24 aprile 2008

Il discorso del Papa all'Onu: la persona umana ha trovato il suo paladino (D'Agostino)


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LA PERSONA HA TROVATO IL SUO PALADINO

IL RELATIVISMO SFERZATO DAL PODIO PIÙ ALTO

FRANCESCO D’AGOSTINO

Il discorso di Benedetto XVI all’Assemblea ple­naria dell’Onu costituisce un esempio rilevan­te di come debba essere correttamente imposta­to un discorso antropologico. Il Papa comincia coll’elogiare i principi fondativi che stanno alla base delle Nazioni Unite: la pace e la giustizia, il rispetto per la persona, la cooperazione umanita­ria, l’assistenza, la sicurezza, lo sviluppo, la prote­zione dell’ambiente, la riduzione delle disugua­glianze. Principi elevati e nobili, facilmente con­divisibili da parte di tutti, ma di per sé - osserva ­non coincidenti con il 'bene comune totale' del­la famiglia umana. Per perseguirli adeguatamen­te, infatti, bisogna fare uno sforzo ulteriore, leggere questi principi in un contesto di libertà, al fine di riconoscere che la libertà vive soltanto nella cor­relazione tra diritti e doveri, nella relazionalità in­terpersonale, nell’assunzione del principio di re­sponsabilità, colpevolmente ignorato da quegli scienziati che pretendono di svincolare dall’'or­dine della creazione' il loro operato.
In un conte­sto di responsabilità, quale quello auspicato dal Pa­pa, ciò che si impone è piuttosto la necessità di a­dottare metodi scientifici rispettosi degli impera­tivi etici.
Il tema della responsabilità richiede però un ulte­riore approfondimento, il cui primo passo è com­piuto da Benedetto XVI col richiamo al nuovo prin­cipio della 'responsabilità di proteggere' (spesso espresso tramite l’acronimo 'R2P'). Quando i sin­goli Stati si manifestano incapaci di difendere la dignità e i diritti dell’uomo, è necessario che di ta­le protezione si faccia carico la comunità interna­zionale (naturalmente attraverso il rigoroso ri­spetto dei mezzi giuridici previsti dalle stesse Na­zioni Unite). Il Papa è consapevole delle obiezio­ni che vengono mosse alla R2P e che si conden­sano nell’affermazione che essa si potrebbe tra­durre in una inaccettabile limitazione della so­vranità degli Stati. Sono però obiezioni superabi­li: di fronte alla violazione dei diritti, 'è l’indiffe­renza o la mancanza di intervento che recano dan­no reale'. Si noti la semplicità e insieme la forza di questa affermazione: i diritti non vivono nel cie­lo degli ideali, ma nella concretezza di questa ter­ra e chiedono di essere difesi concretamente.

Il discorso continua ad allargarsi. Se i diritti sono reali (e non mere e vaghe aspirazioni) e vanno tu­telati e promossi come tali, ne segue che è inac­cettabile leggerli in chiave puramente pragmati­ca o peggio ancora relativistica: questo infatti è un modo di indebolirli e alla lunga di negarli. Il pre­teso realismo di chi ritiene che i diritti, non aven­do una loro intrinseca 'verità', andrebbero con­tinuamente adattati a contesti culturali, etnici, re­ligiosi differenti, o ridotti al rango di meri princi­pi procedurali, produce inevitabilmente la loro e­rosione interna. Non si riesce più a comprendere, infatti, perché dovrebbero avere forza vincolante tante proclamazioni internazionali, qualora i di­ritti fossero ridotti a 'deboli proposizioni stacca­te dalla dimensione etica e razionale', avulsi dal radicamento nella giustizia.

Ma il discorso non può terminare qui: è necessa­rio compiere un ultimo passo, il più difficile, ma anche il più importante. Non basta affermare i di­ritti, non basta riconoscere che essi devono esse­re concretamente difesi, non basta nemmeno sta­bilirne un assoluto radicamento nella giustizia, se viene a mancare quell’indispensabile discerni­mento che consente, nel procedere della storia, di distinguere il bene dal male e di orientare conse­guentemente l’agire degli Stati, così come degli in­dividui. Per attivare tale discernimento, afferma il Papa, è indispensabile il riconoscimento del valore trascendente e in ultima istanza religioso di ogni essere umano. Spetta alle Nazioni Unite sostene­re, come esse effettivamente fanno, il dialogo in­terreligioso, così come spetta ai credenti propor­re la loro fede non in termini di violenza e intolle­ranza, ma di rispetto per la verità, di coesistenza, di riconciliazione. Il richiamo alla libertà religio­sa, che conclude la parte dottrinale del discorso del Papa, va ben al di là del richiamo al rispetto di un diritto umano fondamentale (anzi, del primo e del più importante di tutti i diritti): esso implica il ri­conoscimento del carattere individuale e al tem­po stesso comunitario dell’ unità della persona u­mana. La costruzione dell’ordine sociale ha biso­gno di ambedue questi pilastri; la dimensione del cittadino e quella del credente non possono as­solutamente essere confuse, ma tra le due non è nemmeno lecito erigere steccati, pena il rischio di smarrire la dimensione comunionale delle perso­ne e di favorire un approccio individualistico alla logica dei diritti, che inevitabilmente frammente­rebbe l’unità della persona. È un monito, questo del Papa, particolarmente grave, sul quale do­vrebbe concentrarsi l’attenzione di tutti coloro ai quali il bene umano sta sinceramente a cuore.

© Copyright Avvenire, 19 aprile 2008

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