in ambito cristiano la storia semantica del termine comincia solo con la Lettera di Clemente, nel passo riportato (40, 5).
Tale passo inaugura la lunga posterità del vocabolo, carica di significati polivalenti e spesso contrastanti, fino ai nostri giorni.

In ogni caso, appare senza dubbio arbitraria l'interpretazione di chi vede già nella Prima Clementis, cioè fin dai primi inizi della storia del termine in ambito cristiano, un significato specifico e categorizzante di laikòs, che separerebbe - eventualmente anche opponendoli - i "semplici fedeli" della Chiesa dai suoi ministri ordinati.

(©L'Osservatore Romano - 23 aprile 2008)

1 commento:

Anonimo ha detto...

Interessantissimo questo articolo.
Quindi, se era arbitrario allora definire "laici", i "non sacerdoti", ma comunque "cristiani", cioà appartenenti al Popolo di Dio, figuriamoci quanto è sbagliato oggi l'impiego di questo termine per definire in un unico blocco tutti coloro che non sono sacerdoti! Infatti in tale blocco sono compresi i credenti, ma anche i non credenti, gli agnostici, gli appartenenti ad altre religioni, etc....Insomma, in queste condizioni di estrema "inafferrabilità" del concetto, sarebbe preferibile non usare questo vocabolo. E invece, mai come oggi tutti se ne riempiono la bocca, per così dire, senza sapere di che cosa stanno parlando.