14 settembre 2008

Gallo: "Una scossa alla vecchia Francia. I discorsi del Papa? Una «provocazione» che può aiutare a superare vecchi schemi ancora molto radicati"


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Gallo: una scossa alla vecchia Francia

L’intellettuale transalpino rilegge i discorsi di Benedetto XVI. Una «provocazione» che può aiutare a superare vecchi schemi ancora molto radicati. Come quelli legati all’anticlericalismo e a una concezione chiusa della laicità. Le radici cristiane?

Nonostante il calo della frequenza alla messa e delle vocazioni, una realtà dalla quale non si può prescindere

DA PARIGI DANIELE ZAPPALÀ

«La Francia ha oggi di fronte una grande doman­da: come fare i conti con i grandi interrogativi portati dal cattolicesimo? Come interagire con essi, senza eluderne la portata? Personalmente, credo che si debba avere un atteggiamento aperto e positivo di forn­te a questa sfida, e considero ogni residuo anticlericalismo come un arcaismo regressivo».

Dopo aver seguito da vicino tutte le tappe parigine del viaggio di Benedetto XVI, lo sto­rico Max Gallo legge nella testimonianza del Pontefice un insegnamento valido per l’intera società francese. Alla qua­le è arrivato un salutare scossone.

Quali impressioni le hanno lasciato gli interventi del Pa­pa?

Sono stato molto colpito dalla densità e dal rigore del di­scorso pronunciato al Collegio dei Bernardini, davanti a u­na platea perlopiù di intellettuali. L’ho trovato ricco di spun­ti interessanti e meditati. Personalmente, mi ha toccato que­sta relazione esplicitata dal Papa fra la storia del luogo e la riflessione sul monachesimo occidentale.
Certamente, non si trattava di un testo semplice, ma di un testo esigente.
Ho potuto assistere anche ai discorsi pronunciati all’Eliseo e al­l’Istituto di Francia e nel messag­gio del Papa ho ritrovato ogni vol­ta questo rigore di argomentazio­ni, in particolare nella scelta dei termini. Non si tratta di uno stile che cerca di conquistare con la se­duzione.

Questa visita apostolica sta per­mettendo a tanti francesi di co­noscere meglio Benedetto XVI. Al contempo, si tratta di un viaggio capace di rivelare la Francia di og­gi?

Certo. Personalmente, mi hanno molto impressionato i giovani riu­niti in gran numero in serata at­torno alla Piazza del Municipio per ascoltare un discorso del Papa che era anch’esso molto rigoroso. In u­na piazza pubblica, davanti a una folla tanto vasta e riunita in un’at­mosfera festiva, altri relatori a­vrebbero cercato di sedurre. Non è stato affatto così con il Papa. Mi hanno colpito anche il fervore di­mostrato da questi giovani così co­me l’importanza e la diversità de­gli intellettuali giunti al Collegio dei Bernardini. Allo stesso tempo, accanto a tutto ciò, vi sono state manifestazioni di un anticlericali­smo tradizionale, molto vigoroso, che mi hanno fatto pensare a quel­le dell’inizio del Novecento, come se un secolo non fosse trascorso nel frattempo.

In generale, ha rilevato una forte propensione all’ascolto del Papa?

È sempre difficile parlare in generale. Credo di sì, anche se non posso parlare a nome della Francia. Posso testimonia­re dell’atteggiamento delle platee nelle quali mi trovavo, sempre molto attente, molto calorose e impressionate in modo evidente dal rigore del discorso. Ma ripeto, merita u­na particolare riflessione anche la persistenza di un anti­clericalismo, un anticattolicesimo ancora forti ed espressi in nome della laicità, come se il mondo non fosse cambia­to, la Francia non fosse cambiata, la Chiesa non fosse cam­biata. Come se le ideologie secolari che trasformavano la politica in una sorta di religione non fossero crollate. Davanti a simili manifestazioni, se si chiudono per un attimo gli oc­chi, si potrebbe credere tornati al 1901.

