15 settembre 2008

Parola e lavoro, i due pilastri della cultura europea. Commento al discorso del Papa alla cultura francese (Sir)


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I due pilastri della cultura europea

“Una cultura meramente positivista che rimuovesse nel campo soggettivo come non scientifica la domanda circa Dio, sarebbe la capitolazione della ragione, la rinuncia alle sue possibilità più alte e, quindi, un tracollo dell’umanesimo, le cui conseguenze non potrebbero essere che gravi. Ciò che ha fondato la cultura dell’Europa, la ricerca di Dio e la disponibilità ad ascoltarlo, rimane anche oggi il fondamento di ogni vera cultura”.
È l’ammonimento con cui il Papa ha concluso, il 12 settembre, il discorso al mondo della cultura, pronunciato al Collège des Bernardins. Due i riferimenti che hanno attraversato tutto il discorso: la “cultura monastica” e gli scritti di san Paolo, entrambi orientati al “quaerere Deum”, al “mettersi alla ricerca di Dio”: il vero “atteggiamento filosofico”, che consiste nel “guardare oltre le cose penultime e mettersi in ricerca di quelle ultime, vere”. E proprio il “quaerere Deum” ha collegato idealmente l’inizio e la fine del discorso.
“Nella confusione dei tempi in cui niente sembrava resistere, essi volevano fare la cosa essenziale: impegnarsi per trovare ciò che vale e permane sempre, trovare la Vita stesa”, ha detto Benedetto XVI riferendosi alla “natura del monachesimo occidentale”. “Quaerere Deum – cercare Dio e lasciarsi trovare da Lui: questo è oggi non meno necessario che in tempi passati”, ha aggiunto sul finale. Di qui la perenne attualità dell’annuncio cristiano, il cui “schema fondamentale” si trova nel discorso di san Paolo all’Areopago, e l’analogia, “pur nella differenza”, tra la “nostra situazione di oggi” e quella che incontrò san Paolo ad Atene, “Le nostre città – ha concluso il Papa – non sono più piene di are e immagini di molteplici divinità. Per molti, Dio è diventato veramente il grande sconosciuto. Ma come allora dietro le numerose immagini degli dèi era nascosta e presente la domanda circa il Dio ignoto, così anche l’attuale assenza di Dio è tacitamente assillata dalla domanda che riguarda Lui”.

No al “fondamentalismo”.

Le “origini della teologia occidentale” e le “radici della cultura europea” sono legate alla cultura monastica, all’attività cioè dei monaci che “erano alla ricerca di Dio”. Lo ha detto il Papa, all’inizio del suo discorso al Collége des Bernardins, voluto dal card. Lustiger come “centro di dialogo tra la sapienza cristiana e le correnti culturali intellettuali e artistiche dell’attuale società”, ha ricordato Benedetto XVI, che ha ringraziato anche i delegati della comunità musulmana francese “per aver accettato di partecipare a questo incontro”, e ai quali ha rivolto i suoi “migliori auguri per il ramadan in corso”. Al suo arrivo a Parigi il Papa aveva incontrato anche una delegazione ebraica.
“La ricerca di Dio richiede per intrinseca esigenza una cultura della parola”, ha spiegato il Papa, per il quale “sarebbe fatale se la cultura europea di oggi potesse comprendere la libertà ormai solo come la mancanza totale di legami e con ciò favorisse inevitabilmente il fanatismo e l’arbitrio. Mancanza di legame e arbitrio non sono la libertà, ma la sua distruzione”. Il cristianesimo, infatti, “non è semplicemente una religione del libro”, perché “percepisce nelle parole la Parola, il Logos stesso”: questa “struttura particolare” della Bibbia, che “è una sfida sempre nuova per ogni generazione”, “esclude tutto ciò che oggi viene chiamato fondamentalismo” e rappresenta una “sfida di fronte ai poli dell’arbitrio soggettivo, da una parte, e del fanatismo fondamentalista, dall’altra”.

“Cultura della parola” e “cultura del lavoro”.

Accanto alla “cultura della parola”, secondo il Papa, il nostro continente ha bisogno di una “cultura del lavoro”, ed è lungo questo binomio che si è articolato il discorso del Papa al Collége des Bernardins. “Questo éthos – ha puntualizzato il Santo Padre soffermandosi sul significato della “cultura del lavoro” – dovrebbe però includere la volontà di far sì che il lavoro e la determinazione della storia da parte dell’uomo siano un collaborare con il Creatore, prendendo da Lui la misura”. “Dove questa misura viene a mancare e l’uomo eleva se stesso a creatore deiforme – ha ammonito il Pontefice – la formazione del mondo può facilmente trasformarsi nella sua distruzione”. Nella concezione cristiana, “Dio lavora; continua a lavorare nella e sulla storia degli uomini. In Cristo Egli entra come Persona nel lavoro faticoso della storia. Dio stesso è il Creatore del mondo, e la creazione non è ancora finita”.

Annuncio, non “propaganda”.

“I cristiani della Chiesa nascente non hanno considerato il loro annuncio missionario come una propaganda”. È la parte del discorso del Papa dedicata all’universalità dell’annuncio cristiano, in stretta relazione con l’universalità della ragione presente nell’animo umano. “All’origine di tutte le cose deve esserci non l’irrazionalità, ma la Ragione creativa; non il cieco caso, ma la libertà”, ha detto il Papa nella parte finale del discorso, facendo notare che “la cosa nuova dell’annuncio cristiano è la possibilità di dire ora a tutti i popoli: Egli si è mostrato”. Ma questo “non è un fatto cieco”, bensì “un fatto ragionevole”, che ha bisogno dell’“umiltà della ragione” per essere accolto, dell’“umiltà dell’uomo che risponde all’umiltà di Dio”.

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