Si può parlare, in proposito, di una persistente cristia­nofobia?

Credo proprio di sì. In ogni caso, si tratta di anticlericalismo e di anticattolicesimo molto marcati. È difficile dire quale sia oggi la reale importanza di queste correnti.

Per fare un esempio, si tratta di ambienti pronti ad inchinarsi di getto con grande benevolenza al momento della visita del Dalai Lama in Francia. Ma noto la discrezione con cui questi stes­si ambienti, che invocano in modo costante i diritti umani, evocano i crimini commessi contro i cristiani in tutto il mon­do.

Nel suo discorso davanti al Papa, il presidente Nicolas Sarkozy ha ribadito la propria concezione di una «laicità positiva». Come valuta questo nuovo atteggiamento poli­tico?

Non so se è opportuno impiegare l’aggettivo «positiva». For­se si potrebbe parlare di laicità aperta. In ogni caso, è im­portante riflettere sul fatto che più di un secolo è trascorso dalla legge del 1905 che sanciva la separazione fra Chiesa e Stato. Le condizioni mondiali, nazionali, della vita cultura­le, la situazione della Chiesa sono cambiate. È dunque del tutto evidente che non si possono più tenere gli stessi discorsi e la stessa riflessione di un secolo fa. Tanto più che la sepa­razione della religione e della politica è in Francia una si­tuazione di fatto da cui non si tornerà indietro. D’altronde, una certa forma di separazione o di conflitto esisteva fin dal Medioevo. E la Chiesa cattolica è uscita dalla fusione che ha intrattenuto con la politica francese durante la monarchia di diritto divino.

C’è oggi un antagonismo fra diverse concezioni della lai­cità?

Sì, ed esso diventa purtroppo anche materia da politicanti, nel senso che si arricchisce delle volontà di certi opposito­ri di attaccare l’Eliseo. In proposito, il discorso del presidente in presenza del Papa mi è sembrato molto equilibrato, an­che perché ha citato tutte le religioni e correnti di pensiero. Ma c’è chi ne ha approfittato per nuove strumentalizzazio­ni.

L’espressione «Francia, figlia primogenita della Chiesa» re­sta d’uso corrente. Ciò vuol dire che è ancora attuale?

È incontestabile che la storia della Francia fino al ventesi­mo secolo è stata profondamente intrecciata con quella del cattolicesimo. In questo senso, la Francia ha in modo ma­nifesto delle radici cristiane, anche se non sono le sole. Co­me ha detto il Papa all’Eliseo, è sufficiente contare il nume­ro di chiese nelle campagne e nei villaggi, le cattedrali o i pen­satori cattolici, per rendersi conto della fecondazione stori­ca del suolo francese, in ogni fase, da parte della Chiesa. Mi ha colpito, in proposito, che il Papa abbia citato il vescovo Ireneo giunto dalla Grecia nel II secolo al tempo dell’Impe­ratore Marco Aurelio, dunque ancor prima che si potesse par­lare di Francia. Tre secoli prima del battesimo di Clodoveo. Nonostante l’attuale crisi reale di frequenza alla messa e di vocazioni, la Francia resta dunque in questo senso figlia pri­mogenita della Chiesa.

© Copyright Avvenire, 14 settembre 2008

1 commento:

euge ha detto...

Direi che nei discorsi del Papa c'è sempre una provocazione positiva per chi la sa riconoscere.
Questo, lo abbiamo imparato dopo Ratisbona, che portò voglio ancora sottolinearlo, ad un dialogo più significativo con i musulmani ed a quel viaggio in Turchia che ha veramente spianato la strada per un cammino consapevole che possono intraprendere due religioni senza combattersi.
Io parlerei di una scossa non solo alla vecchia Francia ma, anche alla vecchia Europa che, deve arrivare di nuovo a non aver paura delle sue Radici Cristiane come noi non dobbiamo aver paura e vergognarci ( a volte ) della nostra religione del nostro credo; manifestando liberamente ( non è facile ), appunto è una provocazione, l'amore per nostro Signore!